Buon 1° maggio a chi lavora e a chi vorrebbe lavorare ma non riesce perché disoccupato
Domenica 1 Maggio 2011 alle 00:01 | 0 commenti
Giorgio Langella, PdCI, FdSÂ -Â In questi giorni si leggono notizie, lunghi articoli, dotti commenti e quant'altro sulle liti tra PdL e Lega, sulle "nozze del secolo" in Inghilterra tra il principe William e "la sua" Kate, sulla beatificazione di Giovanni Paolo II ... i giornali stampati o quelli "letti" in radio e televisione ne sono pieni. Ci sono anche cenni delle polemiche tra il giovane sindaco di Firenze Renzi e la CGIL riguardo l'apertura dei negozi il Primo Maggio.
Si scrive e si parla della "modernità " di essere flessibili e permettere ai commercianti di lavorare (e ai cittadini di comprare e consumare) anche nel giorno della Festa dei Lavoratori. La CGIL, per Renzi, rappresenta "il vecchio". Lui, invece, è giovane e dinamico. Si badi bene, però, alle parole. Il Primo Maggio è la Festa dei Lavoratori e non "del lavoro". È la festa, quindi, delle persone che lavorano. È la giornata dedicata al riposo per chi fatica per poter vivere, per chi, con la lotta e il sacrificio, ha contribuito a ottenere quei diritti sanciti dalla Costituzione che i potenti vorrebbero cancellare. Domani è il giorno dedicato a loro, ma sui giornali scritti o nelle notizie lette alla radio e alla televisione mancano i lavoratori. Pare che i lavoratori (e gli operai in particolare) non esistano più. Non è così, ma nel silenzio dei media essi spariscono, diventano invisibili. Sono "i dimenticati", quelli che non contano più niente. Nel capitalismo trionfante conta solo il profitto d'impresa, il guadagno di qualcuno, il denaro per pochi. E allora chi vuole festeggiare il Primo Maggio con il giusto riposo diventa un "fannullone", un lavativo che non fa gli interessi della società . E lorsignori intendono per "società " quella dove è permesso loro speculare e sfruttare meglio.
Ebbene, in questa vigilia della Festa dei Lavoratori, voglio ricordare cosa successe in Sicilia, a Portella della Ginestra, il 1° maggio del 1947. Una strage di lavoratori in festa. Una strage eseguita dal "bandito" Salvatore Giuliano con mandanti e appoggi politici (italiani e internazionali) mai del tutto svelati. Una strage che avvenne dopo la vittoria della sinistra (socialisti e comunisti) e il tracollo democristiano nelle elezioni siciliane. Una strage che bloccò il progresso e la liberazione di quella regione e dell'Italia intera. Una strage che iniziò la tragica sequenza dei misteri, della strategia della tensione, dei servizi segreti deviati, delle violenze contro i lavoratori (si ricordino i fatti di Modena nel 1950, di Reggio Emilia nel 1960, di Avola ...) che l'Italia subì negli anni e nei decenni seguenti.
Avere memoria della storia del nostro paese non solo è giusto, è necessario per evitare che fatti come quello di Portella della Ginestra possano ripetersi.
Oggi l'attacco ai diritti dei lavoratori è meno cruento, certo, ma è altrettanto pericoloso. Da Pomigliano a Mirafiori, dalle delocalizzazioni al precariato ormai unica forma "normale" di lavoro, dalla volontà di "regolamentare" il diritto di sciopero al silenzio che copre le morti sul lavoro e per malattia professionale, ogni giorno si assiste a un ricatto, a un'imposizione, alla cancellazione di un diritto. È una strategia precisa, un movimento lento, sotterraneo che ha come obiettivo ridurre i lavoratori in sudditi e fare che essi e le organizzazioni che li rappresentano non contino più nulla.
Il Primo Maggio, da sempre, si festeggia per ridare dignità a chi lavora. Il Primo Maggio è giusto fermarsi e pensare; riempire le piazze, alzare la testa e lottare. Gridiamo tutta la nostra rabbia contro chi vuole ridurci alla passività e all'indifferenza. Combattiamo chi vuole toglierci i diritti che noi e i nostri padri abbiamo conquistato. Contrastiamo chi non ha mai lavorato ma ha vissuto sempre di speculazioni e privilegi. Torniamo in piazza, facciamolo domani e il 6 maggio allo sciopero generale proclamato dalla CGIL. Torniamo a lottare. Prendiamo in mano il nostro futuro e costruiamo una società migliore. Una società che possiamo festeggiare e non subire. È anche per questo che vale la pena vivere.
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