Padoan incontra Banca d'Italia, Unicredit e Intesa per decidere come salvare BPVi, Veneto Banca, Carige e Monte Paschi
Mercoledi 6 Aprile 2016 alle 09:24 | 0 commenti
Tutti puntuali alle 9 di mattina si sono presentati a Palazzo Chigi. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, i vertici di Cassa depositi e prestiti Claudio Costamagna e Fabio Gallia, i capi delle due maggiori banche italiane Federico Ghizzoni (Unicredit) e Carlo Messina (Intesa Sanpaolo), il presidente dell’associazione delle Fondazioni bancarie Giuseppe Guzzetti, l’ad di Mediobanca Alberto Nagel e Victor Massiah, ceo di Ubi Banca, la popolare bergamasca al centro del risiko bankario. Matteo Renzi li ha intrattenuti per qualche minuto all’inizio, poi a portare la croce è rimasto solo Padoan.
Ma di che dovevano parlare i vertici del sistema bancario italiano? In sostanza di quello di cui avrebbero dovuto parlare due anni fa: come mettere in sicurezza il settore. Le emergenze sono sostanzialmente due: le sofferenze (cioè i crediti che le banche non riescono a riscuotere) sono ancora troppe e il topolino della Garanzia statale (Gacs) prodotto dalla trattativa con l’Ue non serve a chi ne avrebbe più bisogno; la necessità di capitale di alcuni istituti che difficilmente troverebbero soddisfazione sui famigerati mercati. Tutte cose che si sanno da tempo, ma ufficialmente non si dicono: “Il sistema è solidoâ€, ripete Padoan appena può.
Diverse fonti qualificate hanno riferito al Fatto Quotidiano che al centro della riunione c’è stata la discussione attorno a una sorta di veicolo “salva-banche†(o forse due) dai contorni poco definiti. Il primo e più urgente intervento è quello sui requisiti patrimoniali di alcune banche. Nell’elenco stilato ieri ci sono Popolare Vicenza, Veneto Banca, Carige e Monte dei Paschi. In sostanza si tratta di creare un salvagente per “bisognosi di capitale†in cui mettano i loro soldi Cassa depositi e prestiti (che ha il problema di non farsi scoprire a fare la banca, pena richiesta di più adeguati requisiti di capitale), le Fondazioni bancarie e i principali istituti del Paese: questo ircocervo dovrebbe garantire aumenti di capitale che si ritiene non sarebbero concessi dal mercato. Il Fatto ha già fatto un conto a spanne alcune settimane fa: si parla di 6-7 miliardi di euro, circa la metà dei quali da trovare subito. Si spera - anche se il governo non ha mezzi formali per fare pressioni in questo senso - di rinviare l’Ipo di Pop Vicenza, che dovrebbe partire entro un paio di settimane, mentre per Veneto Banca è già slittato a giugno: in ogni caso si parla di tempi strettissimi.
Ancor più fumosa è la partita sulle sofferenze, i Non performing loan (Npl): il rassemblement visto ieri a Palazzo Chigi dovrebbe inventarsi il modo di offrire una garanzia anche sugli Npl detti mezzanine e junior, vale a dire quelli di qualità non eccelsa e senza coperture sottostanti (tipo immobili, etc) esclusi dalla legge sulla garanzia statale per volontà della Commissione Ue. Senza questo strumento, molte banche dovranno rassegnarsi a perdite sanguinose.
Incredibilmente, però, di definitivo non c’è ancora nulla. L’ostacolo principale finora è stata la poca voglia di Unicredit e, soprattutto, Intesa San Paolo di imbarcarsi in un’avventura dai contorni poco chiari. “Alla fine diranno di sìâ€, vaticinano al Tesoro. “Siamo ancora al brain stormingâ€, replica una fonte. Forse, per convincerli, bisognerà concedergli qualcosa: magari gli ammortizzatori per accompagnare le loro eccedenze di personale alla porta. Indefinito è anche il ruolo di Mediobanca, che però è advisor di quasi tutto quel che si muove in giro e dunque dispone di numeri di prima mano utilissimi in casi come questi.
È chiaro che se questa fosse la strada scelta, il governo avrebbe deciso - con 24 mesi di ritardo - di andare allo scontro con Bruxelles su aiuti di Stato, bail in, eccetera: non è chiaro quale potrebbe essere la reazione della Commissione e neanche della Bce, che vigila sugli istituti più rilevanti. Il messaggio mandato al mercato, però, è univoco: siamo alla frutta, se non facciamo così tra poco ci sono rischi seri di altre “Etruriaâ€. Solo che stavolta si parla di istituti parecchio più grandi. La Borsa, infatti, ieri è crollata insieme ai titoli bancari, oggi si vedrà . L’unica cosa certa è che su questo Renzi si gioca tutta la partita e finora non lo ha fatto bene.
Di Marco Palombi, da Il Fatto Quotidiano
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