Marina Alfier: la salute non è merce
Mercoledi 28 Novembre 2012 alle 08:25 | 0 commenti
Marina Alfier, Dipartimento Sanità e Servizi Sociali, Segreteria Regionale PDCI-Veneto - Sibilline ed inquietanti sono giunte le affermazioni del premier Monti al convegno sulle biotecnologie che si è tenuto a Palermo; ha usato il condizionale per far capire che il servizio sanitario nazionale "sarebbe a rischio se non si trovano altre modalità di finanziamento".
Ha, poi, attribuito generiche responsabilità alla crisi ma ha detto chiaramente che è necessario adeguarsi a ciò che avviene in altri paesi; tradotto in parole semplici significa cancellazione del Servizio Sanitario Nazionale pubblico ed introduzione del sistema assicurativo privato a totale carico dell'assistito/paziente (stati uniti docet....).
Così come i tagli alle pensioni significano dare un ruolo fondamentale alle pensioni integrative per far guadagnare i mercati finanziari, così pure i tagli di trentamila miliardi di euro fatti sulla sanità dal precedente governo e da Monti servono per far guadagnare i mercati finanziari anche sulla malattia e la sofferenza.
Dunque i tecnici bocconiani si accingono a dare il colpo di grazia ad un sistema sanitario che, pur limitato, ha garantito per decenni la salute pubblica in questo paese, salvando il principio costituzionale che tutti, in egual misura, hanno diritto alla cura e all'assistenza. Ci avevano già pensato altri, pre-Monti, a dare spallate ma ora siamo al capolinea.
Questo governo, senza remore, sta facendo gli interessi dei ricchi, dei potenti e dei padroni massacrando i ceti popolari e meno abbienti che, in assenza di risorse economiche, non potranno pagarsi l'assicurazione sanitaria e non potranno curarsi; della serie se hai i quattrini ti salvi, se non li hai sei morto! Tutto questo porterà ad un imbarbarimento complessivo della qualità della vita e delle condizioni sociali; aumenteranno le patologie e gli ammalati e il concetto di prevenzione che ha salvaguardato dall'acuzie, sarà rimosso persino dall'immaginario collettivo.
Se solo si pensa allo scenario che abbiamo di fronte, fatto di decine di migliaia di disoccupati (la chiusura dell'Ilva metterà in ginocchio 15000 famiglie), di precari, di senza reddito e di disperati, non basta più l'indignazione.
Chiediamo a tutti di non accettare questo ennesimo tentativo di azzerare i diritti dei lavoratori; di reagire con vigore e di chiedere a questo governo di andarsene subito; chiediamo a chi, seduto in parlamento, ha a cuore la democrazia in questo paese, di staccare la spina e al Capo dello Stato di assumersi la responsabilità immediata di ripristinare la legalità violata e di dare subito la parola alla gente attraverso le elezioni.
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