Dal Molin e l'inganno di Obama
Lunedi 31 Agosto 2009 alle 14:03 | 0 commenti
I pacifisti credono ancora a Babbo Natale. Quelli vicentini speravano che sant'Obama avrebbe donato loro la marcia indietro Usa sulla base al Dal Molin. Invece, senza tanta pompa essendo una decisione ormai passata in giudicato, un semplice addetto all'ambasciata americana in Italia ha precisato che, com'è logico che sia, il presidente è al corrente dei lavori e che l'esercito del Pentagono completerà la costruzione rispettando gli impegni presi col governo italiano. Eppure, c'è chi si dice "deluso", facendo bambinesche supposizioni sulla volontà e la buona fede dell'inquilino della Casa Bianca. I Beati Costruttori di Pace, ad esempio, che in un comunicato sembrano cadere dalle nuvole: «La nostra Associazione continuerà a tentare in tutti i modi di rendere partecipe Obama della situazione vissuta dalla popolazione di Vicenza. Se invece il Presidente Obama fosse già a conoscenza e non considerasse importante riconoscere il parallelo con il movimento di popolo che lo ha portato alla Casa Bianca, sarebbe per noi una grande delusione».
Partecipe di un progetto vistato e avviatissimo? L'accostamento fra la politica obamiana e il movimento pacifista no base, poi, è pura fantasia. Anzi, classico wishful thinking, come dicono oltre oceano. Obama sta chiudendo Guantanamo, è vero. Ma i prigionieri vengono spediti all'estero, per continuare a essere torturati come prima, secondo la consolidata pratica delle detenzioni illegali. Ha iniziato la procedura di ritorno dall'Irak, d'accordo. Ma sempre con nuovi rinvii che non fanno presagire un abbandono definitivo. In realtà questi sono tutti rassicuranti aggiustamenti di una politica estera che era e resta imperiale. Il presidente nero non smobiliterà dall'Afghanistan, trattato alla stregua di un protettorato con la farsa delle elezioni pilotate. Né bloccherà l'espansione della presenza militare statunitense nelle repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale e dei vicini della Russia. E neppure si sogna di tagliare le spese militari. Soprattutto, non rivedrà di certo il principio cardine del ruolo di unica potenza egemone che gli Stati Uniti avocano a sé per il mondo. Non smantellerà le migliaia di basi sparpagliate nei cinque continenti, né allenterà il guinzaglio Nato con cui Washington tiene imbrigliata l'Europa. La sua è una declinazione meno guerrafondaia e più diplomatica, ossia più digeribile, della funzione che ogni amministrazione a stelle e strisce considera l'unica possibile: il dominio del globo. I pacifisti si mettano il cuore in pace: il loro santino è solo la versione charmant dell'incoercibile imperialismo americano. E le ragioni sono strutturali. Barack Obama fa riferimento - e come potrebbe non esserlo, se è arrivato lì - alla più potente lobby che esista: la finanza di Wall Street. Per farvi un'idea, basta che andiate sul canale internet Youtube e vi guardiate l'istruttivo documentario "L'inganno di Obama". Apriamo gli occhi, invece di foderarli di propaganda.
Alessio Mannino
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