I writers e la società dei divieti
Domenica 9 Agosto 2009 alle 08:32 | 0 commenti
Ottima l'iniziativa del Comune di concedere spazi per murales. Ci vuole più libertà contro la smania repressiva di vietare e controllare tutto
Sepolto fra le diatribe dimenticate di questo primo scorcio d'estate, abbiamo ripescato il battibecco sui murales fra il consigliere del PdL Valerio Sorrentino e l'assessore ai giovani Alessandra Moretti. E' istruttivo, perché l'accusa dell'ex vicesindaco di centrodestra, un vieta-tutto mai domo, è da manuale della repressione sorda e cieca: gli autori dei dipinti a muro sarebbero «imbrattatori» e l'amministrazione di centrosinistra, offrendo loro spazi concordati, favorirebbe il degrado urbano. La Moretti ha replicato che «compito dell'amministrazione, e del mio assessorato in particolare, è contribuire all'educazione dei giovani offrendo loro anche opportunità per manifestare la propria creatività secondo modalità e canoni diversi da quelli tradizionali».
Stiamo con la Moretti. Quelle di cui parliamo sono brutture lasciate all'incuria, muri di periferia e sottopassi senza alcun valore storico e architettonico. I giovani writers si sono impegnati ad abbellire con le loro bombolette solo i luoghi individuati dal Comune, che in cambio non mette il naso nelle loro opere. Perché di opere d'arte si tratta, come è universalmente accettato almeno da Basquiat in poi.
Sorrentino si fa portabandiera di una battaglia di retroguardia che è giusta soltanto contro quegli sconsiderati, questi sì da prendere per le orecchie e condannare ai lavaggi forzati, che insozzano gli edifici di pregio e le strutture pubbliche per puro gusto della bravata. I writers no. A loro va riconosciuto lo status di artisti, se producono pitture che migliorano l'aspetto estetico di una strada affogata nel grigio cemento.
Vietato tutto
Ma più in generale questi no a priori sono la spia di una tendenza pericolosa che ormai la fa da padrone: la mania di proibire ogni atto fuori dalla norma, dall'abitudine, dal comunemente accettato. Questa società che si proclama libera e democratica ha un divieto per tutto. A volte ufficializzato da una legge, più spesso lasciato alla sanzione del Grande Fratello della pubblicità , dei sedicenti esperti, della televisione. Non ci si può dare felicemente al cibo chè altrimenti i pestilenziali Veronesi di turno ci terrorizzano preconizzando ogni sorta di cancro. Salvo bombardarci di inviti al ristorante qua e all'osteria là in nome della gastronomia tradizionale, inventando i tg con angolo cottura (avete presente le rubriche di cucina?) e bersagliando la testolina di bambini e adolescenti con le reclames di alimenti-spazzatura. Non si può fumare neppure su treni, dove hanno eliminato i vagoni per fumatori che almeno lì potevano benissimo rimanerci, perché le compagnie produttrici sono tenute sì ad allarmarci con scritte menagrame sui pacchetti, tuttavia restano libere di macinar miliardi. Mentre noi amanti della sigaretta siamo visti come appestati, e quelli dei sigari come una specie di agenti dell'inquinamento (quando nel frattempo i salutisti si riempiono beatamente i polmoni degli scarichi di automobili e industrie che ammorbano l'aria di particelle velenose). Non si può neppure più bere senza farsi venire i sensi di colpa a causa delle stragi del sabato sera, che mietono vittime fra giovinastri al volante del macchinone del papà . Il quale, invece di dare un sano scapaccione in più e insegnare a vivere al pargolo, se ne fotte allegramente e poi piange il morto di cui lui e l'inesistente famiglia sono i veri colpevoli. E chi non sa come sfogarsi (un anziano vedovo, un disabile, un ragazzo come un tempo bisognoso di navi-scuola, o semplicemente un uomo solo) non può nemmeno andare più a mignotte, perché pur non commettendo alcun reato la prostituta, che c'è stata sin dagli inizi dei tempi e ci sarà pure al momento del giudizio finale, è considerata uno spettacolo non adatto ai minori, uno sfregio al decoro dei viali, un corpo estraneo che sta lì, minigonna e merce al vento, a ricordarci quanta ipocrisia alberghi nel perbenismo di certi sindaci-sceriffo. Ogni tanto a qualcuno - per esempio i leghisti, di robusto senso pratico - viene in mente l'unica, antica soluzione: legalizzare le case chiuse che sono tornate a disseminarsi nelle città . Abbiamo o non abbiamo, del resto, un premier che dà il buon esempio e si rifornisce di escort, come ora si chiamano le puttane?
Ordinanze folli
Ma continuiamo. Restando in tema d'amore, non più di trenta o quarant'anni fa ci si poteva dare agli idilli carnali in camporella, ovvero fra i campi o in zone aperte méta di coppie con le loro auto e le loro coperte. Basta anche con questi innocenti fughe di piacere: adesso è tutto recintato, illuminato, controllato. Per non dire delle telecamere, degli sbirri e dei cartelli pieni di verboten al limite del ridicolo che infestano i parchi pubblici, neanche fossero diventati covi della mafia. Sui prati dei giardini pubblici di Vicenza non ci si può sdraiare dopo il tramonto, in altre città è vietato accendersi una paglia (Verona), in altre ancora è proibito riunirsi in più di tre persone (Novara). La giunta di Achille Variati persiste nell'assurdo obbligo di non far bere alcolici al di fuori dei locali, ad esempio nelle piazze o su una panchina. Assurdo, perché togliere a tutti la libertà di tracannarsi una birretta in santa pace magari rimirando la bellissima Piazza dei Signori di notte, e questo solo perché davanti a qualche bar si fa casino e si sporca per terra è stupido e ingiusto così come non attivare, per quei casi isolati, la polizia municipale mandata invece a staccare multe ai clienti delle lucciole.
Ma forse il segnale più lampante del livello di grettezza da piccolo borghesi mastrolindo è la crociata contro gli accattoni. Neanche questa ordinanza, firmata da Hullweck e imitata in altre parti d'Italia, è stata cancellata dall'attuale esecutivo Variati. Quegli sgorbi sudici e miserabili, così riprovevoli nell'essere poveri e per giunta nel voler mendicare, rovinano il salotto cittadino. Detto altrimenti, fanno schifo. Ripugnano alla coscienza da vecchia zia che ogni buon vicentino deve coltivare per sentirsi tale. Perciò vanno allontanati con la ramazza come si fa con la polvere che si annida sui mobili di casa. Se si potesse, così come gli immigrati che non avendo ancora luoghi di ritrovo si ammassano all'aperto, li si eliminerebbe come fastidiosi acari.
Quando una società appalta all'autorità ciò che prima era regolato dal senso pratico, dalla buona educazione, dalla famiglia e dall'istinto di uomini con desideri e bisogni naturali, significa che quella società sta arrivando al capolinea. Ecco perché li sentite sempre agitarsi, i capitani del vapore e i nocchieri della nave, riempiendosi la bocca di "libertà ", di "sviluppo", di "benessere": per coprire la smania di controllo che serve a irreggimentare il gregge di consumatori, ingessando l'incipiente anarchia che ne è il contrappasso. E che ne sarà , prima o poi, anche il boia.
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