Il Dal Molin e l'arte di chiedere scusa
Mercoledi 26 Maggio 2010 alle 18:48 | 0 commenti
Riconoscere di essersi sbagliati non è mai facile. Farlo e chiedere pubblicamente scusa è ancora più raro. Soprattutto se si tratta di politici, che di regola non ammettono di aver torto neanche sotto tortura. Per questo ci ha colpito una notizia apparsa lunedì 24 maggio nella pagine interne del Corriere della Sera: in Giappone, il primo ministro Yukio Hatoyama ha preso l'aereo ed è voltato ad Okinawa, sobbarcandosi 1500 chilometri di viaggio solo per chiedere scusa. Per cosa? Per non essere stato in grado di mantenere l'impegno preso in campagna elettorale di spostare dall'isola, che ospita tre quarti delle installazioni militari statunitensi in territorio nipponico, la base dei marines di Futenma.
La base si sposterà , sì, ma resterà all'interno della prefettura di Okinawa, come previsto da un accordo tra Giappone e Stati Uniti del 2006. "Il riposizionamento di Futenma dovrà avvenire all'interno dell'isola - ha dichiarato Hatoyama -. Chiedo scusa dal profondo del mio cuore per la confusione che ho provocato alla popolazione di Okinawa per non essere stato in grado di mantenere la mia promessa".
Che i giapponesi abbiano un senso dell'onore molto radicato è risaputo da quanto inventarono l'harakiri. Che in Italia le cose non funzionino allo stesso modo, e che anzi parole come responsabilità e pudore abbiano significati molto vaghi, è altrettanto noto. Certo il paragone stride. Da noi Prodi, che pure sulle servitù militari aveva inserito nel proprio programma una frase talmente fumosa da permettere di leggervi tutto e il contrario di tutto, è andato in Romania per dare il via libera al Dal Molin. E di scuse, ovviamente, nemmeno l'ombra. Variati, che era stato più esplicito nell'affermare il suo No (per quanto molto accorto nell'evitare posizioni radicali e compromettenti), ha avuto l'onestà e se vogliamo anche il coraggio di dire apertamente che ad un certo punto la sua linea politica cambiava rotta. Ma anche qui, di scuse, non se ne sono viste. E nemmeno un semplice "ci dispiace, ci siamo sbagliati". Ed è un peccato. Ai fini pratici sarebbe cambiato poco o nulla, ma in tanti avrebbero apprezzato la franchezza.
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