Gli Amenduni spettatori interessati alla corsa a due per acquistare l'Ilva di Taranto
Sabato 27 Settembre 2014 alle 14:38 | 0 commenti
Ad assistere da spettatore interessato, pur se con poca voce in capitolo, alla corsa a due per acquistare l'Ilva di Taranto è il gruppo vicentino degli Amenduni, che al momento dello scoppio del "bubbone tossico" della mega acciaieria era socio al 10% della famiglia Riva con cui era, però, da tempo in "disaccordo" fino al punto di non "firmare" l'ultimo bilancio dell'impianto tarantino.
Alla luce di questa premessa, che, dopo le perdite complessive di circa 500 milioni di euro della controllata Aedes Immobiliare e della partecipata Esseti della galassia palladio Finanziaria, dà conto di un'altra spina nel fianco dei business della famiglia di origini pugliesi ma con solide radici acquisite e coltivate a Vicenza col "brand" Valbruna, è interessante leggere l'articolo di Domenico Palmiotti su Il Sole 24 Ore sulle trattative in corso per acquistare l'attività tarantina, per la quale si può ipotizzare fin d'ora uno scarso ritorno monetario per il 10% di, larga, minoranza in capo alla Valbruna di Amenduni, che però rimane sulla cresta dell'onda tra l'altro per le sue attività tipiche e per quote delle Generali che a lei fanno capo.
G. C.
Il governo ha chiesto alla cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia di avanzare un'offerta per l'acquisizione dell'Ilva.
Di Domenico Palmiotti*
In quest'accelerazione impressa alla trattativa c'è un po' la chiave di volta della settimana che si conclude e che per il gigante italiano dell'acciaio, attualmente sotto gestione commissariale da parte dello Stato, ha visto da un lato la conferma dell'interesse da parte del gruppo franco-indiano in tandem con l'importante trasformatore nazionale (Marcegaglia appunto) e dall'altro gli indiani di Jindal mettere l'Ilva sotto la lente con una visita durata cinque giorni, conclusasi ieri, e snodatasi tra Genova, Novi Ligure, Taranto e Milano. Ieri, nel capoluogo lombardo, sede legale dell'Ilva, l'ultimo approfondimento.
Sia la mission di Arcelor Mittal sia quella di Jindal hanno espresso un giudizio positivo sul siderurgico. Il punto ora è vedere quando ci sarà la prossima mossa e se altri gruppi che pure avrebbero dichiarato il loro interesse (per il ministro Federica Guidi sono altri quattro oltre Arcelor Mittal, tra cui la brasiliana Csn) lo renderanno più esplicito. Dovrebbe invece saltare la data di fine mese per la presentazione del piano industriale di Arcelor Mittal, scadenza, questa, indicata prima della pausa estiva. Per i sindacati metalmeccanici forse a metà ottobre si potra avere qualche riferimento più certo. I sindacati intanto riconfermano le priorità su cui il nuovo investitore dovrà concentrarsi: risanamento ambientale e tutela della produzione e dei posti di lavoro.
Il fatto che il governo chieda ad Arcelor Mittal-Marcegaglia un'offerta dopo l'incontro al Mise risponde ad almeno due obiettivi: far decollare la trattativa dopo una prima parte fatta di visita agli impianti, contatti tra i soggetti interessati e due diligence, e dare anche un segnale alle banche che hanno sì assicurato all'Ilva un prestito ponte di 250 milioni di euro ma di questa somma hanno sinora dato solo la metà . L'erogazione della seconda tranche sarebbe infatti subordinata a qualche garanzia in più sul futuro assetto dell'azienda.
Arcelor Mittal e Marcegaglia, dal canto loro, sembrano in pole sia perchè i franco-indiani hanno cominciato a interessarsi a Ilva prima degli altri, sia perchè se questa cordata andasse in porto garantirebbe una presenza industriale italiana nella "nuova" Ilva come vuole lo stesso governo e sollecitano Confindustria e Federacciai.
Ma l'accelerazione che intende dare l'esecutivo deve comunque misurarsi con i nodi complessi dell'azienda. Anzitutto non è chiaro cosa i Riva, che restano proprietari dell'Ilva, intendono fare, salvo il fatto che Claudio Riva ha dichiarato mesi fa che servono nuovi azionisti. Eppoi c'è un problema di costi da affrontare, e sono quelli (1,8 miliardi) della bonifica degli impianti con le prescrizioni e i tempi dell'Aia, divenuti vincolanti col Dpcm sul piano ambientale; c'è da separare la futura gestione industriale da tutto il pesante pregresso relativo ai danni ambientali, alle costituzioni di parte civile nel giudizio penale apertosi a Taranto, e alle richieste di risarcimento; infine, c'è un problema di agibilità dello stabilimento.
* Il Sole 24 Ore
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