Italia, il colpo di Stato? E' già iniziato
Lunedi 16 Maggio 2011 alle 15:11 | 0 commenti
Riceviamo da Luc Thibault su [email protected] e pubblichiamo un documento ponderoso ma interessante da commentare per chi volesse farlo.
Italia, il colpo di Stato? E' già iniziato
Dalle pagine de "Il moderno", giornale della destra "migliorista" del PCI, che aveva Giorgio Napolitano quale suo maggior esponente, e che si finanziava con generose inserzioni pubblicitarie della FININVEST: "la rivoluzione Berlusconi [è] di gran lunga la più importante, cui ancora qualcuno si o¬stina a non portare il rispetto che merita per essere stato il principale agente di modernizzazione, nelle aziende, nelle agenzie, nei media concorrenti. Una rivoluzione che ha trasformato Milano in capitale te¬levisiva e che ha fatto nascere, oltre a una cultura pubblicitaria nuova, mille strutture e capacità pro¬duttive" (febbraio 1986, p. 115).
«Il numero di del mensile comunista Il Moderno esce con un'intera pagina pubblicitaria della Fininvest. È la prima di una lunga serie di inserzioni pubblicitarie dalla misteriosa utilità per l'in¬serzionista, dato che il giornale è semi-clandestino e vende meno di 500 copie... Intanto uno dei fondato¬ri del Moderno, l'onorevole Gianni Cervetti, alla metà di aprile è di nuovo a Mosca... E il 18 aprile l'a¬genzia Ansa da Mosca informa che in Urss, insieme al compagno Cervetti, c'è anche Canale 5" ( aprile 1987pp 126 - 127).
Da: Il curioso caso di Giorgio Napolitano,
Cadrà o non cadrà il governo Berlusconi in seguito ai numerosi processi che il thycoon di Arcore deve affrontare nei prossimi mesi? La domanda non è inutile perché per dare una risposta è necessario comprendere i processi
sociali e politici in atto negli ultimi decenni nella repubblica tricolore.
Non molto addietro nel tempo, con l'uscita dei finiani dalla maggioranza, e poi nel momento dello scoppio dello "scandalo-Ruby", l'attuale Presidente del Consiglio sembrava in effetti ad un passo dal precipizio, al punto che circolavano molte ipotesi di un dopo-Berlusconi (tra cui quella di un governo Tremonti, o quella di un governo di transizione che potesse mutare la legge lettorale prima del voto, ecc.).
Inaspettatamente, la maggioranza, ricostituitasi a suon di compravendite di parlamentari, ha retto e continua a reggere, e si appresta a far approvare alle Camere, in tempi brevi, una serie di leggi che permettano al Presidente del Consiglio di svicolare da processi nei quali, malgrado l'agguerrita armata dei suoi avvocati, difficilmente potrebbe cavarsela e nel corso dei quali, quand'anche si salvasse giudizialmente, non potrebbe altrettanto facilmente farlo politicamente.
Lotta fuori dalle regole
La lotta a morte è cominciata, e si avvale da entrambe le parti, di metodi che rompono, de facto o de jure, quelle che dovrebbero essere le regole del gioco democratico, ammesso e non concesso che nel Belpaese esse abbiano mai avuto diritto di cittadinanza.
Le rompono de facto le magistrature che stanno processando Berlusconi: certo, le accuse dei pubblici ministeri contro il padre-padrone del PDL sono più che fondate, fondatissime, ma chi può davvero credere che esse siano il mero frutto di una inflessibile applicazione delle leggi dello Stato? Di una dedizione alla giustizia politicamente neutra? Chi davvero può essere così ingenuo da ritenere - nel paese delle stragi insabbiate, nell'Italia che non riesce e non può venire a capo della mafia, della camorra e della 'ndrangheta, nello Stivale delle Logge massoniche (deviate o meno che siano), dei servizi segreti che sfuggono ad ogni controllo - chi davvero può dare credito, alla neutralità della Magistratura?
E le rompono de facto e de jure le truppe del "popolo della libertà " disposte, come dice Asor Rosa, a votare anche che gli asini volano, pur di rimanere incollate al cadreghino di un parlamento in cui la corruzione più pacchiana è ormai la regola che le poche eccezioni confermano.
Le romperebbe il Presidente della repubblica, se volesse opporsi davvero, e non solo per burla, alle leggi banditesche che stanno passando, rifiutandosi, come molti invocano, di firmarle.
Asor Rosa, affermando che solo un golpe ormai potrebbe fermare la scellerata maggioranza, e il suo leader, constata un dato di fatto, perché dopo la sfida finale lanciata attraverso processi multipli dalle lobbies che vogliono farla cadere, la lobby rappresentata dal presidente del consiglio deve forzatamente, per vincere, scardinare gli equilibri costituzionali che hanno retto la finora la Repubblica Italiana.
Un potere esecutivo senza freni
Innanzitutto, va sottomessa la magistratura. E' chiaro che, da un punto di vista costituzionale e giuridico, la realizzazione di quest'obbiettivo significa la demolizione di uno dei cardini della divisione dei poteri su cui si basa lo stato liberale classico.
Un elemento dell'architettura dello Stato che risale a epoche lontane, nella fattispecie alla democrazia ateniese e alla repubblica romana. In quest'ultima, una serie di strappi costituzionali, compiuti peraltro da tutti i partiti in campo, portarono al principato augusteo, in cui gli istituti repubblicani, pur rimanendo formalmente in vigore, erano di fatto svuotati e vanificati dalla concentrazione di buona parte di essi nelle mani del Princeps.
Oggi assistiamo ad un processo analogo: un salto qualitativo si è avuto con la famosa legge elettorale "porcata" firmata da Calderoli. Nel momento in cui l'eletto non dipende più direttamente dai voti degli elettori, bensì dalla cooptazione nelle liste elettorali da parte dei vertici dei partiti, è chiaro che il parlamento - che se in Italia è sempre stato trasformista, e in tutti i paesi capitalisti non è ormai che il terreno di scontro fra le diverse lobbies affaristiche - diviene un giocattolo nelle mani di chi può meglio pagare e garantire la rielezione.
La "porcata" ha riempito come non mai le camere di derelitti, mafiosi e prostitute (non mi riferisco solo alle donne, né, tra queste ultime, a quelle che hanno intrapreso la carriera politica attraverso antiche pratiche di concubinato); così il parlamento - che nella storia dell'Italia unita ha un'ineguagliabile tradizione di infiltrazione massonica e mafiosa - si trova oggi a ricoprire un ruolo puramente decorativo. D'altronde il suo ruolo già era stato pesantemente ridimensionato ricorrendo in maniera sempre più abituale a prassi quali i decreti legge e la fiducia (non certo inventati dal PDL, ma ampiamente usati dai governi precedenti, anche di sinistra, nonché da quelli della "prima repubblica").
Il potere esecutivo, sempre più svincolato da quello legislativo, che ha peraltro progressivamente sussunto, trova così nella Camera e nel Senato due potenti strumenti di corruzione: come il re feudale distribuiva feudi ai suoi cavalieri, come il Principe rinascimentale distribuiva prebende e sinecure, così i leader dei partiti distribuiscono redditizi seggi parlamentari ad avventurieri, furbetti e deficienti emeriti che - come esilaranti inchieste hanno dimostrato - vanno a votare (quando ci vanno), senza avere la più pallida idea di cosa.
Favole antiberlusconiane
Insomma il "golpe" - che non vuol sempre dire l'instaurazione di una dittatura, è già in progress. E il Presidente del consiglio ha già minacciato di ridimensionare anche i poteri dell'altro nodo dell'architettura costituzionale, il Presidente della Repubblica. Ma come spiegare l'apparente invincibilità di Berlusconi?
La vulgata trasmette ai cittadini-sudditi la parte confessabile della storia: il magnate di Arcore possiede tre TV, giornali, case editrici, e questi mezzi sono stati il trampolino per la sua inaspettata vittoria nel 1994; Berlusconi è a capo di un impero economico, e attraverso le molteplici attività dei gruppi FININVEST PUBLITALIA, MEDIASET ecc., può condizionare e neutralizzare (ad es. gestendo politicamente i contratti pubblicitari) le lobbies rivali; Berlusconi, una volta al potere, ha epurato la RAI e ne ha fatto un altro strumento al suo servizio; Berlusconi è ricco, e con il suo denaro può agevolmente finanziare campagne elettorali, comprare voti, deputati, giornalisti, corrompere giudici o viceversa intimidirli, e foraggiare schiere di avvocati per metterlo al riparo dalle conseguenze delle sue spericolate transazioni finanziarie, prima ancora che da quelle sessuali; ecc. ecc.
Tutto vero, ma non basta a dar ragione di una così lunga permanenza al potere. La parabola ci istruisce che il Cavaliere usa il potere per promulgare leggi ad personam che da una parte favoriscano le sue attività imprenditoriali, dall'altra la sua impunità penale. E' questa la vulgata più ingannevole, quella che, con le verità sottaciute, costituisce la cartina di tornasole, la prova provata che Berlusconi non è un tumore estirpabile chirurgicamente, bensì la punta di diamante di una metastasi che pervade ormai tutto il paese, orizzontalmente e verticalmente.
Nessun uomo, nessun gruppo di potere esclusivo e circoscritto, può reggersi al potere se non rappresenta reti di interessi ramificate nella società . Anche i dittatori più spietati non resterebbero un minuto in sella se l'equilibrio delle forze sociali, i rapporti di forza fra le classi, non li sostenessero. Analisi storiografiche ben documentate hanno ormai ampiamente sviscerato come fenomeni quali fascismo, stalinismo, nazismo, per quanto forte fosse la loro caratterizzazione personalistica, erano il riflesso di forze, magari contraddittorie, ma reali, del sottosuolo sociale. Il consenso di cui questi regimi godettero per lungo tempo non era casuale, e si spiega con la convergenza di interessi molteplici: il fascismo italiano, ad es., rappresentò l'incontro tra il malcontento delle mezze classi impoverite dal primo conflitto mondiale e dallo sviluppo del capitale finanziario, e questo stesso capitale, quello industriale e quello agrario, contro il pericolo di un forte movimento operaio in lotta. Ma non basta: con le bonifiche, con l'introduzione dell'assistenza sanitaria e pensionistica, il regime conquistò o neutralizzò ampi strati di agricoltori ed operai; con l'estensione dell'istruzione, con la riforma Gentile, con il finanziamento di artisti e intellettuali (si pensi solo alla creazione di Cinecittà ) estese il consenso ai più diversi ceti e strati.
La sconfitta della seconda guerra mondiale e lo sbarco delle truppe alleate ruppero l'equilibrio, e in un batter d'ali l'uomo così amato e temuto fu liquidato meschinamente.
Quali interessi reali dunque Berlusconi rappresenta? Quanto forte è l'equilbrio delle forze portatrici di questi interessi? Senza rispondere a questa domanda nessuna previsione sul futuro prossimo del "paese del sole" è possibile.
Berlusconi e la Mafia
Analisi e opuscoli ben documentati (ed anche solidi dati processuali, riguardanti ad es. la sua ombra dell'Utri) hanno narrato la storia del Re Mida meneghino districando i fili che annodano le ricchezze rapidamente acquisite a tre fondamentali vettori: il PSI di Craxi e della "Milano da bere" degli anni '70 e '80 da una parte, la Massonica Loggia P2 dall'altra, e infine, la Mafia , che si ritiene abbia investito notevoli somme, "lavandole", nelle avventure immobiliari di Berlusconi. Lasciando da un canto i cospicui documenti processuali e le non sorprendenti dichiarazioni di pentiti, un'analisi storica puntuale suggerisce in modo molto netto il parallelo tra:
a) l'ascesa economica prima, politica poi, del satiro di Palazzo Chigi,
b) la lotta dello Stato (o meglio settori dello Stato, non certo tutto) contro la Mafia, con gli attentati a Falcone e Borsellino,
c) la famigerata "trattativa" tra Mafia e Stato di cui di tanto in tanto parlano (molto poco, a paragone con la ridondanza dell'in sé insignificante "caso-Ruby) i giornali non direttamente registrati nei libri paga berlusconiani.
Sottolineare il legame organico di Berlusconi con la potenti cupole mafiose e piduiste non chiarifica tuttavia che marginalmente le forze sociali che lo mantengono al potere. Occorre andare più a fondo.
Quali interessi Berlusconi rappresenta?
Ai tempi del suo primo governo, per molti analisti si trattava di un fenomeno eccentrico nella marcia normale del capitalismo italiano. Quest'ultimo era stato fino ad allora dominato economicamente dai famosi "poteri forti" (il cosiddetto "salotto buono" della "razza padrona"). A livello politico, la stabilità era assicurata da due prassi di lunga e provata tradizione: l'integrazione dei partiti operai e dei sindacati maggiori allo Stato, e l'"inciucio", ovvero la spartizione della torta tra tutti gli attori della farsa politica, di sinistra e di centro, di governo e di opposizione.
L'homo novus di Arcore rappresentava invece - dicemmo allora - una rottura con tali prassi consolidate, portando al potere il proprietario di un impero economico di nuova formazione e natura, basato su settori giovani del capitalismo (come ad es. la comunicazione), estranei alle pastoie dei tradizionali gruppi dominanti, e insofferenti delle regole vigenti del mercato del lavoro, così come dei paletti legislativi che frenavano la new economy. Con tali credenziali, "Forza Italia" fu in grado di ottenere il voto di tutti quelli che del predominio di quei "poteri forti" erano scontenti: classi medie stanche di pagare le tasse a favore di grandi gruppi, bottegai impoveriti, piccoli padroni decisi ad evadere il fisco e a sfruttare a piacimento la mano d'opera senza l'intrusione dei sindacati (necessari invece alla stabilità dei grandi gruppi) . Di qui tra l'altro l'alleanza apparentemente contraddittoria di "Forza Italia" con la Lega Nord.
Giusto. Ma non era tutto. Se analizziamo l'operato dei governi presieduti dall'attuale presidente del consiglio, a distanza di anni, possiamo vedere chiaramente il filo rosso che ne lega tutti gli atti. In una certa misura egli ha goduto, certo, anche dell'appoggio dei grandi gruppi nell'opera di riforma del mercato del lavoro, che già le sinistre avevano avviato . Ma il vero sostegno stava e sta altrove.
I governi di Berlusconi al lavoro
Condoni, riduzione fiscale, certo, ma non solo. Molto di più: depenalizzazione del falso in bilancio, di alcuni reati contro la sicurezza del posto di lavoro, la riforma dell'istituto del fallimento, misure restrittive nei confronti dell'immigrazione, ecc. Fermiamoci un momento: chi maggiormente ha potuto e può trarre vantaggio da queste misure nel loro insieme (diciamo nel loro insieme perché è ovvio che molte avvantaggiano tutti i settori del capitale italiano. Ma non tutte)? Chi dunque? Tutti quei bottegai adusi all'evasione fiscale sistematica e a tutte le pratiche illegali messe in salvo dai condoni e dalla nuova legislazione, e tutti quei padroncini che, oltre a condividere in pieno le pratiche appena dette, erano e sono decisi a far soldi a suon di straordinari pagati in nero, di immigrati terrorizzati dall'idea di perdere il permesso di soggiorno se non addirittura assunti senza contratto. E, ovviamente, le organizzazioni criminali.
Quella di un Berlusconi intento a sfornare leggi ad personam è una favoletta per ingenui: le leggi che fanno comodo a lui fanno comodo anche ai piccoli e medi capitalisti del nord, e alle attività della mafia e delle imprese ad essa collegate al sud (ma anche al nord). E' in questa filigrana che si può davvero comprendere tutta la sua lunga lotta contro la magistratura. Ogni colpo alla magistratura, alla sua "indipendenza", la guerra alle intercettazioni, la diminuzione dei finanziamenti alle polizie, sono parte di una strategia che non ha affatto il solo obiettivo di affrancarlo dai processi bensì anche di liberare le forze di cui abbiamo parlato dai vincoli che le intralciano.
Mafia e Stato
I rapporti tra lo Stato e la mafia, tra la mafia e i partiti politici italiani, non sono certo una novità , ma hanno profonde radici, che il processo di unificazione nazionale non solo non ha potuto estirpare, ma è proseguito, a cominciare dall'appoggio dei "picciotti" all'impresa dei mille e dalle trattative tra Cavour e la camorra napoletana, passando per Crispi, Giolitti, fino alla Democrazia cristiana e al PSI della Prima Repubblica; legami che i libri di storia (si pensi solo al "caso Andreotti") hanno già raccontato . Ma se la Mafia e le altre cupole fossero delle mere organizzazioni criminali, non potrebbero avere la pervasività , la ramificazione, l'infiltrazione, l'influenza, i legami che in effetti hanno. Questo peso storico non è affatto diminuito a causa delle offensive militari che ciclicamente lo Stato ha sferrato, anche con successo. E' anzi aumentato.
Il motivo è semplice: la soluzione militare non è la soluzione, non è una soluzione. La mafia è un'idra dalla molte teste, teste che ricrescono e si moltiplicano non appena troncate, per la ragione ultima che solo intervenendo sulle cause sociali profonde, e non sugli effetti, il fenomeno sarebbe estinguibile: povertà , emarginazione, abbandono, ignoranza, ghettizzazione, disuguaglianze sociali, disoccupazione, precarietà , sottoproletariato sono la vera base dell'invincibilità della Mafia, così come la sua connessione profonda con le élites del Meridione è la piattaforma attraverso la quale la Mafia si è inestricabilmente connessa al potere politico fin dai vagiti dello Stato unitario. Per quanti boss si possano catturare, per quanti "pentiti" possano spifferare, ciò non è mai stato né mai sarà sufficiente a distruggere quella che a tutti gli effetti è un'istituzione, un partito, una rete di interessi di dimensioni incontrollabili.
La Mafia oggi
Una rete di interessi dunque. Con quali caratteristiche di classe? Una Mafia dedita al taglieggio, al "pizzo", e così via, sarebbe anacronistica. Ma anche i pur enormi introiti del traffico di droga non fanno giustizia della verità attuale. Certamente, lo "spaccio" è stato per la mafia un salto qualitativo, che ha consentito di accumulare immensi capitali. Ma il vero salto di qualità è quello successivo, ovvero quello in cui la Mafia deve imparare a gestire questi capitali, a investirli. A partire dagli anni '70, la Mafia sbarca a Milano. Complicate architetture di lavaggio del denaro sporco vengono erette, passando per i paradisi fiscali, Vaticano o isole Caiman che siano. Contatti e alleanze col mondo finanziario, con le banche, devono essere avviati, e tant bien que mal, sono oggi una verità di dimensioni difficilmente quantificabili, ma enorme. Essa non può essere statisticamente rilevata, in quanto molte di tali attività sono a tutti gli effetti "pulite", legali, anche se ovviamente connesse con le pratiche illegali generiche (quali lavoro nero, evasione fiscale, ecc.) e con quelle criminose tout court.
Secondo la Banca d'Italia, le sole attività di riciclaggio del denaro sporco ammontano oggi in Italia ad una cifra pari al 10% del PIL, e nel resto del mondo al 5% . Secondo stime della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale l'economia sommersa ha raggiunto nel 2001 il 20-25% del PIL globale
Perché questa verità trova - al di fuori di alcune pubblicazioni di nicchia - così poco spazio nei gruppi editoriali avversi al Cavaliere, e addirittura nella pubblicistica dei partiti di opposizione? Di certo non solo per il timore di querele. Il fatto è che anche i grandi gruppi economico-finanziari "tradizionali", in un modo o nell'altro, sono, lo vogliano o meno, coinvolti in questo vertiginoso giro di denaro, di appalti, e così via. Non è certo per nulla che i governi Berlusconi si sono dati da fare per costruire l'immagine di essere dediti alle "grandi opere" e, guarda caso, sponsor del Ponte sullo stretto di Messina.
Un altro capitolo importante della marcia trionfale di questo capitalismo criminale e criminogeno è l'enorme business dello smaltimento dei rifiuti. Da quelli urbani (vedi Napoli) a quelli delle piccole industrie che si liberano degli scarti di produzione affidandoli ad aziende "ecologiche" che, per prezzi stracciati, si limitano ad abbandonarli in qualche discarica abusiva o (con la connivenza dei poteri locali) non abusiva; fino alle scorie nucleari, di cui inchieste indipendenti e la stessa magistratura hanno denunciato l'affondamento nei mari che circondano lo stivale .
Le "ecomafie" operano oggidì a livello internazionale (si ricordi l'uccisione di Ilaria Alpi per la sua inchiesta sull'operato delle stesse in Somalia, in presenza di una coalizione armata occidentale guidata dagli USA) e hanno dimensioni mondiali, che gareggiano con quelle delle "narcomafie" e del commercio illegale di armamenti; il quale, addirittura, salda gli interessi di paesi forti produttori di armi, come la Russia, con le organizzazioni illegali che queste armi devono commerciare e trasportare. Discorso analogo vale per l'uranio. Ultimo ma assolutamente non per importanza, anzi, il commercio di braccia da lavoro che trasporta - con la complicità di stati rapaci e polizie corrotte, pronte ad opprimere nel modo più brutale i poveri sciagurati migranti - masse immense dal terso al primo mondo.
Tutti questi elementi ci aiutano a comprendere come la più recente evoluzione del capitalismo si incroci - attraverso acrobazie finanziarie, paradisi fiscali, attività illegali di dimensioni gigantesche .
"Si è enormemente innalzato il livello delle cointeressenze e dei rapporti organici tra mafia e politica e, a voler esser più precisi, tra la mafia (in tutte le sue forme antiche o del tutto inedite) e la politica ufficiale e l'economia legale di numerosi stati. Inevitabilmente, anche la nuova "mafia globalizzata" è fondamentalmente, per sua essenza, soprattutto una mafia politica e della politica[...]. Essa, pertanto, riproduce, allarga e potenzia le sue forme originarie, che ne fanno una componente importante, e non di rado decisiva, dei sistemi di potere, per quanto i loro leder siano ufficialmente "democratici", o almeno invochino la democrazia, come sta accadendo in Russia, Bielorussia, Ucraina, Polonia, Romania e un po' dovunque nelle deboli entità statuali nate dalla disgregazione dell'Urss e dell'ex Repubblica federale jugoslava [...]. Non a caso oggi, sempre basandosi sui dati raccolti dall'ONU, alcuni attenti osservatori dell'attuale dinamica geopolitica (AA.VV, "Limes", 2006) hanno rilevato l'esistenza ormai scoperta e incontestabile di veri e propri "Stati-Mafia" .
Con traffici che si dipanano dalla Russia all'Afghanistan, al Pakistan, alla Turchia, passando per i Balcani e le Repubbliche caucasiche, fino alla Libia e al sud Italia, per tacere delle magie sudamericane, il capitalismo criminale è ormai una realtà irreversibile.
"La "mafia globalizzata" tende quindi a riprodursi soprattutto come il grande parassita dell'"economia globalizzata", ovvero come una spregiudicata versione illegale e criminale (ma incline a preferire, nei limiti del possibile, il rispetto delle forme consuete della legalità ) della stessa economia capitalistica mondiale nella sua nuova fase storica"
Tenendo a mente questa realtà sempre più pervasiva, si capisce allora come Berlusconi, proprio per i suoi organici legami con questo capitalismo criminale e criminogeno, sia tutt'altro che un fenomeno estemporaneo.
Fiacchezza delle opposizioni
La battaglia fra governo e opposizione su questioni quali le nomine nella RAI, nelle fondazioni, nei consigli di amministrazione delle imprese parzialmente o totalmente a capitale pubblico, è furiosa, non c'è che dire. Ed è vero, anche, che le leggi ad personam volute dal premier ricevono un'attenzione costante da parte dell'opposizione e dei media legati a gruppi economici disturbati da Berlusconi, ossia dall'invasività e spudoratezza con cui egli usa il governo come "comitato d'affari" delle sue imprese e dei gruppi amici, invece che dirigerli verso la difesa di interessi nazionali e collettivi del capitalismo nostrano.
Grandi sono all'opposto la cautela e la circospezione quando si tratta del rischio di uscire "dal giro" delle commesse poi subappaltate ad aziende "mafiose", o da quello di perdere l'opportunità di liberarsi in modo "economico" dei rifiuti tossici, o, ancora, da quello che le banche temono: veder trasferire altrove i grandi capitali immessi nel sistema finanziario dalle mafie. E la filiera degli interessi speculativi, degli appalti, del riciclaggio di denaro, dello smaltimento dei rifiuti, è lunga e significativa. Grandi aziende come la Maltauro, Impregilo, ecc., politici di sinistra come Bassolino & co., fino alle Coop, partecipano al banchetto. D'altronde l'alleanza strategica tra l'illegalità relativa dei padroncini che costituiscono il nocciolo duro dell'elettorato leghista e l'illegalità assoluta delle mafie del sud è essa stessa una manifestazione di un equilibrio di forze e di classi che non può essere cancellato: non è certo un caso se il PD continua a corteggiare la Lega in tutti i modi. "Il federalismo fatelo con noi!", ha gridato Bersani, in fregola di ribaltone, agli inizi dello scandalo-Ruby.
Ecco perché Berlusconi è così forte e le opposizioni così fiacche, ed ecco perché in realtà l'eventuale caduta del leader non avrebbe l'effetto che molti ingenui (tra cui includiamo lo stesso Asor Rosa) sperano, di riportare all'indietro le lancette della storia al capitalismo liberale, "buono e onesto", che si limitava a estrarre in modo elegante il plusvalore con tutti i crismi della legge. Per rendersene conto basti pensare al governo regionale siciliano, assicurato, almeno fino a pochi giorni fa, prima dell'usicta del Partito della Libertà , da una coalizione di cui facevano parte quasi tutti i partiti dell'arco costituzionale, con l'"appoggio esterno" del PD.
Una battaglia, quella contro Berlusconi, disonesta da parte di quei partiti che non hanno il coraggio di dire fino in fondo come stanno le cose, perché a quel punto dovrebbero confessare i propri scheletri nell'armadio. Una campagna donchisciottesca, a sua volta, da parte di chi è in buona fede. Tutt'al più, la caduta del multimiliardario porterebbe ad un equilibrio in cui i vecchi "poteri forti" avrebbero maggior voce in capitolo, ma in nessun caso ad un rovesciamento del trend di fondo della commistione sempre più serrata tra capitalismo, finanza e le grandi organizzazioni criminali.
Non è un processo italiano ma internazionale. L'Italia, ancora una volta, come ai tempi del fascismo, elabora e sperimenta.
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