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Orazione per la festa della liberazione: oggi Luigi Poletto in Piazza dei Signori

Di Redazione VicenzaPiù Lunedi 25 Aprile 2011 alle 12:26 | 0 commenti

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Luigi Poletto, Comune di Vicenza

Premessa: il Risorgimento del mondo arabo
Care concittadine e cari concittadini, Autorità,
quest'anno la Festa della Liberazione assume per noi tutti un significato particolare per due motivi:
1) perché nel contempo celebriamo i 150 anni dell'Unità d'Italia (e lo facciamo con gioia e con onore e anche con un sereno orgoglio)
2) e perché nel contempo il vento della democrazia ha ripreso a soffiare, imprevisto e tenace, impetuoso e inarrestabile sull'altra sponda del Mediterraneo travolgendo regimi autoritari e decrepiti, allontanando dittatori corrotti e crudeli, sconfiggendo apparati arcaici e repressivi (guarda qui la nostra Photo gallery).

E noi vicentini che ci onoriamo di avere avuto tra i nostri concittadini Domenico Cariolato e Antonio Giuriolo, noi che siamo cittadini del mondo e che abbiamo capito il tormento e l'estasi della globalizzazione, non possiamo che essere solidali con le moltitudini che nella vicina terra araba, mosse dall'ansia della libertà, lottano per riaffermare la propria dignità, per difendere i propri diritti, per creare istituzioni democratiche e pluralistiche. Se così non fosse, se noi non ci ponessimo al fianco dei dimostranti di Damasco, del Cairo, di Tunisi, di Algeri, di Bengasi, di Amman, se questa solidarietà non si esprimesse con aiuti economici straordinari, con la costruzione di ponti di amicizia, con il rispetto dell'esito delle future elezioni qualunque esso sarà, con una cultura e una prassi dell'inclusione e dell'accoglienza, se non ci assumessimo questa responsabilità, allora noi tradiremmo lo spirito del 25 aprile perché significherebbe negare ipocritamente ad altri popoli quella libertà che noi abbiamo conquistato e di cui godiamo. Perché non esiste solo la banalità del male, ma anche la banalità dell'indifferenza, tanto più grave quanto più forti erano i legami tra le dittature abbattute o contestate e l'Occidente democratico.

Il 25 aprile e l'Unità d'Italia
L'Unità d'Italia e il 25 aprile dunque. Un nesso profondo lega il Risorgimento italiano alla Resistenza. Gli obiettivi del Risorgimento erano tre: liberare gli italiani dalla servitù del dispotismo, conferire loro un senso di dignità come cittadini dello Stato nazionale, affermare il merito e la capacità dell'individuo contro il privilegio di nascita. Sono gli stessi valori che poi innerveranno la lotta partigiana e alimenteranno la spinta antifascista.
I limiti del processo risorgimentale sono già stati scandagliati autorevolmente: è stato denunciato l'impianto elitario del Risorgimento e il suo essere l'esito di una "conquista regia", si è parlato di Risorgimento come "rivoluzione fallita" incapace di modernizzare la coscienza delle masse, si è descritto il Risorgimento come una "Rivoluzione passiva" per non aver realizzato la riforma agraria. Sono interpretazioni fondate solo in parte. Personalmente ritengo condivisibile la tesi secondo la quale il Risorgimento fu una triplice Rivoluzione: una Rivoluzione nazionale contro regimi grotteschi e oppressivi, una Rivoluzione borghese contro l'arretratezza feudale dei latifondi e una Rivoluzione laica contro il temporalismo clericale.
Ma soprattutto attraverso il Risorgimento l'Italia entra nella modernità e fa propri i valori fondanti della moderna cultura europea nata dalla Rivoluzione francese, il razionalismo filosofico di matrice illuminista, la libertà come strumento di emancipazione individuale e collettiva, la giustizia come orizzonte di cambiamento sociale.
Si è compiuta in questi mesi una subdola operazione culturale e politica: si è affermato che ricordare il Risorgimento significa fare della retorica e si sono evidenziati i limiti di costruzione e di gestione dello Stato Unitario con l'unico scopo di contestare le ragioni dell'unità nazionale. Contro questa falsificazione dei fatti vanno pronunciate parole nitide. A chi chiede "perché una Italia unita?" bisogna rispondere con un'altra domanda: "cosa sarebbe stata l'Italia senza l'unità?" Una Italia divisa non sarebbe sopravvissuta nell'era della formazione dei grandi stati nazionali. Senza il Risorgimento l'Italia non sarebbe mai entrata nella modernità e avrebbero vinto il privilegio, l'oppressione, la negazione dei diritti, la privazione delle libertà e l'impossibilità della giustizia. L'Italia unita è quindi stata una necessità storica e un fatto progressivo per lo sviluppo del Paese.

Il Fascismo come esperimento totalitario
Il Risorgimento rappresenta uno dei nostri due giacimenti ideali a cui attingere in una epoca dominata dalla desertificazione dei valori, dalla frantumazione corporativa degli interessi, dall'indebolimento dello spirito pubblico.
L'altro grande giacimento ideale è la Resistenza antifascista. La Resistenza ripristina quei valori risorgimentali fondanti la convivenza civile che il fascismo aveva soppresso e mortificato.
In questi ultimi anni non solo una corrente storiografica revisionistica, ma anche una interpretazione mistificatoria proveniente dal mondo politico ha dipinto il Fascismo come un regime autoritario blando ed edulcorato, una forma di Stato paternalistica e bonaria, un episodio certamente spiacevole, ma sostanzialmente innocuo della storia nazionale. No, no, no! Non è ammesso alterare i fatti della storia.
L'oblìo della storia induce il rattrappimento della ragione e il sonno della ragione - diceva Goya - genera mostri. Uno di questi mostri è il diffondersi nei giorni nostri di pulsioni razziste e di tendenze xenofobe. Se vogliamo evitare che questi mostri infettino la convivenza civile, occorre ricordare i fatti per come si sono svolti.
Se il Risorgimento italiano ha avviato il processo di trasformazione da sudditi a cittadini, il fascismo ha sottratto agli italiani la dignità di cittadini per renderli ancora sudditi. Il Fascismo ha tradito il Risorgimento perché ha sostituito al binomio di ideali risorgimentali di "Unità" e di "Libertà" un nuovo binomio di miti totalitari: lo "Stato etico" e la "Potenza"
Si è molto discusso in sede storiografica sulla natura del fascismo e sulle sue caratteristiche di fondo: si è parlato del fascismo come parentesi e malattia morale della coscienza europea, come autobiografia della nazione, come reazione di classe antiproletaria della borghesia, come modernizzazione autoritaria, come fenomeno degenerativo patologico della società di massa.
In realtà a me pare abbia ragione chi sostiene che il fascismo debba essere considerato come un fenomeno politico sorto dal trauma della Grande Guerra in opposizione radicale alla civiltà liberale. Il fascismo fu un esperimento totalitario, una inedita forma di dominio politico dittatoriale, basato sulla "volontà di potenza". Il fascismo era generato da una ideologia radicalmente antidemocratica e populista capace di mobilitare le masse attraverso dei riti e dei simboli tipici di una religione pagana. Il regime fascista si identificava nella insindacabile discrezionalità del Duce, era imperniato sulla subordinazione assoluta del cittadino allo Stato ed era assistito da un apparato repressivo garante del controllo totalitario sulla società.

La Resistenza come "Secondo Risorgimento"
Qualche anno fa si è parlato dell'8 settembre come della "morte della patria". Si tratta di una affermazione totalmente sbagliata: invece fu l'avvento del fascismo nel 1922 a decretare la morte della patria e anzi l'aver associato la nazione all'eliminazione dei diritti di libertà inquinò mortalmente il patrimonio risorgimentale e l'idea stessa di patria. La patria fascista non era concepita come comunità di destino in cui l'interesse pubblico prevale sull'interesse privato, bensì quale nazionalismo esasperato proiettato all'oppressione di altri popoli attraverso l'alleanza con il nazionalsocialismo tedesco, quel nazionalsocialismo a cui si deve la pagina più buia e oscena che l'umanità abbia mai scritto sul libro della propria storia: l'annientamento fisico degli ebrei d'Europa. Con la persecuzione antiebraica l'Italia cessò di esistere come soggetto nazionale perché una nazione che allontana da sé e sopprime una parte del popolo sulla base di un presupposto biologico non è più tale.
L'8 settembre non fu dunque la morte della Patria, bensì l'inizio di un nuovo cammino come comunità nazionale. Pietro Calamandrei scrisse all'indomani del 25 luglio 1943: "S'è ritrovata la patria". La Resistenza antifascista segna il riscatto della patria, la rigenerazione dell'Italia e fonda il paradigma antifascista che sta alla base della Costituzione Repubblicana; con la Resistenza si realizza un nuovo Risorgimento. Tanto è vero che l'evocazione della Resistenza come "secondo Risorgimento" fu uno dei principali valori del patriottismo partigiano e il richiamo al sacrificio per la patria frequentemente affiora nelle lettere dei partigiani condannati a morte.

Memoria condivisa, ma senza "parificazioni"
Lo storico Claudio Pavone ha individuato nella Resistenza l'intreccio di tre diverse guerre: una guerra patriottica per la liberazione dell'Italia dall'invasore straniero; una guerra di classe per l'emancipazione di masse popolari oppresse e per la giustizia sociale e infine una guerra civile cioè un conflitto tra parti diverse dello stesso popolo italiano. Riconoscere nella Resistenza una guerra civile significa registrare una dinamica di fatto, non significa equiparare sul piano della moralità pubblica i combattenti partigiani e i combattenti della Repubblica Sociale italiana e dimenticare che gli uni combattevano per una causa giusta e nobile - la democrazia e la libertà - e gli altri per una causa sbagliata e dissipativa.
Personalmente sono convinto che l'Italia abbia bisogno di una memoria condivisa, del riconoscerci tutti in una stessa storia. Questa memoria condivisa può e deve portate ad una pacificazione, ma pacificazione non significa "parificazione". L'umana pietà per tutti i morti della guerra di Liberazione di tutte le bandiere non può celare una operazione moralmente deprecabile di rilegittimazione e di riabilitazione del fascismo. Una memoria condivisa deve mantenere il senso della polarità di quel tempo in cui si consumò una lotta irriducibilmente antagonistica tra le ragioni vitalistiche della democrazia e la cupezza crepuscolare del fascismo.

Uno squarcio sul futuro: una nuova idea di Patria, il compimento della Costituzione, gli Stati Uniti d'Europa
A me pare che il 25 aprile non sia una celebrazione cristallizzata in un lontano passato, ma una festa ancora impregnata di vibrazioni luminose che sollecitano le giovani generazioni a dare avvio ad una nuova Rivoluzione repubblicana fondata su tre pilastri: primo una "nuova idea di patria", secondo, "il compimento della Costituzione repubblicana", terzo, "la costruzione degli Stati Uniti d'Europa".
1) In primo luogo UNA NUOVA IDEA DI PATRIA. Il fascismo aveva confiscato il concetto stesso di Patria entro la logica di un imperialismo aggressivo. La nozione fascista di patria deve essere respinta perché ripugnante caricatura della comunità nazionale. Ma la patria non può nemmeno essere un "non luogo spirituale" ridotto alla comunanza di lingua e agli inestimabili tesori dell'arte che la cultura italica ha regalato a noi e all'umanità intera. Fu Mazzini tra i primi a correlare la patria all'umanità e a un più generale dovere di fratellanza universale. Noi aspiriamo ad una idea forte di patria. Noi coltiviamo nel cuore l'idea di una patria lontana da una identità impaurita e narcisistica, noi vogliamo e amiamo una patria che sia pienamente inserita nell'era della globalizzazione, una patria aperta alle inesauribili sollecitazioni del mondo, una patria che fugga dalla tentazione di assecondare lo scontro delle civiltà e scelga di navigare nel mare aperto del dialogo tra le civiltà, una patria fondata sul "demos" - sul popolo - non sull'ethnos cioè sull'etnia, una patria che sia animata dalle molteplicità delle voci e dei patrimoni culturali, una patria che sia inclusiva e multiforme e chiami tutti alla felicità e alla civiltà dell'empatia.
2) Il secondo valore della Rivoluzione repubblicana che i giovani sono chiamati a fare è rappresentato dal COMPIMENTO DELLA COSTITUZIONE. La Costituzione ha le proprie radici nella Resistenza. La Costituzione si pone come religione civile in cui riconoscerci tutti senza distinzione e appartenenze ideologiche e attua in pienezza la democrazia la quale - come è stato autorevolmente scritto - "vuole potenti gli inermi e inermi i potenti e vuole forti i giusti e giusti i forti".
La nostra Carta Costituzionale si dipana su tre direttrici.
a) E' innanzitutto una carta di valori e noi dobbiamo difendere quei principi fondamentali in essa contenuti di libertà, di uguaglianza e di laicità dello Stato e dobbiamo farlo con rigore e tenacia, e dobbiamo farlo con passione e dobbiamo farlo con generosità.
b) E' in secondo luogo un ordinamento istituzionale, una architettura di funzioni con pesi e contrappesi che regola la vita collettiva per evitare squilibri nell'assetto democratico. Questa architettura va aggiornata - pensiamo alla potente risorsa innovativa del federalismo - ma non può essere stravolta e violentata sovvertendo le relazioni tra i poteri dello Stato, mortificando l'autonomia della magistratura, annebbiando il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
c) In terzo luogo la Costituzione è una "Rivoluzione Promessa" perché contiene in sé l'ansia della giustizia sociale e un programma di riforma complessiva della società.
Pensiamo all'art. 3: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana". Significa che ogni individuo non è solo un cittadino astratto portatore di diritti e di doveri, ma è una persona concreta con una sua spiritualità e con una sua materialità, con aspirazioni, con valori, con sentimenti, con meriti, con bisogni da valorizzare e la Repubblica si impegna a favorire l'espansione di tutte queste potenzialità.
E pensiamo al successivo art. 4: "La Repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto". Vi è qui una potente indicazione a favorire la piena occupazione, a porre il lavoro di tutti al centro delle politiche pubbliche, a disincentivare la precarietà quale condizione che impedisce ai giovani di progettare il proprio futuro.
La Costituzione è davvero un programma alto di riforma e di trasformazione dinamica del Paese.
3) Il terzo cardine della Rivoluzione repubblicana è costituito dalla necessità di COSTRUIRE UNA VERA SOGGETTIVITA' EUROPEA. L'Europa che voleva essere un autentico soggetto politico, ormai ha cessato di essere anche un progetto. Eppure l'antifascismo resistenziale abbonda di richiami alla dimensione europea quale spazio di civiltà democratica. Di fronte al declino americano e all'emergere di nuove potenze oggi economiche e domani militari,- non per un vezzo, ma per ragioni stesse di sopravvivenza - è necessario avere capacità di visione e immaginare un obiettivo ambizioso: costruire un'Europa che non sia solo il faticoso ed esangue coordinamento delle politiche fiscali e finanziarie, che non sia esclusivamente un'area commerciale con un'unica moneta, che non si dissolva nell'egoismo degli stati nazionali alla prima crisi internazionale, ma si doti di istituzioni realmente comuni e realmente rappresentative e realmente titolari di poteri decisionali Gli Stati Uniti d'Europa: ecco il sogno, ecco la rivoluzione, ecco la visione, ecco il progetto verso il quale indirizzare ogni sforzo e ogni energia.

Nell'antifascismo di Antonio Giuriolo le radici del nostro impegno
Gentili concittadine ed egregi concittadini, oggi "amare la patria" significa per certi aspetti "rifare la patria" cioè forgiarla secondo quella rivoluzione promessa che è contenuta nella Costituzione repubblicana. Un compito così impegnativo può essere sostenuto solo da una concezione elevata della democrazia e dall'antifascismo vissuto con coerenza assoluta. Ha scritto Licisco Magagnato a proposito di Antonio Giuriolo: "Questo soprattutto abbiamo appreso da lui: che l'antifascismo non era soltanto aventino e rimprovero e rimpianto, ma soprattutto protesta morale incessante, dovere assiduo di vita, impegno morale prima ancora che politico"
Viva la Resistenza, Viva la Costituzione, Viva l'Italia.


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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