La relazione al congresso PdCI del confermato segretario provinciale Giorgio Langella
Domenica 2 Ottobre 2011 alle 19:54 | 1 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella, confermato ieri segretario provinciale del PdCI al congresso svoltosi a Magrè, la sua relazione introduttiiva e pubblichiamo.
"Ricostruire il partito comunista, unire la sinistra". Possono sembrare parole d'ordine antiche. Qualcuno, sicuramente, obietterà che sono "poco moderne". Io ritengo che non sia così. Esse derivano da un'esigenza che nasce dall'analisi della situazione nazionale e internazionale. Nascono da quanto vediamo ogni giorno, dalle condizioni di un mondo in continuo mutamento dove i rapporti di forza tra le nazioni e i popoli stanno cambiando, dove ci sono nuove e importanti esperienze di socializzazione dei mezzi di produzione e di distribuzione della ricchezza.
Esperienze che scardinano l'assunto secondo il quale la caduta del muro di Berlino e la fine del "socialismo reale" in Europa avrebbe decretato il definitivo "trionfo" del modello di sviluppo capitalista e, con esso, la "fine della storia". Il "capitalismo trionfante" si è rivelato un sistema assolutamente disastroso, incapace di fornire risposte non dico giuste, ma anche solo adeguate alle esigenze e ai bisogni dei popoli. Oggi vediamo un modello di sviluppo incapace di affrontare la propria crisi se non con l'aumento delle disuguaglianze. Capitalismo significa che la ricchezza sia nelle mani di pochi privilegiati. È un sistema non solo profondamente ingiusto ma decisamente sbagliato e foriero di conflitti e guerre necessarie per la propria sopravvivenza. Dalla caduta del muro di Berlino le disuguaglianze interne ed esterne alle nazioni sono aumentate e con esse le guerre per il controllo delle ricchezze e delle materie prime. Una situazione disastrosa che non ha risolto i problemi del mondo ma li ha accresciuti. Una situazione intollerabile.
Voglio partire da una constatazione che dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Faccio una semplice domanda. Da quando i comunisti e la sinistra non sono più in parlamento le cose, nel nostro paese, sono migliorate o peggiorate? In Italia c'è una contrazione della democrazia. Mi sembra un dato di fatto. Basta guardare quello che succede ogni giorno. Il controllo dell'informazione televisiva, innanzitutto, e dei giornali non permette una libera circolazione delle idee e delle proposte politiche. Tutto è uniformato e congruente con il cosiddetto pensiero unico. Con quanto ci impone il potere. Ho la netta sensazione, la convinzione, che l'informazione sia controllata. La censura, anche se non conclamata, esiste. Alle notizie scomode viene messo il silenziatore. Viene deciso a priori cosa può essere pubblicato e cosa deve essere taciuto. Chi dissente non ha voce né possibilità di far valere le proprie ragioni. I comunisti vengono discriminati. Succede sia a livello nazionale sia nell'informazione locale a partire dal Giornale di Vicenza (tranne Vicenzapiù, che voglio citare come esempio di ricerca di libera informazione). I comunisti organizzati non devono apparire. Per i media sono inesistenti. La censura cala subdola con il silenzio sulle notizie scomode, su chi non è allineato al sistema. Non solo. Le notizie di gran parte del mondo vengono nascoste, taciute, messe in secondo piano. Parlo di quella parte del mondo che non è governato dal capitalismo. Una vasta parte del mondo che non vuole omologarsi all'impero e che sta percorrendo strade nuove e, per molti versi, sconosciute. Percorsi di liberazione dalla fame, dalla sudditanza verso i potenti, da quell'imperialismo fisico ed economico che ha sempre cercato di soggiogare e di sfruttare popoli e continenti interi. Di questa parte del mondo non si parla, si scrive poco. Una scelta di non sapere, di non conoscere la realtà che è anch'essa una forma di oppressione e di imperialismo. Prendiamo ad esempio la realtà latino-americana in forte sviluppo economico e sociale. Cosa ne sappiamo realmente? E cosa conosciamo della Cina, del Vietnam, dell'India, del Sudafrica se non gli stereotipi che ci vengono raccontati. Eppure è con queste nazioni emergenti (o già sviluppate) che dobbiamo confrontarci. Con la loro situazione di paesi in grande evoluzione con tentativi di riscatto assolutamente innovativi per il "nostro mondo". Un confronto che dovrebbe essere alla pari. Ma la conoscenza è carente, volutamente oscura e reticente. Mi soffermo brevemente sulle esperienze dell'America Latina. Il riscatto di quei paesi fonda radici profonde nella loro "antica" tradizione, in un "nazionalismo" che ha perso quasi totalmente il carattere reazionario di qualche tempo fa assumendo valenza di un rinascimento di una realtà multinazionale. Il concetto di "nazione" ha scardinato le frontiere del passato ed è diventato qualcosa di ampio, unitario. È l'idea del riscatto dalla schiavitù, dal dominio ispano-portoghese dei "libertadores" dell'ottocento. È il sogno di Tupac Amaru II che ritorna. Un'unica patria dalla Patagonia al Bravo. Esiste la volontà di esportare esperienze innovative e non di chiudersi in se stessi. L'esempio bolivariano in Venezuela, che fonda le radici in numerose esperienze dei decenni passati (da Sandino in Nicaragua a Velasco Alvarado in Perú), prende piede, sotto forme autoctone, in quasi tutte le nazioni latinoamericane. Recentemente anche il Perú con Ollanta Humala sta seguendo questa via. Si fondano nuove alleanze tra nazioni che prima erano in storico e insanabile conflitto. Sono tentativi di costruire democrazie diverse, tentativi di riscatto nazionale (che mai deve essere confuso con il nazionalismo reazionario e chiuso entro miseri confini che ben conosciamo in Europa). L'idea di un socialismo "autoctono" percorre il continente. Le lotte degli studenti in Cile, contro un governo reazionario di destra (il primo dopo la caduta di Pinochet), sono indice di una profondo cambiamento. È una critica severa e globale nei confronti del capitalismo. Di quel capitalismo monopolistico e imperialista che aveva ridotto l'America latina nel cortile di casa degli USA. Si cercano nuove strade, nuovi percorsi. L'obiettivo è una diversa e più giusta distribuzione della ricchezza, il benessere generalizzato, la proprietà sociale dei mezzi di produzione. Questo movimento di liberazione e riscatto di interi popoli è qualcosa di definitivo? Non credo. Penso, anzi, che la lotta sia ancora molto lunga e difficile. So per esperienza che ci saranno reazioni anche feroci da parte di chi non vuole perdere il privilegio del potere. Ma il futuro, per quei popoli che mi sono particolarmente cari perché là ho vissuto la mia maturazione umana e politica, può diventare certamente migliore rispetto a quello che si poteva sperare solo pochi anni fa.
In Italia sembra di vivere la fine di un impero. Un tramonto che prelude a una notte fredda e lunga. E la cosa peggiore è che stiamo aspettando gli eventi, che si reagisce poco e male. Le condizioni di vita peggiorano e noi siamo in attesa ... rassegnati.
Non mi riferisco solo delle condizioni economiche disastrose nelle quali hanno grandi responsabilità le azioni (e le dichiarazioni) di un governo incapace che, fino a qualche mese fa, negava la gravità della crisi. Non mi riferisco neppure al torpore e alla timidezza di un'opposizione parlamentare che non propone, di fatto, null'altro che l'aggiustamento del modello di sviluppo. Parlo della questione morale e democratica del nostro paese. Una corruzione dilagante, la politica ridotta alla difesa ad oltranza di privilegi e di chi è accusato di gravissimi reati ... Da quando non ci sono più i comunisti in parlamento (assenza dovuta anche a una legge elettorale molto poco democratica e alla decisione del PD di Veltroni di "fare da solo") la situazione è veramente drammatica. La crisi sta impoverendo le famiglie, il lavoro manca o viene delocalizzato, i giovani non hanno prospettive se non di vivere una precarietà infinita, le pensioni e lo stato sociale vengono attaccati ogni giorno proprio da chi la crisi l'ha creata, le privatizzazioni hanno provocato nuovi monopoli controllati da pochi ricchi privilegiati. Una esigua minoranza controlla la stragrande maggioranza della ricchezza del paese. È una situazione complessiva insostenibile, un modello di sviluppo fallimentare che dovrebbe essere messo sotto accusa e cambiato radicalmente. Ma in parlamento, abitualmente, si parla d'altro. Le manovre finanziarie inique passano senza grossi problemi. Il richiamo all'emergenza porta anche l'opposizione ad astenersi, approvare, far finta di agire contro ... ma, alla fine, lasciare che le decisioni di un governo inadeguato e incapace diventino legge dello stato. Ci troviamo di fronte a un'opposizione sedicente "seria" che si preoccupa delle "primarie", che reputa prioritario trovare il leader, il capo. Per la maggioranza delle forze di opposizione il progetto della società che vogliamo può attendere, non è questa la priorità . E il popolo non sa a chi può dare fiducia. Berlusconi sta perdendo consensi, l'opposizione propone poco o niente di veramente alternativo. Non si sa che fare. È una situazione di attesa non si sa di che cosa ... c'è molta confusione sotto il cielo del nostro paese. Molta confusione e poche speranze. La rassegnazione sembra il sentimento comune di troppi cittadini. Stiamo vivendo la "fine dell'impero". Appunto.
In questa situazione manca la forza organizzata di un grande partito che riesca a progettare una società diversa, fondata sui principi della rivoluzione francese (libertà , uguaglianza e fraternità ) e sul valore fondamentale di quella russa: la solidarietà di classe tra i lavoratori. Manca un partito che riesca a portare avanti in fatti e azione concreta una severa critica alla società dei consumi. Che sappia progettare una società dove la proprietà dei mezzi di produzione sia socializzata, di tutti. E che indichi una speranza: quella di stravolgere l'attuale situazione dove pochi ricchi comandano e gestiscono lavoro, sapere, salute ... in pratica la vita di tutti.
Dobbiamo riprendere a sognare e costruire il nostro futuro. Non abbiamo bisogno di qualche messia che si metta alla testa di una massa di iloti, di servi. Abbiamo bisogno di organizzarci meglio, di essere più forti per portare avanti una sfida alla società che ci viene imposta. Una sfida vera che non si limiti all'accettazione del modello di sviluppo attuale (magari con qualche elemento di maggiore democrazia) ma che (un poco alla volta) lo trasformi, lo faccia crollare e ne costruisca un altro fondato sulla giustizia e sulla presa di coscienza dei lavoratori di essere la vera classe dirigente del paese. Dobbiamo operare e lottare perché i lavoratori ritornino ad avere coscienza di classe e non si adeguino a servire ma diventino "produttori" della propria ricchezza e costruttori del proprio futuro. Abbiamo bisogno di avere la forza che ci permetta di avvicinare questa prospettiva. Abbiamo bisogno di conoscenza, di capacità di analisi, di interpretazione della realtà , di progettazione, di organizzazione ... abbiamo bisogno di un Partito Comunista unico e non di tante deboli piccole fazioni in competizione tra loro.
Con questo congresso vogliamo lanciare la parola d'ordine della ricostruzione del Partito Comunista e, innanzitutto, ci rivolgiamo al PRC, alle compagne e ai compagni che militano in quel partito, per unire le forze in un'unica organizzazione comunista. Ma facciamo appello anche a tutte quelle compagne e a quei compagni senza organizzazione, che si sono allontanati dai nostri partiti, delusi da un'esasperata ricerca della differenza tra noi, dalle diatribe, dalle discussioni e dalle divisioni spesso pretestuose. Compagne e compagni: non è più tempo di divisioni uniamo le nostre (modeste) forze, costruiamo un'unica organizzazione. Un solo partito. Il PdCI lancia, con questo congresso, la parola d'ordine di "ricostruire il partito comunista". Ma questa non deve restare solo uno slogan velleitario, è un'esigenza che sentiamo necessaria per le sorti del paese. Per realizzare questo obiettivo opereremo, agiremo, lotteremo. Qualsiasi siano le risposte dei comunisti oggi con o senza organizzazione. Lo faremo perché noi crediamo fermamente che solo con un partito comunista organizzato e più forte si possa sperare di costruire una società migliore e più giusta. Noi comunisti non vogliamo ridurci a testimonianza residuale o a un "pensiero filosofico". Vogliamo essre protagonisti del riscatto del nostro paese. Vogliamo esistere, e vogliamo essere organizzati per avere la credibilità e la forza perché la nostra seconda proposta di unire la sinistra in un'alleanza programmatica non sia solo una frase velleitaria. Noi siamo convinti che si possa costruire una solida alleanza su punti programmatici con altre forze politiche e sociali della sinistra (a partire da SEL). Un'alleanza fondata su precise e radicali prospettive di cambiamento. Un'alleanza non solo elettorale, quindi, ma tendente a una ricomposizione di classe. Chiediamo la collaborazione per costruire una sinistra autonoma e alternativa, partendo dalle convergenze su temi concreti che permetta a tutta la sinistra italiana avere maggiore forza e costruire un progetto di alternativa all'attuale, fallimentare. liberismo. È necessario avere più forza per inserire nella società (come indicava Enrico Berlinguer) quegli elementi di socialismo che permettano di trasformarla dalle radici.
La democrazia nel nostro paese è sofferente. Stiamo vivendo una lunga notte dovuta anche alla sudditanza politica e culturale verso il mercato e la reazione. Troppi sono gli esempi che ogni giorno ci indicano il declino della nostra democrazia. Dalla questione morale che investe le istituzioni e i sedicenti rappresentanti del popolo, al tentativo di zittire la libera informazione, all'attacco ai più elementari diritti dei lavoratori, alla scuola pubblica, al diritto alla salute. È un continuo crescendo di dichiarazioni e azioni che umiliano la nostra Costituzione. La recente "raccomandazione", accolta dal governo, di cancellare il 25 aprile e sostituirlo con il 18 aprile (del 1948, la vittoria elettorale della DC) è sintomo di un profondo degrado. È un vero e proprio atto eversivo. A tutto questo non si può restare indifferenti. È necessario promuovere alleanze tra tutte le forze democratiche. L'unità delle forze democratiche in difesa della Costituzione è un dovere di tutti i democratici. È un nostro dovere. Diventa prioritario liberare l'Italia da Berlusconi e dal berlusconismo. Operare per costruire un programma di alleanza democratica fondato sui valori e i principi costituzionali. La nostra proposta di convergere verso un programma elettorale condiviso è rivolta a tutte le forze democratiche. Noi comunisti ci facciamo portatori di alcuni temi che riteniamo fondamentali: riforma della legge elettorale e norme sul conflitto di interessi; diritto al lavoro (tutela dei diritti dei lavoratori, aumento dei redditi, lotta al precariato, sviluppo delle forze produttive); lotta all'evasione fiscale e alla corruzione (tassazione delle ricchezze e politiche fiscali a favore dell'occupazione e del lavoro); investimenti nell'istruzione pubblica e nella ricerca; pubblicizzazione dei servizi e difesa dei beni comuni. Su questi temi possiamo costruire un programma comune, consci della distanza e delle differenze che ci separano soprattutto con il PD. Su alcune questioni che riteniamo importanti e fondamentali (partecipazione alla guerra, politica industriale - modello Marchionne) le posizioni di gran parte della dirigenza di quel partito, infatti, sono distanti dalle nostre. Riteniamo quindi che, pur essendoci l'esigenza di un'alleanza democratica che riesca a sconfiggere la destra e della quale riteniamo di dover far parte, sia oggi problematico stipulare un patto di governo a prescindere. I comunisti, quindi, ritengono di avere tutte le carte in regola e sono disponibili ad essere parte della forza necessaria a battere la cricca che oggi pretende di comandare il paese, ma non chiedono di occupare poltrone di governo o di sottogoverno. Questo porterebbe fatalmente a compromessi confusi e intollerabili e a una situazione di poca chiarezza che abbiamo già vissuto e che è stata chiaramente punita dai nostri elettori.
Il lavoro è la questione centrale del paese. Per noi comunisti italiani la contraddizione capitale/lavoro è più che mai attuale. Le politiche neoliberiste attuate, nei fatti, anche dal centrosinistra, le privatizzazioni e l'accettazione delle volontà padronali hanno, decisamente, peggiorato le condizioni di vita dei lavoratori e dei pensionati. Affrontare la questione lavoro non significa solamente schierarsi dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Non significa protestare solo quando si aprono conflitti. Certo queste cose sono importanti tanto più di fronte all'indifferenza che, su questi temi, esiste da parte della "politica istituzionale", ma è indispensabile la conoscenza, l'analisi e la costruzione di un progetto organico che ci permetta di modificare i rapporti di forza e affrontare la contraddizione capitale/lavoro con gli strumenti e la determinazione necessaria. Dobbiamo ritornare ad essere presenti ed operanti nei luoghi di lavoro, nelle organizzazioni dei lavoratori, negli strumenti di rappresentanza degli stessi. Non possiamo più essere ridotti alla pura denuncia senza avere la forza e la speranza di modificare lo stato reale delle cose. Dobbiamo essere nelle lotte e nei conflitti del lavoro con nostre proposte e prospettive. Con una strategia di politica industriale e di programmazione economica in grado di prospettare e ottenere risultati che siano dalla parte dei lavoratori e non del profitto. In questa direzione va la proposta che abbiamo fatto alle forze politiche e sociali democratiche vicentine di costruire assieme un "piano per il lavoro" provinciale. È una proposta per molti versi ambiziosa che, partendo dalla conoscenza della realtà (stiamo raccogliendo i dati per disegnare una mappa della situazione del lavoro - e del disagio - della nostra provincia per metterli in relazione tra loro e costruire la base di partenza per l'analisi della realtà ), ci permetta di interpretarla e costruire un serio progetto politico per la piena e buona occupazione nel nostro territorio. Alla costruzione di questo progetto hanno già dato disponibilità PRC, IdV, PSI, SEL, ed esponenti di Vicenza libera e Vicenza capoluogo. Un primo ottimo risultato di inizio di lavoro comune. Su questo investiremo le nostre forze e le nostre capacità .
A questa iniziativa si aggiunge la proposta unitaria del PdCI e del PRC vicentini di cooperare con tutte le forze del centro-sinistra berico e con le associazioni che ci permetta di partecipare alle prossime elezioni provinciali con una coalizione e un programma in grado di battere la destra.
Ma voglio anche ricordare le iniziative e il costante, testardo, lavoro di informazione che abbiamo portato avanti noi comunisti italiani (e per il quale abbiamo trovato un valido sostegno solo da parte di Vicenzapiù, che voglio ringraziare per il lavoro di trasparente informazione che sta svolgendo) su questioni scomode e taciute come quella del processo Marlane. Un processo che vede imputati i dirigenti della Lanerossi e della Marzotto. Alla Marlane sono morti di cancro decine di lavoratori e decine si sono ammalati. Nei pressi dello stabilimento sono stati nascosti fanghi e rifiuti tossici che hanno inquinato l'ambiente. Un disastro umano e ambientale di proporzioni gigantesche. Alla Marlane c'erano condizioni di lavoro precarie, un intreccio di condizioni e complicità che ha portato, nel tempo, a una tragedia inimmaginabile. Una tragedia che abbiamo vissuto anche alla Tricom di Tezze. Quello che è successo alla Marlane è stato taciuto per anni. Quello che è successo alla Marlane è taciuto ancora oggi. È l'esempio (con la Tricom e tanti altri casi simili) di un modello di sviluppo e di produzione che rifiutiamo. Un modello che mette al primo posto il profitto, il guadagno personale. Un sistema che umilia i lavoratori e li rende simili a ingranaggi, parti di un meccanismo che serve solo a produrre ricchezza per pochi privilegiati. Questo modello noi lo combattiamo, lo vogliamo scardinare, distruggere. Il lavoro non è una merce, i lavoratori non sono ingranaggi. Sono persone, vite, hanno speranze e diritti. Devono continuare ad averli. Per questo dobbiamo combattere. E per combattere dobbiamo conoscere, analizzare, interpretare, progettare una società diversa e più giusta.
Non elenco i 18 punti del programma per il lavoro contenuti nel documento nazionale. Ne citerò solo alcuni: la difesa per legge dei posti di lavoro con il blocco dei licenziamenti e il contrasto alle delocalizzazioni; le politiche di intervento pubblico nell'economia sulla base di un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale; l'abrogazione della legge 30 e delle norme che favoriscono la precarizzazione del lavoro; l'aumento di salari, stipendi e pensioni anche attraverso meccanismi automatici di difesa dall'inflazione (una nuova scala mobile); norme severe a difesa della sicurezza nei luoghi di lavoro (è insostenibile che nel 2011 ci siano centinaia di morti sul lavoro con un aumento, rispetto al 2010, del 14%); la difesa e il rilancio del contratto nazionale di lavoro ...
Il contratto nazionale di lavoro è sotto attacco. Un attacco forsennato da parte di imprenditori, ministri, parlamentari, esponenti sindacali e politici (anche membri di spicco dei partiti dell'opposizione parlamentare). In questo attacco si inquadra, a mio avviso, l'accordo firmato da Confindustria, CISL, UIL e anche da CGIL il 28 giugno di quest'anno (e controfirmato solo pochi giorni fa). Un accordo che, se da un lato ha permesso di far uscire la CGIL dall'isolamento interrompendo un ulteriore consolidamento della pratica degli accordi separati e delinea regole per la certificazione della rappresentanza sindacale, ha introdotto alcuni punti che ritengo estremamente delicati e pericolosi. Mi riferisco soprattutto alla questione delle deroghe al contratto nazionale (che vengono chiamate "intese modificative") e alla priorità data all'impresa che traspare in quel documento (in maniera particolare nella premessa). Un accordo, quello di fine giugno, che è stato contrastato dalla FIOM e che è stato, di fatto, superato e peggiorato dal famigerato articolo 8 della recente manovra del governo. In pratica, con l'articolo 8 si stabilisce per decreto che il contratto nazionale e, anche, le leggi dello Stato possono restare fuori dai cancelli delle fabbriche. Contratto nazionale e leggi non hanno valore nei luoghi di lavoro perché possono essere stravolti da accordi privati tra padroni e rappresentanze sindacali maggioritarie in azienda. Una norma aberrante che decreta la differenza di diritti tra i cittadini a seconda del luogo dove stanno operando. In alcune fabbriche leggi che dovrebbero essere valide per tutti, non hanno alcun valore. I principi e i diritti universali non esistono più, sono superati da regole parziali e individuali. È lo stravolgimento della Costituzione. Una maniera subdola di dividere e disgregare lo Stato. Mentre la lega nord, in palese difficoltà , rispolvera la parola d'ordine della secessione della "padania" (un obiettivo, questo, palesemente eversivo e che, invece, sembra essere sottovalutato essendo relegato al mito di quel "folklore urlato" che si ritiene normale per gli esponenti della lega) e quindi la divisione territoriale del nostro paese, il ministro Sacconi (con l'appoggio benevolo di molte "parti sociali") a nome e per conto del governo (e non solo) introduce regole e normative che dividono i lavoratori azienda per azienda, fabbrica per fabbrica. Una frammentazione che disgrega il tessuto sociale italiano, cancella la solidarietà e mira alla sudditanza nei confronti di chi detiene il potere. Disgregazione della nazione territorialmente e socialmente: due facce della stessa medaglia. Due aspetta di una politica reazionaria, che vuole riportarci indietro al tempo nel quale i lavoratori e i cittadini erano sudditi.
Ritengo che questa situazione sia dovuta anche dalla fuga della Politica (quella nobile) dai luoghi di lavoro. Abbiamo abbandonato le fabbriche, le aziende. Le conosciamo poco. Conosciamo poco le condizioni di lavoro che si vivono. L'azione che viene portata avanti è solo sindacale, spesso parziale e si limita a rispondere all'attacco padronale, ai licenziamenti, alle delocalizzazioni, alle chiusure. È solo una contrattazione che si svolge caso per caso. Noi comunisti italiani siamo convinti che la CGIL e la FIOM siano state e siano il principale e più forte baluardo per la difesa della democrazia nel nostro paese e che dobbiamo appoggiare le loro lotte. Non possiamo, però, limitarci ad affiancarle. Dobbiamo organizzarci politicamente dentro i luoghi di lavoro e nelle lotte. E dobbiamo armonizzare la nostra azione di comunisti coordinando politicamente i nostri compagni attivi nei sindacati. La politica deve ritornare nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro. Dobbiamo impegnarci per ricostruire quella solidarietà di classe che si è persa e che abbiamo dimenticato. La responsabilità , la colpa, è soprattutto nostra. Ci siamo interessati ad altro e il risultato è stato ed è disastroso. Io ritengo che quella di ricostruire la coscienza di classe tra i lavoratori sia una battaglia che deve essere combattuta e vinta.
La "storia non è finita". Il capitalismo non ha trionfato. Il profitto non può essere e non è il fine ultimo di vita. Non siamo tutti nella stessa barca e non dobbiamo remare tutti nella stessa direzione. La lotta di classe non è finita e non può essere dimenticata. È solo "sospesa" anche per il nostro timido torpore, per il nostro "sentirci sconfitti". Dobbiamo sempre avere chiaro che i padroni hanno la loro "solidarietà di classe". Hanno, e molto sviluppata, la coscienza di essere una casta di privilegiati e agiscono di conseguenza. Anche se hanno fallito, anche se hanno preferito la speculazione alla produzione, anche se hanno delocalizzato, anche se hanno portato la nostra ricchezza nei paradisi fiscali, anche se hanno letteralmente rubato, oggi si propongono palesemente come futuri governatori dell'Italia. Governatori al servizio della BCE che, come si legge nella ormai famosa lettera di inizio agosto, comandano cosa fare. E il fare, per lorsignori, significa far pagare la crisi ai lavoratori e ai pensionati, far guadagnare gli speculatori, liberalizzare e privatizzare ogni bene pubblico, distruggere lo stato sociale. Stiamo attenti perché se cade Berlusconi (e tutti lo vogliamo, sappiamo che è la condizione necessaria per sperare di uscire dal disastro che stiamo vivendo) resta la confindustria che non sa far altro che scrivere un "manifesto per l'Italia" che contiene proposte uguali a quelle che hanno portato il paese al disastro. Resta Marchionne e il suo "metodo". Un metodo che vuole far tornare indietro la Storia togliendo i diritti a chi lavora e cancellando quella democrazia e quella libertà che i lavoratori hanno conquistato con lotte durissime. Stiamo attenti e vigiliamo. Abbiamo bisogno di una forza maggiore e meglio organizzata. Divisi contiamo poco e, spesso, ci perdiamo in dispute inutili. Litighiamo sulle sigle, sui leader, sui "messia". Litighiamo per le virgole, i punti, i puntini di sospensione. E perdiamo di vista l'obiettivo di costruire una società migliore, un modello di sviluppo alternativo all'attuale.
Per questo, per continuare la lotta con più determinazione, vogliamo ricostruire il partito comunista, unire la sinistra e costruire un'alleanza democratica che si fondi su pochi e chiari punti programmatici e non sulla spartizione delle poltrone.
Finisco con un saluto personale a tre compagni ai quali sono legato da un profondo affetto. Tre compagni che mi hanno insegnato molto. L'hanno fatto con il loro esempio, senza mai imporre nulla, così, semplicemente. Compagni integerrimi, esempio di quella trasparenza e di quel disinteresse personale che sono caratteristiche proprie dei veri comunisti. Quando penso a loro so che la politica dovrebbe essere praticata solo da veri signori quali loro sono. E, osservando la schiera di affaristi disonesti e ambigui, che oggi occupano istituzioni e potere, capisco che la "questione morale" sia il problema principale del paese.
Quirino Treforti, Eugenio Magri e Luciano Bottini di Padova sono dei maestri. Io intendo lottare perché la loro storia, il loro esempio possa essere il nostro presente e il nostro futuro. Assieme dobbiamo riprendere in mano la capacità di lottare e di progettare un mondo diverso. Non abbiamo nulla da perdere se non le nostre catene.
Giorgio LangellaAccedi per inserire un commento
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L'obiettivo che vi siete posti è ambizioso, talmente ambizioso da poter apparire velleitario. Ma velleitario non deve essere.
Un'Italia in cui il Presidente della Repubblica Napolitano è costretto dai fatti a dover intervenire per ribadire verità evidenti che la destra, adusa alla manipolazione dei fattie quindi delle coscienze, cela e stravolge quotidianamente. Un'Italia in cui il tessuto sociale è strappato ed in cui la parola onestà è spesso usata come sinonimo di ingenuità. Un Paese in cui la solidarietà e la giustizia sociale spesso sono ignorate. In quest'Italia non c'è più spazio per una sinistra divisa nè per un centrosinistra incapace di progettare ed agire in maniera unitaria.
Per questo l'unità della sinistra deve cessare di essere utopia.
Noi socialisti siamo convinti che la funzione di testimonianza che come voi quotidianamente abbiamo svolto sin oggi debba cessare per lasciar spazio all'opera di tessitura di una nuova trama sociale.
Solidarietà, eguaglianza, giustizia sociale sono i valori che devono ispirare questo rinnovato compito della nuova sinistra unita.
La scuola, la sanità, in maniera diversa il lavoro, devono essere il campo d'azione di una nuova sinistra che lotta per restituire ai cittadini la consapevolezza e quindi anche la responsabilità delle proprie azioni. Una vera rivoluzione sociale. Riecheggiano nella mente le parole di Saragat, una rivoluzione del pensiero, la rivoluzione del pensiero degli italiani che negli ultimi venticinque anni sono stati addestrati inconsapevolmente all'incoscienza ed all'irresponsabilità.
Cari compagni, il vostro partito ha avviato nel vicentino una meritevole azione di coinvolgimento delle forze del centrosinistra. Auspico che il vostro sforzo iniziale possa dar vita ad una collaborazione duratura e solida di tutto il centrosinistra e che raggiunga un primo successo alle prossime elezioni provinciali.
Fraterni saluti
Luca Fantò
Segretario provinciale del PSI Vicenza