Per L'Espresso... nessuno paga il conto, neanche gli indagati di BPVi e Veneto Banca
Domenica 3 Aprile 2016 alle 11:57 | 0 commenti
Risarcimenti per un miliardo di euro. Chiesti ai banchieri di Popolare Etruria e degli altri istituti liquidati. Ma le cause si fermano prima ancora di arrivare in tribunale. Come a Vicenza. Dove i manager indagati incassano buonuscite milionarie
Di Vittorio Malagutti, L'Espresso
Vincenzo Consoli si è mosso per tempo. Nell'aprile di due anni fa, l'allora amministratore delegato di Veneto Banca ha ceduto la sua casa di Vicenza, una villa palladiana nel cuore della città , a un fondo patrimoniale intestato a se stesso e alla moglie. Una scelta che sembra anche diretta a proteggere il patrimonio di famiglia da possibili future azioni giudiziarie. Proprio in quei giorni, il pressing di Bankitalia aveva costretto il manager a fare un passo indietro, a lasciare la poltrona di amministratore delegato per quella di direttore generale.
Un anno dopo sono arrivate le dimissioni da tutti gli incarichi, l'addio alla banca e l'inchiesta della magistratura che ha messo sotto accusa, tra gli altri, anche Consoli, il banchiere che per 17 anni ha governato come un dominus assoluto l'istituto di credito trevigiano. E adesso, dopo le perdite miliardarie in bilancio e il crollo del valore delle azioni, il nuovo consiglio di amministrazione di Veneto Banca non esclude l'avvio di un'azione di responsabilità . Lo ha promesso il neoeletto presidente Pierluigi Bolla all'assemblea dei soci del dicembre scorso. In altre parole, l'ex amministratore delegato potrebbe essere presto chiamato a pagare i danni causati dalla sua gestione. E il fondo patrimoniale costituito nel 2014 sarebbe un primo scudo da opporre in Tribunale.
Consoli, potente banchiere caduto dal piedistallo tra indagini e accuse pesantissime, si trova in numerosa compagnia. La bufera finanziaria dell'ultimo anno ha innescato ribaltoni a catena. E adesso si sprecano gli annunci di cause milionarie. In totale si arriva quasi a un miliardo. Proprio così, un miliardo di risarcimenti. Perché questa è la somma che è già stata richiesta a titolo di risarcimento dai liquidatori delle quattro banche in grave crisi e liquidate d'autorità con il decreto del governo del novembre scorso. Per la sola Banca Etruria siamo intorno ai 300 milioni. Poi vengono Banca Marche, con 280 milioni, Carichieti con 210 milioni e infine la ferrarese Carife, che ha già avviato una causa da oltre 100 milioni.
Chi paga? La lista è lunghissima e comprende un centinaio di nomi tra consiglieri d'amministrazione, sindaci e revisori dei conti. Ci sono personaggi già saliti agli onori delle cronache come Pier Luigi Boschi, già vicepresidente di Banca Etruria e padre del ministro Maria Elena. E poi un lungo elenco di notabili di provincia: avvocati, notai, imprenditori e anche multinazionali della revisione dei conti come Price Waterhouse, chiamata a risarcire 180 milioni per aver dato via libera ai bilanci disastrati, e forse falsi, di Banca Marche. E siamo solo all'inizio. Nei prossimi mesi l'elenco potrebbe allungarsi ancora con la già citata Veneto Banca. Poi c'è la Popolare di Vicenza, l'altro grande istituto cooperativo del Nordest caduto nella polvere dei bilanci in rosso e delle indagini della magistratura, con decine di migliaia di soci che hanno visto svanire quasi per intero il loro investimento. Sabato 26 marzo, l'assemblea della banca vicentina, nel frattempo trasformata in società per azioni, ha però respinto la proposta di avviare una causa per risarcimento danni contro gli amministratori in carica fino a metà del 2015, a cominciare dall'ex presidente Gianni Zonin.
Che cosa è successo? Semplice, i grandi azionisti, in passato legati a filo doppio a Zonin e al suo gruppo dirigente, hanno evidentemente scelto di non aprire il capitolo imbarazzante delle complicità che hanno portato al tracollo. Da qui il voto contrario all'azione di responsabilità . E mentre con il vecchio statuto di banca popolare ogni socio valeva un voto, a prescindere dal numero di titoli posseduti, nella nuova spa vince chi controlla più azioni. E così, a Vicenza, la causa in tribunale si è incagliata ancora prima di partire. Peggio: gran parte degli amministratori in carica, quelli che in teoria dovrebbero gestire il rinnovamento, sono stati nominati ai tempi di Zonin e hanno avallato e sostenuto la disastrosa gestione della banca negli anni scorsi.
Nelle prossime settimane, entro fine giugno, a Vicenza l'assemblea tornerà a riunirsi per rinnovare il consiglio e forse tornerà all'ordine del giorno anche l'azione di responsabilità . Sarà la volta buona per rompere davvero con il passato? Può essere, ma non è detto. A Veneto Banca, per fare pulizia in consiglio, è dovuta intervenire addirittura la Vigilanza della Bce, che nei giorni scorsi ha chiesto un ricambio completo nelle file degli amministratori, con l'eccezione di quelli nominati di recente, come il presidente Bolla e il consigliere delegato Cristiano Carrus. Banchieri stretti all'angolo, quindi? Macché, tutt'altro. Mentre in Veneto i vecchi gruppi dirigenti, compromessi con le precedenti gestioni, ora fanno resistenza al cambiamento, altrove schiere di avvocati sono già pronti a ogni sorta di manovra dilatoria con l'obiettivo di prolungare il più possibile nel tempo azioni risarcitorie già di per sé molto complesse.
Per tagliare il traguardo di una sentenza civile di primo grado sono necessari almeno quattro anni. Ed è un'ipotesi ottimistica. Strada facendo ci sono infiniti modi per tirare in lungo. E c'è sempre il rischio di scoprire, com'è già successo in passato, che gli amministratori condannati sono titolari di patrimoni irrisori, del tutto insufficienti a risarcire i danni accertati in tribunale. Va detto che ormai è prassi per gli istituti di credito garantire a top manager e amministratori una polizza ad hoc che li protegge da "responsabilità patrimoniali". Significa che sarà un'assicurazione a far fronte a eventuali condanne in sede civile. Insomma, le probabilità che i banchieri debbano metter mano al portafoglio sono minime. E intanto la macchina della giustizia, come sempre in Italia, si muove con estrema lentezza.
Ad Ancona per esempio, la Vigilanza di Bankitalia fischiò la fine già nel giugno del 2013 e, dopo aver rimosso l'intero consiglio, mise due commissari al comando di Banca Marche. La causa civile contro gli amministratori decaduti e l'ex direttore generale Massimo Bianconi è però partita solo nel giugno dell'anno scorso. E la prossima udienza è stata fissata tra più di sei mesi, in ottobre. Tre anni fa anche la procura della Repubblica aveva aperto un fascicolo sulla gestione dell'istituto marchigiano.
Al momento però si è concluso solo un primo filone dell'inchiesta penale. Un filone marginale, che riguarda Bianconi, per molti anni uomo forte dell'istituto, e due imprenditori (Vittorio Casale e Davide Degennaro), tutti indagati per corruzione tra privati. Nel frattempo, il 15 marzo, per Banca Marche è arrivata la dichiarazione d'insolvenza. Il provvedimento era in qualche modo scontato, dopo la liquidazione decisa a novembre con il decreto del governo. Adesso però, per effetto di quest'ultima pronuncia del Tribunale, le ipotesi di reato nei confronti dei vecchi amministratori si allargano anche alla bancarotta fraudolenta. Vale lo stesso discorso per Banca Etruria e Carife, entrambe insolventi da metà febbraio. Per Carichieti invece la pronuncia del tribunale fallimentare è attesa non prima di maggio.
Tempi lunghi, insomma, per non dire lunghissimi. Ad Arezzo, già alla fine del 2013 una relazione degli ispettori di Bankitalia sollevava pesanti rilievi sulla gestione. La prima inchiesta penale, quella che riguarda l'ostacolo alla Vigilanza, è però approdata solo il mese scorso all'udienza preliminare. Nessun rinvio a giudizio, quindi, a due anni di distanza dall'inizio dell'indagine. A Vicenza, sei mesi dopo le perquisizioni della Guardia di Finanza e le dimissioni del presidente Zonin, la procura della Repubblica ha esteso il raggio delle indagini anche all'associazione per delinquere.
I pm ipotizzano l'esistenza di una banca nella banca, un gruppo ristretto di dirigenti che avrebbe di fatto spolpato la Popolare. Al momento, però, è stata aperta una sola inchiesta, con sei indagati tra amministratori e manager (tra cui Zonin e l'ex direttore generale Samuele Sorato) per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza.
Ben più rapida si è dimostrata la giustizia amministrativa, quella affidata a Banca d'Italia e Consob. Le due Authority hanno già comminato multe milionarie agli amministratori delle quattro banche in liquidazione dal novembre scorso. Per la sola Banca Marche si arriva a 4,2 milioni a carico di 18 persone. L'intervento più recente riguarda Popolare Etruria, con 2,2 milioni di sanzioni per 27 tra ex consiglieri e sindaci dell'istituto aretino. Nell'elenco, oltre a Boschi senior, compaiono anche gli ex presidenti Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi. Per loro, il conto da pagare ammonta a 130 mila euro ciascuno. E questa somma va ad aggiungersi alle multe recapitate ad Arezzo nel settembre 2014: 2,5 milioni di euro in totale. La stangata però è solo apparente. In prima battuta, infatti, sono le banche a pagare il conto. E solo in un secondo tempo gli istituti di credito chiedono il rimborso ai multati. Ad Ancona è successo che Banca Marche ha saldato i 420 mila euro delle sanzioni comminate dalla Consob ad agosto del 2015. Alla fine, però, soltanto due degli amministratori hanno aperto il portafoglio. E così l'istituto di credito è stato costretto ad avviare un'azione legale per recuperare il dovuto. Insomma, i banchieri non pagano e le multe sono andate ad aggravare il passivo di un bilancio già prossimo al crac.
Del resto perfino manager usciti di scena tra sospetti e contestazioni varie sono fin qui riusciti a salvare stipendi e liquidazioni milionarie. È il caso di Samuele Sorato, l'ex direttore generale e amministratore delegato di Popolare Vicenza. Nel maggio scorso, la banca aveva bloccato la buonuscita del fedelissimo di Zonin. Tempo qualche settimana e il provvedimento è stato annullato da un verdetto del Tribunale. Sorato ha così ricevuto 2 milioni di euro (al lordo delle tasse) e ne riceverà altrettanti, a rate, nei prossimi tre anni. Come se niente fosse successo.
Solo il Fisco, almeno in un caso, è riuscito a chiudere la partita a gran velocità (si fa per dire). Ne sa qualcosa Giovanni Berneschi, per 25 anni dominus della genovese Carige, costretto alle dimissioni a settembre 2013. Il banchiere ora è sotto processo per reati che vanno dalla truffa al riciclaggio. Nel frattempo però ha già trovato un accordo con l'Erario sul denaro che aveva nascosto in Svizzera. Berneschi restituirà 7,4 milioni di tasse non pagate. Gli è andata bene. Il Fisco gli contestava quasi 30 milioni in nero.
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