La questione morale
Giovedi 28 Luglio 2011 alle 11:39 | 0 commenti
Giorgio Langella, PdCI, FdS - Trent'anni fa, il 28 luglio 1981, veniva pubblicata su "La Repubblica" un'intervista del segretario nazionale del PCI Enrico Berlinguer sulla questione morale (clicca qui). Quell'intervista è diventata un punto fermo nella Politica italiana. La politica onesta, quella che dovrebbe essere la normalità e che, invece, è diventata qualcosa di raro. Per i comunisti italiani quell'intervista fu un'iniezione di fiducia, sicurezza e orgoglio. Il PCI si dimostrava, per l'ennesima volta, un partito diverso da ogni altro.
Un partito che era ingrado (tutto il partito, non solo il segretario nazionale) cogliere il disagio, prestare la dovuta attenzione a ciò che accadeva nella società , proporre soluzioni e lottare per realizzarle. Le risposte di Berlinguer alle domande di Scalfari, sono serie, rigorose, ricche di contenuti ancora attuali. Come sempre attuale è la critica (oggi come ieri) secondo la quale noi comunisti saremmo legati al passato, saremmo "vecchi". Già allora fummo tacciati di essere "conservatori" e di non saper cogliere il "nuovo che avanza". La modernità (si diceva e si afferma ancora oggi) non è dei "vecchi comunisti", è da un'altra parte. Infatti, e le notizie che leggiamo in questi giorni lo confermano, la "modernità " come la intendono lorsignori è quanto di più incompatibile esista rispetto all'onestà . Domandiamoci se la trasformazione dei partiti in comitati di affari che occupano le Istituzioni democratiche è qualcosa di "moderno" o di "criminale". Domandiamoci se la corruzione e il malaffare siano "lmodernità ". E se l'aver subordinato la politica all'economia e alla finanza è stata una scelta moderna o un ritorno al passato quando i diritti erano uguali solo per i ricchi.
I comunisti erano e sono diversi perché pensano che sia necessario che la politica debba essere trasparente e onesta. Sono convinti che la politica debba essere prioritaria rispetto al mercato e agli affari. Quella dei comunisti è la stessa diversità che passa tra chi accetta come ineludibili i cambiamenti imposti da altri e chi, invece, vuole costruire il proprio futuro e lottare per trasformare la società . È la stessa differenza che esiste tra l'essere conformista e l'essere rivoluzionario. Essere rivoluzionario, oggi, vuol dire lottare per difendere i diritti di tutti e dare a chi lavora la proprietà dei mezzi di produzione. Significa non rassegnarsi mai, non accettare le cose come sono, rifiutare l'individualismo come motore di una società sempre più incline allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Rivoluzionario è chi ha ancora la capacità di indignarsi e non riesce ad essere indifferente. Questa capacità , questa diversità è stata ed è la caratteristica dei comunisti italiani e della loro azione politica. Dei comunisti e non di chi si è trasformato in qualcosa d'altro accettando quanto imposto da lorsignori. Di chi ha deciso di omologarsi a chi intende la politica come la maniera più rapida di fare affari. Il risultato di queste scelte e l'assenza dei comunisti nel Parlamento è che diventa sempre più difficile distinguere la diversità . Tutti appaiono ugualmente propensi ad perseguire interessi personali. Il tutto è aggravato da una crisi che sta impoverendo lavoratori, pensionati e famiglie. In questo contesto diventa quasi logico proporre soluzioni alternative alla democrazia.
Oggi imprenditori e banchieri dicono apertamente che devono essere loro a comandare in Italia. E lo vogliono fare in maniera diretta, senza avere intermediari. Non ne hanno più necessità . La "politica" che loro stessi hanno contribuito a far degenerare non serve più. È il "mercato" che deve dettare tutte le regole. Sono loro stessi. Oggi non serve più che siano i partiti (che si sono trasformati in comitati di affari) ad occupare le istituzioni. Vogliono essere lorsignori, in prima persona, a comandare. A guidare il paese. Vogliono le "larghe intese", il "governo tecnico", la "pace sociale". E intendono qualcosa che garantisca loro profitti immensi e costringa alla sudditanza le classi meno abbienti. Rendiamocene conto questo è quanto di più distante possa esserci dalla democrazia. E questa è la nuova questione morale che dobbiamo affrontare.
Rileggere l'intervista può far venire rabbia perché risulta chiaro come la denuncia di Berlinguer sia rimasta inascoltata e la collusione tra politica e affari sia degenerata diventando una malattia mortale per la democrazia. Ricordare Enrico Berlinguer è fonte di emozioni e ammirazione per la chiarezza e la concretezza del suo pensiero; ma non può mai suscitare nostalgia o rimpianto. Il compagno Berlinguer non fa parte dei ricordi, fa parte della storia. Anzi ha fatto, assieme ai comunisti italiani, la Storia. Nelle parole di Berlinguer c'è tutta la serietà , il rigore, la diversità del PCI. È la migliore risposta a chi si chiede se un partito comunista ha ragione d'essere. Un partito comunista unito e forte non solo è utile, è necessario.
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