Mannino: Lettera aperta sul Parco della Pace
Martedi 13 Luglio 2010 alle 09:58 | 0 commenti
Pubblichiamo un intervento inviato da Alessio Mannino ai media locali, tra cui VicenzaPiù, dove lo abbiamo pubblicato sul n. 195 a pag. 6.
La polemica: è una consolazione che sa di beffa
Caro direttore,
il cosiddetto Parco della Pace è la foglia di fico di una sconfitta. Altro che vittoria, come tenta di spacciarlo un certo trionfalismo che sa di beffa.
Il movimento No Dal Molin non è riuscito a impedire la costruzione della seconda base Usa a Vicenza. Due gli ordini di motivi: uno esterno, e uno interno allo stesso movimento.
Il primo riguarda il nostro Stato, che è democratico di diritto ma non di fatto, come ha dimostrato l'aver sistematicamente negato ai vicentini l'autodeterminazione sulla propria terra. Momento culminante di una rivolta che ha reso migliore Vicenza è stato il referendum autogestito, sfida aperta ad un potere servo dell'alleato-padrone statunitense (dopo sessant'anni e fischia dall'ultima guerra mondiale, non siamo ancora diventati abbastanza grandi per dismettere il mutuo con gli Americani liberatori?), è stato però l'inizio della fine. Perché da lì in poi il movimento si è diviso, sostanzialmente scegliendo due strade entrambe illusorie. Una, fatta propria soprattutto dal moderato Tavolo di Consultazione fiancheggiatore del centrosinistra, è stata quella di battere ogni residua via legale e normativa. Ma come si poteva credere che le istituzioni sorde e grigie si sarebbero ravvedute, se fin dal principio hanno mostrato di violare quelle stesse leggi sulle quali si fondano e che hanno calpestato in nome della menzogna dell'«opera di difesa nazionale» e degli intoccabili trattati bilaterali del 1954? L'altra è stata la strategia del Presidio Permanente di Rettorgole di macinare a ritmo continuo azioni dimostrative di matrice disobbediente per attestare alla città e al mondo che la resistenza continuava.
Non si è voluto imitare l'esempio della Val di Susa, dove i gloriosi montanari a decine di migliaia nel 2005 hanno fatto scudo col proprio corpo, beccandosi le manganellate della polizia, ai lavori della Tav. Non si è voluto un po' perché non si è potuto, non essendo la gente berica della pasta dei valsusini; e un po' perché l'impostazione di fondo ha puntato come marchio principale sul rassicurante mito del pacifismo. Troppo, secondo chi scrive. Perché in questo modo si è scartato a priori l'opzione valsusina, cioè la scelta pacifica ma estrema dell'occupazione del futuro cantiere, e si è fatta passare l'opposizione alla Ederle 2 come l'ennesima protesta arcobaleno, cattocomunista e perdente. Ripeto: le condizioni di una massa imponente di persone che occupano il lato dove sorgerà la base non c'erano. Ma se non c'erano, l'epilogo fallimentare era già scritto. E allora bisognava, e a maggior ragione bisogna oggi che la mancata costruzione è diventata un'utopia, ammettere di aver perso e cambiare ragione sociale al movimento. Non è più un no al Dal Molin americano: è un sì alla pace tout court. Ed è lo strumento con cui il Presidio cercherà di far mettere radici alla sua nuova ragion d'essere: creare un consenso, politico ed elettorale, intorno a sé. Se questo è, stiamo parlando di un obbiettivo perfettamente legittimo. Ma lo si espliciti, e si chiariscano i rapporti con una giunta Variati che sembra voler imbarcare proprio colui che è stato l'uomo-simbolo della malagestione filo-Usa: Cicero. Battezzare il parco con l'epiteto pacifista è il segno inequivocabile che si vuole fare di un contentino strappato nella logica consolatoria delle contropartite un monumento ad un ideale, legittimo al cento per cento, rivelatosi però controproducente. Nel nostro piccolo, da anni sosteniamo che la bussola da seguire doveva essere trovata nelle ragioni di sovranità locale e nazionale, non subordinandole alla retorica autocompiacente del no alla guerra in sé. Difatti, trattandosi di un "no" totalizzante e metafisico, si è poi tramutato nell'accettazione della riduzione del danno: l'invasione americana ci sarà , ma intanto avremo un parco su cui fare eterna testimonianza di uno sterile pacifismo. Complimenti ai pacifisti giardinieri. Di più: in passato abbiamo invitato l'anima ideologicamente più avanzata, quella appunto dei presidianti, a sfruttare la comunità aggregatasi nel tendone per superare certi schemi novecenteschi ed esplorare, dato che l'azione si riduceva al piano simbolico, nuove frontiere politiche e culturali - e basterebbe ascoltare di più il Casarini "localista", o, per dire, un Latouche avversario del modello di sviluppo sotteso alle servitù del Pentagono, invece di rimanere abbarbicati a quel ferrovecchio di Toni Negri e ad esperienze troppo lontane e diverse da noi come lo zapatismo.
Per aver sostenuto questa posizioni, il Presidio con un comunicato ufficiale sul suo sito ("Quelli che il parco della pace non lo capiscono") ci ha dato in pratica del disfattista, del traditore, del voltagabbana, del "Giuliano Ferrara in salsa berica". Addirittura dell'imboscato perchè in questi anni ci saremmo limitati a "digitare sentenze" col culo sulla sedia. Non vogliamo tediare chi legge facendone un fatto personale, ma accusare di essere un venduto chi osa criticare una linea politica secondo noi ipocrita e fasulla è la spia che un po' ci abbiamo preso, e il dito è stato messo nel punto dolente. In pratica, ci è stato rinfacciato di fare il proprio mestiere, cioè di scrivere, di osservare la realtà con onestà intellettuale. Il che non preclude di prendere posizione con le armi che si sanno maneggiare meglio, che per quanto ci riguarda è la penna (con la quale, assieme a Marco Milioni, abbiamo dato firmato un Appello contro il baratto dignità -compensazioni teorizzato dall'infido Patto per Vicenza di lorsignori "riformisti"), e che tuttavia impone di non mettere mai in standby il proprio senso critico. Perché un giornalista può e deve prender parte, ma non deve mai essere organico ad una parte. Certo, anche il giornalista è un cittadino, ma se vuole essere tale questo non deve significare arruolarsi in un esercito. Siamo sempre stati contro il Dal Molin yankee, ma mai embedded del Presidio o di qualsiasi altro partito che non sia il partito della nostra personale coscienza. Saremmo curiosi di sapere che ne pensano gli altri giornalisti e i cittadini di Vicenza. Quelli almeno disposti al confronto senza anatemi.
Alessio Mannino
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