Il Fatto: nessuna proroga per "Popolari spa" nel Milleproroghe, può scoppiare la bomba dei diritti di recesso
Venerdi 30 Dicembre 2016 alle 08:59 | 0 commenti
L'influenza di Matteo Renzi e dei suoi proconsoli nel governo comincia ad essere un problema serio per l'esecutivo Gentiloni e per l'intero Paese. Nonostante lo stesso premier e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan avessero promesso urbi et orbi di sanare la situazione creatasi riguardo alle Banche Popolari dopo che il Consiglio di Stato ha fatto a pezzi la riforma del 2015, l'attesa proroga di sei mesi per evitare la trasformazione in società per azioni non ha trovato posto nel decreto Milleproroghe. Anche questa volta, a far presenti le superiori ragioni del vecchio esecutivo nel nuovo è stata Maria Elena Boschi, oggi sottosegretario a Palazzo Chigi.
Il governo gioca col fuoco e rischia di aprire un buco di centinaia di milioni tra gli istituti che hanno già cambiato lo Statuto e di mettere a ferro e fuoco i due che non l'hanno ancora fatto (Sondrio e, soprattutto, Bari).
Breve riepilogo. All'inizio del 2015 il governo Renzi varò un decreto che riformava le Popolari: sono banche che in Italia esistono fin dall'800, in genere in forma cooperativa, con precisi vincoli alle concentrazioni azionarie e governate attraverso il "voto capitario" (una testa, un voto) a prescindere dalle quote possedute. Secondo Renzi e Banca d'Italia questo doveva finire: quelle con attivi superiori a 8 miliardi per legge dovevano trasformarsi in "normali" società per azioni entro il 27 dicembre, pena la perdita della licenza bancaria. Coinvolti dal decreto erano dieci istituti: 7 hanno già deliberato la trasformazione, 2 ancora no, mentre Etruria è passata a miglior vita. Il "come" effettuare la trasformazione lo ha deciso Bankitalia su delega del governo. I ricorsi degli azionisti contro il decreto si sono sprecati e infine l'impianto della legge e le circolari applicative di Banca d'Italia sono state smontate dal Consiglio di Stato, che a dicembre ha rinviato il testo alla Consulta. Contestualmente i tribunali di Milano e Bari hanno sospeso sine die le assemblee delle ultime due Popolari che devono mutare pelle e consegnarsi "al più ampio mercato dei capitali" (Bankitalia).
Il problema è che fare le assemblee dopo le ordinanze del Consiglio di Stato sarebbe un suicidio. Non solo: se alla fine passasse la linea del massimo organo della giustizia amministrativa anche le 7 banche che si sono già mosse finirebbero in grossi guai.
Anche qui serve andare con ordine. I giudici hanno sospeso l'applicazione di due punti rilevanti della circolare di Bankitalia: violando il codice civile è stato fatto divieto ai vecchi soci delle Popolari di costituire una cooperativa per controllare la banca e, soprattutto, è stata sospesa l'applicazione del "diritto di recesso". In pratica, in casi come questi chi vuole uscire dall'azionariato ha diritto di farlo e l'istituto deve pagare i titoli a un prezzo stabilito. Il problema è che se i soci avessero avuto il diritto di recesso "l'operazione Popolari" non avrebbe mai funzionato: il valore di libro delle azioni di queste banche era infatti altissimo, quello reale spesso prossimo allo 0.
Se alla fine passerà la linea del Consiglio di Stato si aprirà una voragine. Qualche conto è già possibile farlo : Ubi, a fronte di richieste per 258 milioni, ne ha soddisfatte solo per 13 milioni; Pop Vicenza ha negato a tutti il diritto di recesso (richieste per soli 1,7 milioni) come Veneto Banca (14 milioni). Per Popolare Milano e Banco Popolare, che si stanno fondendo, il conto è di 207 milioni; Creval ha richieste per 8,5 milioni. Assai spiacevole la situazione di Popolare Bari: ha fissato il valore di recesso a quello attuale di libro (7,5 euro per azione, svalutato ma ancora generoso) convinta di non doverlo garantire. Se ai soci fosse offerto quel prezzo, la banca avrebbe un'emorragia di capitali. La spernaza era la proroga semestrale promessa dal governo in attesa della Consulta. Renzi & Boschi, però, hanno detto no e Gentiloni & Padoan hanno obbedito: niente di troppo sorprendente, per carità .
Di Marco Palombi, da Il Fatto Quotidiano
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