BPVi e i "No popolari spa" difendano i piccoli azionisti
Giovedi 22 Gennaio 2015 alle 08:52 | 0 commenti
Di Giancarlo Marcotti con Giovanni Coviello
Potrebbe essere una riforma epocale, da parecchio tempo se ne parlava, ma di concreto non si era mai visto nulla, ora, invece, il governo ha agito d'urgenza con un decreto legge, che, come noto, deve essere convertito entro 60 giorni. Si tratta della trasformazione delle nostre principali Banche Popolari in Spa, con la relativa abolizione del voto capitario, un'anomalia finora nel panorama della finanza europea.
Cosa sia il voto capitario è presto detto, è quella norma, caratteristica delle società cooperative e delle banche popolari, prevista nel diritto societario, secondo la quale ogni socio è titolare di un singolo voto indipendentemente dalle quote di capitale possedute.
Ovviamente una norma simile non agevola "scalate" per società di questo tipo, anzi, le preclude, ma era proprio ciò che ci si prefiggeva, le Banche Popolari dovevano essere molto ancorate al territorio ed avere un azionariato diffuso.
Orbene, le riforme che si sono succedute negli anni, dovute in massima parte al fatto che abbiamo dovuto adeguarci a normative europee, hanno fatto perdere, di fatto, questo legame col territorio soprattutto ad alcune realtà diventate a carattere nazionale.
Ed è proprio a queste realtà che fa riferimento il decreto legge: si tratta di dieci Banche Popolari che hanno dimensioni considerevoli, e precisamente asset superiori agli 8 miliardi di euro, si tratta di sette Istituti quotati in Borsa: Banco Popolare, Ubi Banca, Bper, Creval, Popolare di Sondrio e Banca Etruria; e tre non quotate: Popolare di Bari e le due venete Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Visto che le Banche popolari in Italia sono una settantina, per sessanta di queste, quindi, le cose non cambiano, ma vorrei soffermarmi in particolare sulla "nostra" Banca Popolare di Vicenza.
L'Istituto berico è la più grande Banca italiana non quotata, e ciò la rende già "un caso". Quest'anno, poi, il Cav. Gianni Zonin festeggerà il suo diciannovesimo anno di presidenza. Ebbene sì, era il 1996 quando l'imprenditore vitivinicolo con il motto "salviamo la vicentinità " guidò la cordata, risultata vincente, di coloro che si opponevano alla fusione con la padovana Antonveneta e fu eletto Presidente della Banca.
Da allora è sempre rimasto saldamente in sella, consolidando anno dopo anno un "potere" che va ben al di là dell'Istituto che presiede. Si sa infatti che la Banca, per la città di Vicenza, non è solo una Banca, ma un'istituzione in grado di condizionare se non addirittura controllare "tutto ciò che conta", dalla finanza, all'economia, dai media alla politica.
Zonin con il voto capitario non poteva essere scalzato dalla poltrona più prestigiosa di Viale Btg Framarin, finora era l'unico in grado di portare in assemblea "pullman" di soci, ma se passa il decreto ... allora può cambiare tutto! La Banca, come si dice in gergo, diventerebbe "scalabile". E anche la città e la provincia, quindi, da Palazzo Bonin Longare a Palazzo Trissino fino Palazzo Nievo, con tutti gli annessi e connessi, potrebbe cambiare e non poco.
Qualcuno, con un portafoglio ben fornito, naturalmente, potrebbe essere interessato proprio e simbolicamente alla poltrona di Zonin, ma praticamente al potere che esercita in nome e per conto della Banca. Potrebbe essere un vicentino? Forse, ma sono veramente pochi coloro che hanno disponibilità così ingenti. E se si va oltre la famiglia Amenduni, oggi capace di contare anche in Generali e non proprio ultimamente in rapporti idilliaci con il mondo di Zonin, per pensare a una stanza dei bottoni vicentina bisognerà essere in grado di costruire una cordata con tutti i problemi che nascono, prima o poi, tutte le volte che si mette in piedi, in qualunque settore, figurarsi quello dei soldi, una "cooperativa" di comando. Potrebbe essere un milanese il cavaliere bianco, o nero, singolo o in cordata anche lui? Forse, ma in questo caso che fine farebbe "la vicentinità " peraltro già oggi così diluita negli interessi nazionali dell'istituto da farlo annoverare tra i dieci coinvolti dalla riforma?
Ed ancora, la Popolare di Vicenza potrebbe diventare una preda per un'altra banca, italiana o anche straniera, alla quale possono far gola le oltre 250 filiali sparse in tutta la regione. Oppure ancor bisognerebbe addentrarsi nel ginepraio e nel risiko delle possibili fusioni.
Ma c'è un fatto, e ai fatti oggi vorremmo rimanere ancorati, che rende tutto stramaledettamente complicato e che interessa da vicino tutti gli oltre centomila soci. Visto che la Popolare di Vicenza non è quotata il valore delle azioni è deciso dalla Banca stessa (certo con una perizia giurata del professore della Bocconi, persona autorevolissima e bla bla bla).
Questo fatto ha permesso ai soci di non patire, in questi anni di crisi, il salasso che hanno dovuto subire gli azionisti delle Banche quotate. Dal maggio 2007, infatti, il valore delle quotazioni di Borsa delle Popolari ha subito un vero e proprio tracollo: Banca MPS ha perso il 97%, Banco Popolare il 90%, la Popolare di Milano il 79%, Ubi Banca il 66% e Bper il 65%.
E la Banca Popolare di Vicenza?
Nulla, anzi gli azionisti si sono visti aumentare, almeno sulla carta e "a libro" come si usa dire, perché quanto a liquidità il discorso si complica, il prezzo delle proprie azioni che è passato da 60 a 62,5 euro, oltre ad aver incassato dei dividendi. Insomma i vicentini forse non sanno di essere dei miracolati. Orbene ed ora che succede?
Molti, infatti, ritengono che per una azione della Popolare di Vicenza il prezzo di 62,5 euro sia decisamente "generoso". Il vero valore della Banca, però, può essere deciso solo dal cosiddetto "mercato", tutto il resto è opaco, ed allora questo decreto, che obbliga la Popolare di Vicenza a diventare una Spa, potrebbe abbreviare i tempi avere un responso obiettivo.
Ed in quel momento ... sapremo la verità .
Se, tanto per farci capire da chi fa i conti giorno per giorno e non fa l'economista di mestiere, il valore delle azioni sarà confermato dal dio mercato, nessun sussulto per i 100.000. Se verrà premiato con un aumento da chi pensa che gli sia utile pagare di più per controllare la "nuova" BPVi, i risparmiatori nostri vicini di casa potranno, invece, brindare e magari spendere un po' dei loro guadagni contribuendo a risollevare l'economia locale, afflitta anche dalle strette sul credito imposte con o senza Basilea, in un modo molto semplice: entrando nei negozi e comprando. Se, dio non voglia, i 100.000 azionisti nostri dirimpettai si vedranno offrire di meno dal "mercato" per rendere liquide le loro azioni i riflessi negativi sul territorio sarebbero tali da farci capire perché le lobbyes politico-economiche e i media a loro vicini stiano propugnando lo stop al provvedimento per puntare a un "tutto cambi perché nulla cambi".
Ma, se Matteo Renzi ha lanciato la riforma in un quadro europeo di forte, per non dire totale, dipendenza del sistema paese, sarà difficile puntare al Gattopardo italico e sarebbe più ragionevole, invece, sostituire ai salotti "No popolari spa" un'azione che punti a garantire i risparmi insieme alla trasformazione delle 10 popolari che sono andate con le loro dimensioni oltre la loro natura di istituto locale.
Se i comitati "No Dal Molin" e "No Tav" non hanno impedito gli oggetti del loro no, subendone anzi la realizzazione addirittura senza reali e consistenti "compensazioni", i salotti "No popolari spa" dall'alto delle loro capacità strategiche non commettano lo stesso errore, perché da condizionare non ci sono altri, deboli italiani. Se gli americani e le big companies non si sono fatti intimorire dai No e base Usa e ferrovie più o meno veloci sono lì, davanti a noi, alla BCE e all'Europa non arriveranno neanche i rumors e gli anatemi bancari locali .
Se veramente si vorrà pensare al territorio, magari come atto nobile e testamentale, i padri padroni delle tre Popolari nazionali, quella vicentina in prims, che per la prima volta "affronteranno" il mercato (le altre 7 sono già in borsa e i titoli potranno solo essere favoriti in questo caso dalla scalate) lavorino, invece, per studiare, proporre e attuare norme che tutelino i miliardi di euro di risparmi che i i piccoli azionisti hanno affidato a loro comprandone la azioni.
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