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Orafo, palestinese, vicentino: il lungo viaggio di Reda

Di Angela Mignano Sabato 12 Giugno 2010 alle 16:34 | 0 commenti

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Su VicenzaPiù n. 193 in edicola da oggi, sabato 12 giugno, c'è l'auto intervista esclusiva di Reda Al Quraini, che inaugura la rubrica autogestita dei migranti ViPiù integrAzione. Ve la anticipiamo rinviandovi al numero in edicola per altre 23 pagine da scoprire (nella foto a sx la locandina del n. 193).

Orafo, palestinese, vicentino:il lungo viaggio di Reda

di Reda Al Quraini per ViPiù integrAzione in collaborazione con Angela Mignano

Dai campi profughi di Nablus a corso San Felice.
Con la storia di Reda Al Quraini, apriamo una nuova rubrica

dedicata ai migranti che hanno trovato una nuova vita in città
"Ho la Palestina nel cuore, ma ora la mia vita è qui"

Mi chiamo Reda Al Quraini, sono nato in Palestina a Nablus nel campo profughi di Ascar dove ho studiato fino alle secondarie alle scuole dell'Onu per poi fare le superiori a Nablus. Dopo ho scelto di studiare oreficeria e sono andato in Giordania in un laboratorio ad Amman, dove mi hanno consigliato di venire a fare dei corsi in Italia.

Reda Al Quraini (foto VicenzaPiù)Uno studente in Italia
Il mio arrivo in Italia nel 96-97, quando in Palestina c'era crescita commerciale, è stato per studiare oreficeria, quindi, non da profugo. Nel 97 per imparare la lingua arrivo a Perugia dove sono rimasto sei mesi e poi tramite Informagiovani mi hanno consigliato Vicenza dove ci sono tanti istituti, scuole e laboratori di oreficeria. Arrivato a Vicenza ho fatto subito richiesta per il permesso di soggiorno e mi sono iscritto alla Scuola di Arti e mestieri. E' stato un periodo molto duro: è stato molto difficile soprattutto trovare un posto dove vivere perché in pochi sono disposti ad affittare agli stranieri, anche se io ero uno studente regolare e per di più avevo una garanzia bancaria alle spalle (la mia famiglia accreditava sul mio conto un milione di lire al mese: era la condizione per aver il visto). E non avendo una casa è stato molto difficile anche ottenere i documenti di soggiorno.

Casa dolce casa
Ho condiviso quel periodo difficile con un amico anche lui studente con me; siamo stati ospitati per un mese in casa di un marocchino dove eravamo in 13 a dormire a turni. Quando ci hanno mandato via, perché eravamo in troppi, siamo stati per un po',10 giorni circa, in un hotel il cui proprietario ha capito la nostra situazione e ci ha aiutato. Abbiamo messo annunci anche a scuola senza ottenere alcun risultato. La soluzione è arrivata quando abbiamo deciso di parlare con il preside della scuola a cui abbiamo raccontato la nostra storia e che ha garantito per noi con l'agenzia immobiliare. Così abbiamo finalmente avuto un miniappartamento. Gli insegnanti hanno visto che avevo già esperienza e mi hanno segnalato alle aziende che richiedevano lavoratori ed ho iniziato a lavorare come operaio part time.

La famiglia Al Quraini a Nablus (foto personale)Il progetto
Nel 98 c'è stata la sanatoria e sono riuscito a cambiare il permesso di soggiorno da studente a lavoratore. Ho continuato a lavorare e studiare facendo i vari tipi di corsi (incastonature, design, modellistica, chiusurista, etc.) perché la mia idea era di tornare in patria per aprire un laboratorio orafo, visto che c'era richiesta: a quei tempi tanti tornavano dall'estero perché speravano nella pace e nella crescita economica, c'era un boom di rientri in Palestina e di investimenti. Nell'agosto del 2000 sono tornato a Nablus per vedere se il mercato era pronto: sono stato sorpreso dalla quantità di richieste ed ho avuto offerte sia di acquisto della mia produzione che di entrare in società. Quindi ho deciso di tornare in Italia per comprare i macchinari necessari per il nuovo lavoro.

La città vecchia di Nablus (foto Upyernoz)L'Intifada e il crollo dei sogni
In settembre però c'è stata la seconda Intifada. Ho pensato che sarebbe stata una cosa temporanea come già era avvenuto in passato, ma la situazione ha continuato a precipitare fino al 2001-2002 quando c'è stato l'inasprimento dell'occupazione. La situazione peggiorava sempre. Nel dicembre 2002, nel momento più critico, sono andato al matrimonio di mio fratello. Sapevo che Nablus era assediata ma, arrivato a Gerico, ho subito capito che la situazione era peggiore di quello che credevo perché anche i collegamenti erano difficilissimi. Per i 60 chilometri che separano Gerico da Nablus il costo del viaggio in macchina era diventato cinque volte maggiore, da 35 a 150 shekel, la moneta israeliana, visto che noi non abbiamo una moneta.
Non capivo il perché la gente accettasse di pagare cosi tanto: l'ho capito solo dopo essere arrivato. E' stato un viaggio incredibile durato 10 ore (contro i 45 min solitamente impiegati) con molti cambiamenti di strada per evitare i check point passando su sterrati. Un viaggio da carro armato, non da automobile, terminato fuori dalla città assediata. Tentavo di passare il check point e mi mandavano via, e se mi avvicinavo troppo sparavano in aria. Era freddo, pioveva ed era ormai buio. Con un altro ragazzo che conosceva una strada usata dai contadini abbiamo attraversato la montagna tra pioggia e fango e siamo arrivati alle porte della città. Ho chiamato mio padre che mi ha mandato uno zio con la macchina poiché era pericoloso uscire di notte. I primi giorni per me a Nablus sono stati terribili, perché la cosa bella negli altri viaggi era andare in centro e incontrare i miei compagni di classe. Questa volta molti di loro in piazza non c'erano più, c'erano solo le loro foto sui muri dopo che erano morti. Due giorni prima della partenza per il rientro in Italia viene chiusa la Cisgiordania, i minori di 35 anni non potevano più uscire e sono rimasto bloccato per tre mesi.

Un ritorno difficile
Riuscire ad avere il permesso di lasciare la Palestina era molto difficile, lo era anche uscire dal chek point di Hoara per raggiungere l'ufficio in cui richiedere il permesso. Giorno dopo giorno ho tentato di passare, finchè un giorno ho finto di essere italiano mostrando la carta d'identità italiana: così un soldato mi ha fatto passare, ma sono dovuto tornare lì tutti i giorni fino a quando mi hanno dato il permesso, ma non in formato cartaceo. Sono partito subito, ho pagato 120 euro per il viaggio fino a Gerico fatto con tre diverse auto per evitare i check point, superati a piedi sempre per vie secondarie, e sono arrivato a Gerico alle otto di sera, quando, la frontiera chiudeva alle 12.00. Il giorno seguente passo il controllo palestinese, ma, arrivato al controllo israeliano, mi dicono che il permesso non c'è e sono costretto a tornare a Nablus, dove gli israeliani mi confermano che ce l'ho. Quindi ritorno subito a Gerico con la macchina di un mio amico titolare di una scuola guida, ma ancora una volta al controllo israeliano il mio permesso non c'è. A questo punto devo rientrare con l'autobus ed al controllo palestinese cominciano i guai perché non risultavo uscito regolarmente quindi ero un possibile collaboratore degli israeliani: finisco in carcere, subisco interrogatori, quando la fortuna vuole che un soldato mio vicino di casa a Nablus mi riconosce e garantisce per me. Ritorno per la seconda volta nell'ufficio per il rilascio dei permessi dove scopro che il permesso quando viene dato è valido per un solo giorno. A questo punto dopo aver fatto una nuova richiesta di permesso decido di partire subito per Gerico, l'unico modo per andar via è trovarsi alla frontiera il giorno in cui sarà approvato il permesso. Così tutte le mattine alle sette il mio amico che mi ospita mi porta in macchina al controllo israeliano dove mi presento pronto a partire con i miei bagagli, ma giorno dopo giorno la speranza si affievolisce sempre di più, finché arrivo al punto di andare non solo senza valigie ma addirittura senza neanche lavarmi il viso, convinto che il permesso non arriverà mai. Ed è così che una mattina parto solo con il passaporto e dei soldi datimi dal mio amico che mi invierà le valigie con una macchina.
Al controllo della Giordania fortunatamente, poiché sono solo di passaggio per l'Italia e non un profugo che andrebbe ad aggiungersi al 70-80% di palestinesi di Giordania, mi fanno subito passare e mi danno un permesso di permanenza di tre giorni. E' la fine dell'incubo.

Palestina addio
Arrivato in Italia a marzo avevo deciso di non tornare mai più in Palestina. Qui, a Vicenza, c'era il mio lavoro, la mia casa, la mia macchina, la mia dignità di persona: in Italia si è liberi di muoversi e di esprimersi; perché tornare in un paese dove non ci sono prospettive dove non c'è dignità? Dove gli israeliani possono trattarti non come essere umano e tu devi ringraziarli di lasciarti vivere?
La mia famiglia aveva una fabbrica di mobili, soprattutto di divani, che è rimasta chiusa per circa tre anni perché si trovava proprio nella zona del check point di Hoara, con i carri armati di fronte ai tempi della seconda Intifada e dove non siamo potuti entrare mai per tutti quegli anni. Quando lo abbiamo fatto tutto o quasi il materiale era inutilizzabile e la mia famiglia ha dovuto ricominciare da capo. Non volevo più tornare in Palestina, quindi, ma poi ha prevalso il desiderio di rivedere la famiglia: sono tornato nel 2004 e poi nel 2005 per sposarmi, con i documenti per il ricongiungimento familiare già pronti per mia moglie, e sono tornato in Italia con lei.

Vita vicentina
Ho deciso di fare la mia vita in Italia. Ho comprato a Vicenza anche una casa dove vivo tranquillamente; ho un lavoro che mi piace, ma ovviamente ho sempre nel cuore la Palestina, la voglia di tornare e che ci sia la pace. Ma sono ormai coinvolto nella vita italiana. Ho fatto richiesta di cittadinanza e tra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo dovrei averla.
Il razzismo? Non ho mai incontrato persone razziste, forse perché se qualcuno è razzista non viene nemmeno a fare conoscenza con me. Ho tanti amici stranieri, anche tanti italiani e vicentini doc, con i quali ovviamente non ho mai avuto problemi di razzismo, alcuni di essi sono anche venuti a Nablus al mio matrimonio.
La crisi si è riflettuta anche sulla mia vita: da un mese sto cercando un lavoro migliore sempre nel settore orafo che è la mia passione. Nel frattempo do anche una mano a mio fratello nel nostro negozio di kebab in Corso S. Felice. Lì i profumi della Palestina si mischiano con la libertà dell'Italia.

Scritto da Reda Al Quraini per ViPiù integrAzione in collaborazione con Angela Mignano

 


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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