Burkini, un caso tra libertà di scelta e pragmatismo: l'analisi di Lia Celi su Lettera43
Venerdi 19 Agosto 2016 alle 09:43 | 1 commenti
«Uff, ancora 'corpo delle donne'!», ha brontolato mia figlia, 18 anni e femminista, davanti all'ennesimo servizio del telegiornale sul burkini. Ormai l'espressione inflazionata le procura allergia: «Come se il problema fosse il nostro corpo, e non la cultura e la società che da millenni ci dicono come, quanto e perché dobbiamo o possiamo esporlo». Accidenti, la ragazza ha ragione: si parla di «corpo delle donne» quando si dovrebbe discutere piuttosto della testa degli uomini, sia che si tratti di soubrette scosciate in tivù sia di turiste che vanno in spiaggia troppo coperte.
UNA BAGARRE BIZZARRA. Per me, cresciuta nell'epoca in cui i pretori si appostavano fra gli scogli per arrestare le bagnanti in topless, suona bizzarra tutta questa bagarre italo-francese sulle bagnanti islamiche abbigliate più o meno come le nostre cristianissime trisavole, che ai primi del 1900 prendevano i bagni di mare non solo con camicette e calzoni alla zuava, ma pure con calze e scarpe.
La nuotatrice australiana Annette Kellerman nel 1906 si presentò a una gara negli Stati Uniti con un costume che scopriva le cosce: fu immediatamente arrestata ed espulsa.
SPORT SENZA FAR PECCATO. Dall'Australia, curiosamente, viene anche il costume che 110 anni dopo può costare guai con la legge, per motivi opposti: la sua creatrice, Aheda Zanetti, immigrata di origine libanese, inventò nel 2000 un indumento per consentire a sua nipote di giocare a basket senza violare la morale islamica, e da lì a un costume da spiaggia comodo ma pudico il passo fu breve.
Grazie al burkini, sulla spiaggia di Sydney apparvero non solo bagnanti, ma anche bagnine di salvataggio musulmane.
LA RELIGIONE DEL PRAGMATISMO. Perché la vera religione delle donne normali, ovunque, è il pragmatismo: riuscire a fare le cose presto e bene è più importante che discutere dei massimi sistemi.
Siamo devote musulmane e vogliamo giocare a pallacanestro, andare in spiaggia e farci una nuotata: il problema è l'abbigliamento? Bene, studiamone uno che ci permetta rapidamente di raggiungere i nostri scopi senza turbare la nostra coscienza, e soprattutto senza perdere tempo prezioso a discutere con gli imam o a litigare con mariti e fratelli.
Nell'Australia del 2016 nessuno si scandalizza se una ragazza nuota in calzoncini da ciclista e cuffia, esattamente come nel 1906 nessuno multava Annette Kellerman perché nuotava con le gambe scoperte: in entrambi i casi lo scandalo è scoppiato quando i costumi sono arrivati dall'altra parte del globo.
Per inciso, il burkini è andato a ruba anche fra ebree ortodosse, induiste e cristiane mormone: tutte religioni che evidentemente hanno qualche problema con la pelle femminile scoperta, ma che al resto del mondo stanno meno sui maroni dei musulmani.
GIREREBBERO TUTTE NUDE? La questione di fondo, ovviamente, è la libertà di scelta: noi diamo per scontato che, se potessero, tutte le musulmane girerebbero in push up e perizoma e che dietro il burkini ci sia sempre un marito, un padre o un fratello barbuto col ditone alzato e il ceffone in canna.
Ma probabilmente un integralista doc terrebbe le sue donne chiuse in casa e non le manderebbe in spiaggia neanche col cappotto, figuriamoci col burkini che è pure aderente.
E per strano che possa sembrarci, dopo che le nostre mamme hanno rischiato la galera per poter andare in spiaggia a seno scoperto, non tutte le donne del mondo misurano la propria libertà in base ai centimetri di pelle che possono scoprire in pubblico.
ANCHE I MASCHI SI COPRONO. E nemmeno gli uomini, né quelli che per motivi di lavoro tengono giacca e cravatta anche d'estate, né quelli che a Riccione o a Porto Cervo si ostinano a non indossare il cache-sexe in spiaggia anziché slipponi e mutandoni da surfer al ginocchio.
Nessuno impedirebbe ai maschi di mostrare le chiappe con un tanga a filo interdentale come fanno le loro fidanzate, ma loro preferiscono tenerle coperte e non si sentono menomati nella loro dignità per questo.
Quanto all'impressione e al fastidio che suscitano in noi (me compresa) le coppie di bagnanti musulmani sotto il solleone con lei intabarrata e lui a torso nudo, è speculare a quella che fanno da sempre le coppie di conduttori nelle nostre tivù, con lei regolarmente giovane e svestita, e lui più anziano vestito di tutto punto.
ANCHORMEN: È LIBERA SCELTA? Perfino nei tiggì estivi le anchorwomen sono sbracciate e scollate, malgrado l'aria condizionata a palla tipica degli studi televisivi, mentre i colleghi, protetti dalle correnti da uno strato di fresco di lana, di nudo mostrano solo le mani e la faccia.
Siamo sicuri che sia sempre frutto di una libera scelta? La certezza verrà solo quando vedremo Enrico Mentana condurre il Tg La7 in canottiera.
di Lia Celi da Lettera43
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