La Silicon Valley a caccia di "arzilli ragazzini"
Lunedi 7 Marzo 2011 alle 10:41 | 0 commenti
Se in Italia è partita l'offensiva contro gli "arzilli vecchietti" delle stanze della finanza, distinti da Diego Della valle dai motori dell'imprenditoria che rischia in proprio, anche il capitalismo americano sarà salvato dai "baby boys". Lo ha decretato la Silicon Valley, culla dell'innovazione tecnologica mondiale e laboratorio delle rivoluzioni economiche degli ultimi trent'anni.
A casa i top manager di professione, largo agli imprenditori puri, meglio ancora se giovani e dotati di fiuto animalesco. Il via lo ha dato Google, che ha messo da parte il Ceo Eric Schmidt, 55 anni, per sostituirlo con uno dei due fondatori, Larry Page, 38 anni. L'altro co-fondatore, Sergey Brin, 37 anni, dirige l'innovazione tecnologica.
La decisione è arrivata in un momento sì per il colosso della New economy (ormai New nelle innovazioni, non nella storicità ): in Borsa Google capitalizza 200 miliardi di dollari (mentre ne valeva 27 quando fu quotata nel 2004), nell'ultimo trimestre gli utili sono a quota 5 miliardi (+ 17%). Decisione, quindi ancora più significativa e presa perché la "creatura" di Page e Brin sente sul collo il fiato di Mark Zuckerberg di Facebook, rispetto al quale Page e Brin sembrano arzilli sì, ma quasi un po' vecchietti .... Sembra, quindi, diffondersi la "sindrome Microsoft": la regina dell'informatica per un'intera generazione si è sempre più burocratizzata perdendo grinta innovativa e capacità di attrarre i giovani talenti migliori da quando l'ex-ragazzino fondatore Bill Gates si è allontanato dalla sua missione e invenzione imprenditoriale.
Se la potenza in ascesa oggi è Facebook, che fa passi da gigante nella pubblicità online, la principale fonte di profitti per Google, e a cui viene data dalle ultime transazioni extra borsa una valutazione di 50 miliardi di dollari, il suo ventiseienne fondatore Zuckerberg ne ha rinviato (fino al 2012, pare) la quotazione ufficiale per non condividere il potere delle scelte con i professionisti del denaro.
Pochi giorni fa ha attaccato la Goldman Sachs, la più potente banca d'affari di Wall Street, che aveva convinto Zuckerberg ad affidarle un "piccolo" pre-collocamento, riservato a pochi privilegiati, per circa 1,5 miliardi. Ma i suoi top manager hanno combinato un disastro nel condurre in porto l'operazione con modalità così ambigue e poco chiare da rischiare un'inchiesta della Securities and Exchange Commission (Sec), l'organo di vigilanza sui mercati finanziari, che le aveva contestato la collocazione diffusa dei titoli, che per aziende non quotate, come Facebook, non possono essere posseduti da più di 500 azionisti (nascosti dalla banca d'affari sotto l'ombrello bucato di una finanziaria unica).
La banca d'affari è stata, quindi, costretta a cancellare l'operazione per i suoi clienti americani (e russi), ma il "ragazzino" Zuckerberg è rimasto indignato per la pessima figura e si è rafforzato nella sua convinzione: il capitalismo vero, quello che crea sviluppo, è un'altra cosa.
E la gara che conta tra Google e Facebook non è fatta di profitti, dividendi, relazioni trimestrali di bilancio. Se la palma della creatività giovanile passa di mano, i migliori cambiano "datore di lavoro". Il campus Googleplex sembra un parco-divertimenti, dove i Ph. D. d'informatica giocano a volley nei giardini e devono dedicare il 20% del proprio tempo a "curare le proprie idee". Ma negli ultimi tempi si è percepito l'inizio di un esodo dei cervelli: anche una dirigente di alto livello come Sheryl Sandberg è passata a Facebook, di cui è diventata direttore generale, altri "geni" sono partiti verso aziende anche più piccole, più giovani e più aperte al rischio: nella Silicon Valley post industriale le risorse umane sono tutto. O è dalle risorse umane che nasce tutto, profitti inclusi
La nascita di Google coincide con quella di un algoritmo geniale partorito dai due fondatori quando erano dottorandi all'università di Stanford, nel 1998. Facebook nasce da un'intuizione felice sui bisogni di interazione sociale delle nuove generazioni. Il caso emblematico e storico, oltre che mitico, di azienda hi-tech divenuta un simbolo potente della fantasia tecnologica è la Apple di Cupertino. Oggi la favola tecnologica californiana rischia molto perché la malattia allontana periodicamente dai comandi un ex-ragazzino fondatore, Steve Jobs, definito "il più intuitivo di tutti gli imprenditori americani". Le sue intuizioni e il suo carisma leggendario hanno convinto il mondo intero a "desiderare", prima, e a comprare, subito dopo, il computer (iMac), poi il lettore digitale di musica (iPod), poi il telefonino (iPhone) e infine l'iPad: per il lancio della sua ultima versione Jobs a sorpresa ha interrotto le cure della sua malattia per presentarlo al mondo tra il tripudio generale, dei clienti e delle borse. Jobs dopo averla creata nel 1977 lasciò la Apple nel 1985, per tornarvi nel 1997 con una missione disperata: l'azienda stava per morire. Ora è una success-story mondiale.
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