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L'articolo 18 a Vicenza nel 1934

Di Redazione VicenzaPiù Domenica 12 Febbraio 2012 alle 23:24 | 0 commenti

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Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamo
Il dibattito sul lavoro sembra concentrarsi sempre più sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quasi a sottolineare che la questione del futuro sia solo ed unicamente questa. Tutti sappiamo bene che non è così. Se è vero che la crisi economica che colpisce il capitalismo industriale e finanziario appare di difficile soluzione con le classiche armi delle teorie keynesiane o quelle del "capitalismo selvaggio" non più possibile nella nostra cultura, ma possibili e praticate in Cina e non solo (foto d'archivio), altrettanto non appare possibile la soluzione del problema lavoro con le soluzioni indicate negli anni '70 del secolo scorso.

Abbiamo già ricordato il 22 Dicembre 2011 in questo giornale che la soluzione art.18 dello Statuto dei Lavoratori era stata impostata fin dal 1927, art. 17 della Carta del lavoro. Certo era il periodo del fascismo, ma quanto di quel'epoca, parlo soprattutto della visione corporativa è rimasto nei decenni successivi? Non si è gestito il problema lavoratori con la stessa prospettiva,arbitro lo Stato per quanto possibile, almeno fino a che non interveniva il duumvirato Agnelli-Lama? Forse è tempo di operare qualche autocritica? Certo è facile gioco negare il valore della Carta del Lavoro con il semplice, era un'epoca di dittatura e quell'articolo rimase probabilmente nelle intenzioni. Non fu così, la Carta del lavoro fu operativa. Ne abbiamo un preciso esempio proprio nella Provincia di Vicenza.

Il 19 maggio 1934 tra la Federazione Provinciale Fascista degli Agricoltori di Vicenza con il presidente Luigi Farina e l'Unione Provinciale Sindacati Fascisti dell'Agricoltura di Vicenza con il segretario generali Ottimo Andreoli, con l'assistenza di Paolo Mosele, Aurelio Stella e Bonato Domenico, fu stipulato il contratto collettivo di lavoro da valere per i casari, aiuti casari ed inservienti apprendisti che prestano la loro opera nei caseifici posti nel territorio della Provincia di Vicenza. Un contratto decentrato, che stabiliva in modo organico le Disposizioni generali, Doveri del casaro, Divieti, Limiti di lavorazione ed aiuti casari, Entità della retribuzione, Assunzione, Malattie, Ferie, Riposo settimanale e lavoro straordinario, Chiamata alle armi, Cassa Mutua, Provvedi,menti disciplinari, Preavviso ed indennità di licenziamento, Previdenza ed assicurazioni sociali, Durata del contratto collettivo, Controversie. In 17 articoli tutto veniva delineato e posto anche sotto la particolare attenzione della Magistratura del lavoro, che non è nata dopo il 1970.
Interessante scorrere gli articoli. Il casaro, art.5, veniva pagato in base al quantitativo medio di latte lavorato, la prova, art.6, durava tre mesi; le malattie, art.7, dovevano essere comprovate da certificato medico, ma dopo tre mesi, il contratto individuale era risolto. Le ferie, erano regolate, vi era il riposo settimanale, e i Provvedimenti disciplinari prevedevano: ammonimento, multa e sospensione dal lavoro. La multa non doveva superare l'importo corrispondente a mezza giornate di lavoro e la sospensione non più di tre giorni.
Come veniva risolto il problema del licenziamento senza colpa del casaro? Ecco all'art.14:"...in caso di licenziamento in tronco per colpa del casaro, nessun indennità....in caso di mancato preavviso, nei termini suddetti (due mesi), il licenziamento del casaro non sarà riconosciuto valido. Oltre al preavviso di cui sopra, compete al casaro licenziato senza sua colpa una indennità pari a giorni sette di paga per anno di ininterrotto servizio prestato nella stessa azienda, allorché la durata di permanenza in essa non superi i cinque anni: allorché la durata del servizio duri dai cinque ai dieci anni l'indennità annua sarà di giorni dieci per ogni anno di servizio ininterrotto; sarà invece di dodici giorni l'anno se il servizio ininterrotto superi i dieci anni." Vi sono poi le indicazioni anche per l'aiuto casaro e lo scottone, cui "spetteranno cinque giorni di paga per ogni anno di ininterrotto servizio."
Ben interessante e politicamente corretta la parte dell'art.14 che afferma:" Indipendentemente dal numero degli anni trascorsi in servizio presso la Latteria, l'anzianità massima del casaro non potrà essere retrodatata oltre il 18 ottobre 1922, data della Marcia su Roma."
Chiare le soluzioni, previste dal contratto, in un linguaggio chiaro e preciso. Un po' più complicato invece lo Statuto dei lavoratori nei commi dell'art.18, ma questo è un altro discorso.
Una lunga storia quella del licenziamento e sempre difficile da risolvere. L'Italia ci ha provato ben due volte, la prima per chiare ragioni, è stata abbandonata, la seconda invece può rappresentare un ostacolo a nuove prospettive. Sarebbe interessante e efficace che la questione non si riducesse al "no", ma alla proposta.
Quali orizzonti i datori di lavoro, e le rappresentanze sindacali vedono per il futuro e la questione non dipendesse solo, come in tempi lontano solo dalla compagine di governo, che come nei tempi passati sia sempre e il solo arbitro, ma recepisca invece solo l'accordo tra chi è veramente parte in causa.
Credo che ci sarebbe un buon lavoro da compiere, prima di lascialo fare al governo attuale, dove vi è più attenzione agli aspetti finanziari che non a quelli della produzione e del commercio delle aziende e dove gli addetti al lavoro non sono efficacemente considerati parte del dibattito con gli imprenditori. Il vero luogo delle soluzioni non è lo Stato, ma i protagonisti (imprenditori e coloro che esercitano un lavoro o una professione per il concorso del vantaggio di tutti, come indica la Costituzione della Repubblica Italiana. Lo Stato deve intervenire dopo. Non siamo più infatti all'epoca dove lo Stato era il datore dei diritti, questo è ancora il totalitarismo delle rivoluzioni del Novecento


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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