Cooperative ex rosse
Lunedi 26 Gennaio 2009 alle 16:03 | 0 commenti
L'appalto della Ederle 2 è di Cmc e Ccc, due colossi delle costruzioni vicini al Pd. Cosa c'è dietro il miliardario impero delle coop
Chissà se oggi il pacifista Woody Allen girerebbe ancora spot per le Coop, come fece nei primi anni '90. Il dubbio sorge spontaneo rileggendo la vibrata protesta dei No Dal Molin asserragliati nel Presidio di Rettorgole quando, nel marzo 2008, si è saputo che i 245 milioni dell'appalto edilizio della nuova base Usa di Vicenza se li papperanno la Cmc di Ravenna e la Ccc di Bologna, due fra le più grosse e potenti "coop rosse". «Inutile ricordare i legami stretti tra queste cooperative rosse e molti membri del governo Prodi e del commissario Costa - scrivevano in un comunicato - Il ministro Bersani era stato presidente della Cmc di Ravenna, l'inaugurazione della nuova sede della Ccc di Bologna venne fatta in pompa magna da Massimo D'Alema. ... Ecco perché il buon Walter Veltroni, nel suo recente viaggio elettorale a Vicenza ha detto: la base si farà ». Effettivamente, la Lega delle Cooperative e il Pci-Pds-Ds, oggi Pd, sono due mondi da sempre legati a filo doppio. Un tempo, per giuramento ideale e fede politica. Oggi, soltanto per vicinanza d'interessi.
Capitalismo rosso
Il movimento cooperativo nasce nell'Ottocento in Inghilterra per dare la possibilità a operai e contadini di sopravvivere al mercato dando vita a "isole di socialismo" economico e produttivo. I principi di fondo sono opposti a quelli del capitalismo: non il massimo profitto e la concorrenza, ma la socialità e la mutualità . Cioè, appunto, la cooperazione. Egemonizzate dal Partito Comunista (che per istituzionalizzarle fece inserire nella Costituzione un articolo, il 45, che ne riconobbe la funzione sociale), nell'ultimo dopoguerra le cooperative furono una delle tante cinghie di trasmissione con cui Togliatti dava vita al suo Stato-ombra in nome dell'Urss. Ma nessuno pensava a esse come a una sorta di vero e proprio "comunismo realizzato", tanto è vero che l'Unità scriveva che «il socialismo non è una somma di cooperative». Tuttavia, il collateralismo fra coop e Pci era una realtà . Che cominciò a scricchiolare solo negli Anni Ottanta, quando il gigante Cmc di Ravenna vince un appalto delle Autostrade, conquistando una dimensione nazionale, e, più tardi, quando avvenne la trasformazione dell'assicurazione delle coop, l'Unipol, in Spa, con relativo ingresso in Borsa. Sopraggiunta la svolta della Bolognina inaugurando le metamorfosi da Pds in Ds fino all'odierno Pd, la presa del partito sul proprio "braccio economico" si fece più debole. E le esigenze di un mercato sempre più agguerrito e l'abbandono di ogni sogno di palingenesi sociale fecero il resto, rovesciando completamente le motivazioni per cui le cooperative erano nate e prosperate. «Prima di Tangentopoli avevo sostenuto che la struttura della cooperazione era il grande finanziatore occulto del partito - diceva a fine 2005 Giovanni Salizzoni, vicesindaco nella giunta bolognese di centrodestra di Giorgio Guazzaloca - Partito e Legacoop a Bologna erano tutt' uno, una struttura compatta, un mutuo potere capillare fatto di scambi in natura, appalti guidati, pubblicità nelle feste dell'Unità . Una volta feci scandalo dicendo che il sindaco di Bologna Renzo Imbeni poteva facilmente confondere la federazione del Pci con la sede delle Coop. Ma quando arrivammo noi, con Guazzaloca, questa struttura di potere si era già dissolta».
Eterno collateralismo
Non però i finanziamenti che la Legacoop gira a coloro che rimangono i suoi referenti politici. Nel 2006 è stato calcolato che le due formazioni che poi sono confluite nel Pd, cioè Ds e Margherita, hanno ricevuto dalla sola società di servizi, la Manutencoop (presente nel settore ferroviario, immobiliare, ospedaliero, etc), 637 mila euro per le campagne elettorali dei loro candidati. Scrivono l'attuale ministro Renato Brunetta e il direttore di Libero, Vittorio Feltri, nel libro Le coop rosse. Il più grande conflitti d'interessi nell'Italia del dopoguerra: "La coop finanzia il partito prima delle elezioni, il partito poi forma la giunta locale o il governo nazionale, e tra i suoi primi impegni c'è il finanziamento delle coop con il denaro pubblico, il coinvolgimento nei grandi appalti, a volte persino nelle grandi operazioni definite con accordi internazionali". Non sarà il conflitto d'interesse più scandaloso che il nostro Paese abbia visto - i due fan di Berlusconi si scordano quello del loro munifico Capo - ma è certo che la commistione fra affari e politica, nel connubio coop-Pd, non è da poco. Basti ricordare l'assiduo scambio di opinioni telefoniche fra Fassino e D'Alema e l'ex presidente di Unipol, Giovanni Consorte, condannato in appello per insider trading nella scalata ad Antonveneta da parte della Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani. Quasi un rovesciamento di ruoli, con Consorte, "capitano coraggioso" (come lo era ieri e lo è oggi, con Alitalia, il dalemiano Colaninno) che si muove col piglio corsaro del finanziere d'assalto, e i politici suoi amici, che fanno il "tifo" per lui e gli vanno a rimorchio.
Affari e privilegi
Il giro d'affari delle coop rosse si può stimare intorno ai 100 miliardi di euro, il 3 per cento del prodotto interno lordo nazionale, spesso tra il 5 e il 6 per cento in alcune Regioni. Una settantina delle 1400 società quotate in Italia sono, secondo Mediobanca, della Legacoop. Il gruppo controlla 70 ipermercati, 560 supermercati, 200 discount, altri 4-500 punti vendita di più piccole dimensioni. Bernardo Caprotti, patron della catena Esselunga, ci ha scritto contro un intero tomo di denuncia, Falce&carrello, accusando i rivali di concorrenza sleale oltre i limiti del lecito. E quando l'ex ministro Bersani varò il suo pacchetto di liberalizzazioni contro farmacisti, tassisti e benzinai, la pubblicistica di destra, non a torto, rilevò come esse si sarebbero di fatto risolte come un regalo alla grande distribuzione, in particolare quella targata Coop.
Già , perché le cooperative godono di uno statuto societario che consente loro di pagare meno tasse rispetto a una società di capitali e di avere tutta una serie di condizioni favorevoli (non si organizzano periodiche assemblee con i soci e questi ultimi non possono votare il loro presidente; oltre che, secondo la legge, in una cooperativa dovrebbero acquistare solo i soci: vi hanno mai chiesto la tessera di socio, all'Ipercoop del vostro quartiere?). Privilegi che accomunano colossi con fatturati da centinaia di milioni di euro (Cmc 645 milioni, Ccc 850 milioni: bilanci 2006) con la micro associazione di volontari che arrancano per campare. Trovando per tutto questo, beninteso, la complicità degli "avversari" di centrodestra, quegli stessi Berlusconi e Tremonti che promettevano riforme draconiane contro la casta cooperativa, ma che al dunque, come scriveva un osservatore di sinistra come Edmondo Berselli sulla Repubblica del dicembre 2005, «dopo la vittoria del 2001... hanno fatto la riforma del fisco cooperativo e del codice senza toccare i cardini statutari della cooperazione, cioè l'inalienabilità del patrimonio e la proprietà indivisibile, in buon accordo con i vertici del mondo cooperativo».
Il colore dei soldi
Per tornare alle nostre Cmc e Ccc, rinfreschiamoci un po' la memoria. Oltre all'ampliamento della base Usa di Sigonella, la Cmc è stata general contractor nella costruzione di molte tratte Tav, fra le quali la tratta Bologna-Firenze dove, facendo parte del consorzio Cavet insieme ad Impregilo e Fiat Engineering, risulta imputata in un processo per devastazione ambientale; negli anni ‘90 costruì parte della metropolitana milanese; nel 2004 si aggiudicò il primo lotto della Salerno-Reggio Calabria per 678 milioni di euro, senza rispettare il termine dei lavori previsto. La Ccc ha partecipato alla costruzione di alcune tratte della Tav; si è aggiudicata sostanziosi appalti nell'ambito delle Olimpiadi invernali di Torino 2006; ha costruito varie infrastrutture dell'aeroporto Leonardo Da Vinci e della stazione di Roma Termini. Ora le vediamo in accoppiata per innalzare gli edifici della Ederle 2. Marco Cedolin, esperto di grandi opere, così commentava su questo giornale nel maggio 2008 l'affarone milionario per le coop ex-rosse: «Cooperative come Cmc e Ccc si comportano esattamente alla stessa stregua di qualunque grande azienda di costruzioni, perseguendo la logica del profitto che travalica qualunque riflessione di tipo etico o morale. Chiamarle rosse oggi significa operare un distinguo che non ha ragione di esistere, in quanto il profitto non ha altro colore che non sia quello dei soldi».
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