Pfas, Antonio Nardone e Maurizio Scalabrin: l'ad Miteni si confronta con la commissione ambiente di Montecchio
Mercoledi 19 Ottobre 2016 alle 22:59 | 0 commenti
Due ore e mezzo di dialogo sui Pfas ieri sera nell'aula consiliare del comune di Montecchio Maggiore dove si è riunita la commissione ambiente e territorio presieduta da Maurizio Scalabrin che ha voluto ascoltare l'amministratore delegato di Miteni, Antonio Nardone. Una trentina le persone presenti e molti collegati da casa grazie alla diretta streaming organizzata dal Comune. Tutto si è svolto in un clima di dialogo serrato e costruttivo con oltre cinquanta domande poste all'amministratore delegato dell'azienda di Trissino. Sul tavolo i temi che coinvolgono direttamente la popolazione, in particolare quali sono gli interventi messi in campo dall'azienda e quali sono le conoscenze attuali dell'impatto sulla salute.
Sollecitato dalle domande, Nardone ha voluto ribadire il dialogo tra l'azienda e il territorio. "Questo impianto è nell'Alto Vicentino da sempre, è una eccellenza italiana e del Veneto, una delle tre aziende al mondo con questa competenza nelle molecole fluorurate. I lavoratori sono quasi tutti della zona e molti in stabilimento da decine di anni. Siamo in una situazione molto difficile, facciamo fatica a trovare tecnici per via dell'immagine negativa che si è dipinta intorno alla nostra attività . Ma vogliamo continuare a investire nello sviluppo, nelle ricerca soprattutto nel settore medicale, superare questo momento difficile e rilanciare lo stabilimento".
Sul settore medicale e sull'utilizzo dei Pfas vi sono poi state alcune domande alle quali Nardone ha risposto spiegando le caratteristiche delle molecole "utilizzate per l produzione di colliri contro la secchezza corneale, stent coronarici, antitumorali. Nell'industria sono impiegati come ritardanti di fiamma, indispensabili nei policarbonati trasparenti che contengono sempre Pfas, come i finestrini degli aerei ma anche per le scioline."
E' stato quindi chiesto se vi siano forniture Miteni per scopi militari come scritto su alcuni giornali, e Nardone lo ha categoricamente escluso.
Molte le domande che hanno chiesto dettagli sugli interventi che l'azienda ha messo in atto per contenere la diffusione dei Pfas nell'ambiente. "Ci sono due livelli di intervento - ha detto Nardone -. Uno riguarda la falda sotto lo stabilimento che è stata barrierata attraverso dei pozzi impedendo lo spostamento a valle dell'acqua che vene prelevata, depurata e reimmessa. Poi c'è lo scarico industriale che dagli anni Ottanta viene conferito al depuratore secondo i limiti che lo stesso consorzio ci impone. Per rispettare questi limiti sono installati da sempre in azienda filtri a carboni attivi e filtri a copolimeri che depurano l'acqua per poterla consegnare al consorzio secondo le caratteristiche che ci sono imposte".
Un consigliere ha chiesto se sia possibile che in passato siano stati sversati o interrati residui di lavorazione nel terreno. Nardone ha risposto che dalle decine di prelievi fatti al suolo e dal recente controllo fatto coi sonar da Arpav questo è da escludere.
La discussione ha poi affrontato le responsabilità della Miteni nell'inquinamento della falda. I consiglieri hanno voluto conoscere come sia possibile che l'azienda, nonostante le indicazioni di Arpav, sostenga la propria estraneità all'inquinamento. Sul punto Nardone ha detto che la distribuzione dei Pfas, proprio secondo le rilevazioni Arpav "evidenzia che le concentrazioni vicino a Miteni sono più basse di quelle riscontrare in altri comuni, come Cologna Veneta, e che ci sono concentrazioni importanti anche a Nord dello stabilimento nel trevigiano. Non è quindi pensabile che la diffusione possa venire dalla nostra falda dove la concentrazione, se così fosse, dovrebbe essere la più alta di tutte, e i dati della stessa Arpav dicono che non è così".
Sollecitato sulle responsabilità , Nardone ha poi informato i consiglieri che le sostanze che creano preoccupazione, Pfoa e Pfos non sono più prodotte da Miteni dal 2011 ma sono ancora oggi utilizzate da centinaia di aziende sul territorio che per la loro caratteristica produttiva immettono Pfas in misura potenzialmente elevata solo durante una fase del ciclo di lavorazione: "Miteni produce scarichi controllati e monitorati con concentrazioni costanti e verificate da Arpav - ha detto Nardone - Chi utilizza i Pfas invece li immette negli scarichi solo in determinati momenti e se si vuole misurarli il prelievo deve essere fatto in quel momento. Un'azione di monitoraggio che sarebbe opportuno fare. I Pfas a catena lunga arrivano in Italia prodotti all'estero, ci sono tonnellate di Pfas a catena lunga che passano le dogane e arrivano nel vicentino mentre noi non li produciamo più da cinque anni".
I consiglieri hanno chiesto all'azienda la disponibilità a partecipare alle bonifiche delle acque anche per alleggerire il fardello che la depurazione caricherà nelle bollette dei cittadini della zona. "Non possiamo farci carico dei costi della depurazione per due motivi - ha detto l'AD di Miteni-. Il primo è di natura economica, l'azienda è piccola e non ha le risorse anche se volessimo fare un'azione, diciamo così, di marketing territoriale. Il secondo motivo è che noi abbiamo versato milioni di euro in questi anni al consorzio di depurazione e non possiamo pagare ragionevolmente due volte la stessa cosa".
Sull'efficacia della depurazione si sono poi concentrate alcune domande dei componenti del consiglio comunale presenti in sala. In particolare si è chiesto di conoscere se allo stato dell'arte i cosiddetti "catena corta" siano filtrabili oppure no come si sta leggendo sui giornali.
Sul tema è intervenuto Davide Drusian, responsabile sicurezza e ambiente di Miteni. "I C4 sono assolutamente catturabili sia con i filtri a carbone sia con quelli a polimeri. La nostra depurazione viene fatta così ed è certificata oltre ad essere controllata quasi quotidianamente da Arpav. Bisogna adottare la tecnologia e i tempi corretti, siamo a disposizione di istituzioni e consorzi per condividere la nostra conoscenza" ha detto Drusian.
Poi la preoccupazione per i lavoratori. I consiglieri hanno chiesto di conoscere quali interventi siano stati previsti per chi lavora in Miteni nel cui sangue sono stati trovati livelli di Pfas migliaia di volte più alti di quelli riscontrati anche nella popolazione esposta. Sul punto Nardone ha precisato che "gli interventi di contenimento e di protezione sono continui fin dagli anni Ottanta secondo quanto rende possibile la tecnologia in continua evoluzione. Oggi l'esposizione è praticamente nulla. I lavoratori storici hanno visto un decremento dei livelli di Pfas nel sangue tra il 70 e l'80%, e la discesa è continua. Le rilevazioni sanitarie fatte in azienda sono un caso scientifico studiato e pubblicato in tutto il mondo. Allo stato attuale la ricerca rivela che non vi sono patologie correlate nemmeno a esposizioni così elevate anche se lo studio invita ad indagare su un aumento dei valori di colesterolo nel tempo valutando i cosiddetti fattori di confondimento cioè cause o concause che possono sovrapporsi e influenzare i risultati".
E' stato infine chiesto all'azienda di spiegare i motivi dei ricorsi presentati contro i limiti imposti lo scorso luglio. "Abbiamo presentato ricorso contro i limiti che la regione è stata costretta a applicare da un giorno con l'altro e lo abbiamo fatto limitatamente ai valori dei C4. Non siamo gli unici ad aver fatto ricorso perché ad essere colpiti sono ampi settori produttivi su tutto il territorio coinvolto. Esistono indicazioni europee e da qualche settimana dei nuovi limiti nazionali che è possibile rispettare. Anche i limiti regionali imposti per i Pfas a catena lunga, vista la preoccupazione ambientale, hanno un loro motivo di essere stringenti e sono comprensibili. Non sono invece comprensibili quelli imposti solo a questa zona del Veneto per i C4, limiti che non esistono in nessun paese del mondo e che sono irrazionali perché impongono a uno scarico industriale livelli di qualità più elevati di quelli delle acque potabili per sostanze che nessun organismo in nessun paese del mondo considera pericolose. Il nostro ricorso chiede quindi che non esista una particolarità vicentina unica al mondo ma che vengano applicati i limiti nazionali e europei almeno per quelle sostanze che hanno dimostrato di avere una bassissima biopersistenza".
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