Meno salario, più partecipazione: è il "modello Vicenza" per Confindustria con Cgil, Cisl e Uil
Martedi 24 Febbraio 2015 alle 22:13 | 0 commenti
Confindustria, Cgil, Cisl e Uil della provincia Berica presentano un accordo che prevede di lasciare una parte del salario in azienda in cambio di un nuovo modello di relazioni industriali. Il ministro Poletti ha promesso un intervento ad hoc per favorire l'iniziativa. Di solito si chiama "modello tedesco", ma come nota Giuseppe Zigliotto, presidente di Confindustria Vicenza, «in Germania la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale è normata da leggi dello Stato, qui vogliamo fare tutto in assenza di una specifica legislazione».
Perciò tanto vale chiamarlo "modello Vicenza". Si tratta - per ora - di un'idea che si spera trovi applicazione in tempi rapidi, e che in sostanza si basa su uno schema semplice: differimento salariale per i lavoratori, in cambio di maggior partecipazione alla vita aziendale. A presentare l'iniziativa, le parti sociali tutte assieme: Confindustria e Triplice. Della provincia Berica, ovviamente.
«Premesso che con la crisi abbiamo scoperto tante difficoltà , tra cui la mancanza nelle aziende dei soldi del Tfr, che oggi viene giustamente girato ai fondi pensione mentre un tempo era quasi un "salvadanaio" che le imprese si potevano gestire - dice Zigliotto - con i sindacati abbiamo fatto un ragionamento pensando che, su base volontaria, i lavoratori di alcune aziende grandi e sane potrebbero lasciare una parte del loro stipendio, una quota degli straordinari, o comunque una parte del reddito lordo in azienda. In cambio le imprese interessate dovrebbero prevedere forme di partecipazione dei nuovi dipendenti-soci. Si può pensare a un posto in Cda, alla creazione di un comitato specifico o altro. Chiaramente servono alcune garanzie e alcuni incentivi e per questo domenica scorsa abbiamo parlato col ministro Giuliano Poletti. Per qualche settimana il dicastero del lavoro è alle prese col Jobs Act, ma il ministro si è mostrato molto interessato e confido che per l'estate ci vengano date le risposte che aspettiamo».
Trattandosi per ora di un sogno che muove i primi passi è bene evitare previsioni, ma è chiaro che se dovesse funzionare e se riuscisse a imporsi prima a Vicenza e poi altrove, sarebbe una svolta nelle relazioni industriali. Di fatto si passerebbe da un modello basato sul conflitto a uno incardinato sulla condivisione. Il che è ciò che interessa di più ai sindacati. Marina Bergamin, segretario Cgil, premette che questa intesa non cancella le divisioni sul Jobs Act: «Sia chiaro che a Roma la prima cosa che abbiamo fatto incontrando Poletti è stato dirgli ciò che pensiamo del Jobs Act, cioè tutto il peggio possibile - chiarisce - perciò a questo tavolo le visioni su quel provvedimento restano radicalmente differenti». E tuttavia il "modello Vicenza" è un'altra cosa. «Come Cgil - spiega Bergamin - non ci interessa fornire alle aziende una fonte di finanziamento. Se succede bene, ma non è quello il nostro mestiere. Ci interessa però molto il tema della partecipazione perché siamo convinti che possa migliorare la qualità delle relazioni industriali».
«A Vicenza - nota il segretario Cisl, Gianfranco Refosco - la collaborazione imprese/lavoratori è sempre stata un modello vincente. Io ritengo che questo ulteriore passo avanti porti vantaggi per tutti, perché se un lavoratore investe nella sua impresa, questa deve investire in quel lavoratore». Il che significa non solo un rapporto umano migliore, ma «condivisione, trasparenza, coinvolgimento». «In definitiva - prosegue Refosco - è un modo per aumentare la produttività , perché l'azienda si trova ad avere più risorse finanziarie ma anche più saperi, con lavoratori attivi nell'organizzazione e gestione aziendale». Certo, occorre che ora il governo si dia una mossa, perché gli aspetti da chiarire sono moltissimi.
Anzitutto dev'essere specificato che il contributo volontario del lavoratore interessa il salario lordo (se interessasse il netto si pagherebbero due volte le tasse). Poi occorre prevedere qualche incentivo economico o fiscale affinché gli interessi generati da questi risparmi siano migliori di quelli di mercato. Inoltre va sollecitata l'iniziativa delle banche che sono gli inevitabili intermediari dell'operazione (dato che le aziende per ragione sociale non possono raccogliere risparmi). Ciò a sua volta apre il tema dell'eventuale investimento del salario differito in mini-bond aziendali. Ed è pure evidente che sarebbe gradita una garanzia pubblica sui risparmi lasciati in azienda. Va infine ribadito che l'iniziativa non può riguardare le aziende in crisi, ma solo quelle grandi e sane, con almeno 100 dipendenti, e con rating investment-grade. Mille questioni che attendono le risposte del ministro Poletti e del governo. Come nota il segretario Uil, Grazia Chisin, «questa innovazione rappresenta un salto di qualità nelle relazioni industriali»: «Per noi è una grande responsabilità - afferma - perché se partirà saremo un modello per tutto il Paese».
di Davide Pyriochos, da Venezie Post
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