Lo zelo dei servitori
Domenica 19 Febbraio 2012 alle 11:35 | 0 commenti
Di Giorgio Langella
Vorrei fare una domanda al GDV (e a Gian Marco Mancassola che firma venerdì 17, in prima pagina, l'articolo intitolato "Gli scalpellini del Politburo berico" **). Giusto rimarcare la cancellazione del nome di Enrico Hüllweck dalla targa (una cosa incomprensibile e talmente "strana" da sfiorare l'idiozia), ma che dire della sistematica cancellazione di intere notizie da parte del Giornale di Vicenza? Mi riferisco alla questione Marlane Marzotto.
In questo caso pare che esista una specie regolamento che impedisce pubblicare anche solo la sequenza di caratteri "m a r z o t t o" associandola a notizie scomode come quella di un processo. Un'opera di zelante servilismo che dovrebbe imbarazzare chi la permette e chi la attua. In questa maniera si tenta di soffocare la verità con il silenzio. Ma che decine e decine di lavoratori della Marlane Marzotto si siano ammalati di cancro e siano morti, che ci sia l'alta probabilità che il terreno vicino allo stabilimento sia stato utilizzato come discarica di rifiuti pericolosi, che i vertici della Marzotto siano imputati di reati gravissimi, che il processo non parta a causa di impedimenti di carattere procedurale e cavilli di varia natura, sono fatti che rimangono. Fatti che nessuno può cancellare. Nonostante le "sottovalutazioni", la prudenza, l'omertà e le connivenze di tanti. Tra cui tutti gli "scalpellini" che, obbedendo anche a qualche editore, urlano per la pagliuzza e cancellano la trave.
Giorgio Langella
**
"GLI SCALPELLINI DEL POLITBURO BERICO
(Il Giornale di Vicenza, venerdì 17 febbraio 2012 , pagina 1)
I Vip dell´antica Roma la consideravano la pena più umiliante. Era la damnatio memoriae, la condanna all´oblìo che spettava agli hostes dell´Urbe, ai nemici della città eterna. Il Senato prescriveva, gli scalpellini eseguivano: le statue equestri degli imperatori venivano disarcionate, sgretolati i busti, liquefatti i sesterzi con l´effige del potente caduto in disgrazia: ma più di tutto sparivano i nomi da iscrizioni e lapidi. Era l´abolitio nominis, la cancellazione di ogni segno lasciato da vivi e destinato a essere tramandato ai posteri. Nel Novecento il bianchetto della storia venne consumato nei politburo dell´Unione sovietica per azzerare i compagni sgraditi dalle foto, dai documenti ufficiali, dai sussidiari. Duemila anni dopo, quella pratica torna in auge a Vicenza, città democratica fino a prova contraria, dove non è collassato alcun regime, né si ha notizia di podestà in fuga. Eppure, accade che una targa in ricordo del dramma degli esuli istriano-dalmati venga manipolata per rimuovere con perizia il nome di Enrico Hüllweck, il sindaco che fece apporre la lapide commemorativa all´ingresso della scuola di Santa Maria Nova. Il suo successore, Achille Variati, alla notizia è andato su tutte le furie, si è detto rammaricato, ha avviato un´indagine interna per sapere chi abbia dato l´ordine e ha chiesto che ogni singola lettera torni al suo posto, i puntini dell´umlaut inclusi. A prescindere dai protagonisti di questo apologo, impressiona lo zelo con cui l´opera di rimozione è stata portata a termine: in un Paese in cui non ci sono più risorse nemmeno per dipingere le strisce pedonali, abbondano tempo e quattrini nel maldestro tentativo di correggere il corso della storia.
GIAN MARCO MANCASSOLA"
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