La costruzione della vigilanza unica, entrata in fase operativa da un anno e mezzo, avviene per prove ed eccessi (poi vedremo se “erroriâ€). Né può essere altrimenti: la teoria della regolamentazione è una scienza imperfetta, guidata dalla prassi e che rivela la sua efficacia solo ex post, quando la crisi di turno ha mostrato se le regole esistenti funzionano davvero. Premesso questo, l’Italia si rivela sempre più il campo di prova dell’Europa bancaria e del suo arcigno sorvegliante. Che fatalmente ha i connotati culturali e operativi dei paesi egemoni (Germania, Francia, blocco nordico): quelli che tengono le redini politiche dei conti pubblici e fanno il tempo bello e brutto anche a Bruxelles.
Il caso Mps è pioniere, ma oggi in fase “silenteâ€. Viceversa il crescendo di attenzione sulle nozze Bpm-Banco, sulla sistemazione di Carige e sugli aumenti con quotazione delle due ex popolari venete sono fatti del nuovo anno, che hanno reso l’Eurotower il vero pivot, per quanto indiretto, delle strategie bancarie tricolori. «Un eccesso di regolamentazione è esattamente quel che si verifica ogni volta che c’è una crisi finanziaria - spiega Luigi Guiso, economista docente all’Istituto Einaudi - è stato così fin dalla crisi del ‘29». Da allora si sono susseguite, ad ampie ondate planetarie, restrizioni, deregolamentazioni e successive severità . «Nell’Europa di oggi - continua Guiso, che ha appena pubblicato Attenti a quei soldi - la crisi ha appesantito i conti pubblici, per questo la reazione è stata una normativa come il bail in. Tuttavia una misura del genere, benché abbia diversi aspetti condivisibili, doveva dare il tempo ai sistemi finanziari di riorganizzarsi: il piano di raccolta di una banca non si cambia in qualche giorno. Ma la Commissione non ha concesso alcuna gradualità . Viceversa la gradualità è stata ampia per le norme sulla garanzia comune dei depositi, invisa ai tedeschi perché temono di dover rispondere delle perdite degli istituti periferici, anche italiani».
Un problema di rapporti di forza, di mercati e di egemonia culturale. «Siamo in pieno reputation building da parte della Bce - racconta Andrea Resti, docente alla Bocconi e consulente del Parlamento Europeo per la vigilanza bancaria- e anche le banche italiane possono scontrarsi con atteggiamenti intransigenti. L’esito può essere positivo, come nella fusione tra Milano e Verona dove si è limitato il rischio che gli azionisti di una banca pagassero le carenze dell’altra e s’è resa più snella la governance. Su Genova, anche Bankitalia aveva alzato l’attenzione dopo la gestione Berneschi». Per Resti a complicare la vita è il fatto che «tutti sanno che l’Italia ha pochi soldi per salvare le banche, quindi sospettano che le perdite non emergano appieno nei loro conti: un pregiudizio non del tutto irrazionale, con cui mi sono scontrato varie volte». Il maglio di Danièle Nouy, insomma, fa più male di prima: anche perchè le armi della vigilanza europea (sulla trasparenza, la risoluzione, l’esame annuale di vigilanza “Srepâ€, i tetti a bonus e dividendi della Crd IV) sono sempre più potenti e onnicomprensive.
Banca Carige
L’escalation delle pressioni di Francoforte su Genova stupisce diversi operatori. Da quando a metà febbraio l’azionista di riferimento della banca ligure Vittorio Malacalza ha deciso di defenestrare l’ad Piero Montani (manager totalmente allineato in tutta la sua carriera con Via Nazionale che a molti era parso un commissario) e tutto il cda, sono bastati pochi giorni perché la Bce inviasse una lettera che forzava l’istituto a rettificare i conti con più perdite, approntare un piano di liquidità entro il 31 marzo e due mesi dopo pubblicare un piano industriale con «nuove opzioni strategiche». A Genova più di uno ha visto nella tempistica una ritorsione, specie se si considera il paradosso per cui il nuovo piano liquidità consegnato giovedì cadeva in sincrono con la data di insediamento del nuovo cda e dell’ad Guido Bastianini, scelto da Malacalza. Erano le premesse ideali perché la vigilanza “suggerisse†(virgolette nostre, nessuno lo dice ufficialmente ma tutti off the records ) di esaminare molto bene l’offerta di Apollo. Il fondo Usa che vorrebbe comprare tutte le sofferenze di Carige allo stesso prezzo, stracciato, imposto dalla Commissione Ue alle quattro “good bank†lo scorso novembre. Malacalza dirà di no ad Apollo, ma deve argomentare bene il diniego se non vuole che la sua dirigenza parta zoppa.
Bpm-Banco Popolare
Sembrava un’operazione in discesa, per le tante benedizioni politiche del governo e degli stakeholder, con il nulla osta del mercato. Ma per far nascere il «terzo polo nazionale nelle aree più ricche del paese» (vulgata ufficiale) sono servite settimane di confronti, il sostegno formale del Tesoro quando tutto sembrava saltare e una ricapitalizzazione supplementare da un miliardo a Verona, in spregio alle promesse dell’ad Pier Francesco Saviotti. «Non c’è stato niente da fare - racconta un advisor della fusione - andavano a Francoforte e gli davano i compiti, senza mediazioni possibili. Hanno dovuto abbassare la testa». Compiti così faticosi che dall’annuncio, in una settimana (negativa) di Borsa le due banche hanno perso attorno al 10%, penalizzando anche le concorrenti perché gli investitori temono che quel miliardo in più diventi un nuovo standard per ogni futuro attore del consolidamento.
Vicenza-Veneto Banca
Fin dai test d’ingresso dell’ottobre 2014, passati per il rotto della cuffia, le due banche venete sono sulla lista dei sorvegliati speciali. A Vicenza la Bce ha smascherato le pratiche cosmetiche che sostenevano il patrimonio, e ora serve un aumento fino a 1,75 miliardi per rimpolparlo. Per la Veneto la gestione è meno criticata (un po’) e serve un miliardo di mezzi freschi. Prima delle ultime assemblee da popolari, per convincere i loro soci, la Bce ha inviato lettere di avvertimento alle due banche in cui balenava il commissariamento in caso di voto contro l’aumento e alla spa. Ma ora vengono altri esami, quelli del mercato che le due banche praticano poco. E l’aumento di Vicenza, da chiudere per fine aprile, è un test verità per tutto il sistema.
Di Andrea Greco, da Repubblica Affari&Finanza