Finanza italiana, le speculazioni dei soliti noti
Mercoledi 1 Marzo 2017 alle 08:30 | 0 commenti
I salotti finanziari italiani non sono più quelli di un tempo, ma l’ego dei manager può fare gli stessi danni. Ieri Philippe Donnet di Generali ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano del passo indietro di Intesa dalla possibile “combinazione industriale†con un “non commento quel che non è mai successoâ€. Eppure Generali ha speso quasi un miliardo per difendersi da un attacco fantasma, perché? Al Fatto risulta che il dossier Generali - caro a Renzi - era sul tavolo dell’ad di Intesa, Carlo Messina da settembre.
Il resto è storia nota: La Stampa rivela la cosa il 22 gennaio, Messina esce allo scoperto salvo poi respingere l’operazione caldeggiata dai grandi vecchi Nanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti: troppo politica e poco finanziaria. Stavolta l’ambizione non è bastata. Il copione di questa storia ricorda l’epopea bancaria del 2007-2009, quella degli acquisti avventati. Schema all’italiana: politica e vigilanza a tracciare il solco, l’ego dei manager a reclutare consulenti strapagati, i giornali a gridare al pericolo straniero. Nell’estate 2006, fu quello di un blitz degli spagnoli del Santander, azionisti del San Paolo Imi, a convincere Enrico Salza a consegnare il gioiello torinese con pochi pari in Europa a Bazoli (con la regia di Guzzetti): una fusione per incorporazione che ha fatto la fortuna di Intesa per un decennio. “C’era il rischio che finissero in mani straniereâ€, disse Romano Prodi a Bruno Vespa un anno dopo. Nessuno ha mai chiesto quali. A volte è andata peggio. A luglio del 2007 Cesare Geronzi spiegò in Senato che la fusione tra la sua Capitalia e la UniCredit guidata da Alessandro Profumo rappresentava “la convergenza di due aggregazioni di successoâ€. “Così ci rafforziamoâ€, aggiunse Profumo. Sarà per questo che il manager - sorretto dal fido consulente fisso Andrea Orcel di Bofa Merryll Lynch - pagò di fatto tre volte il suo valore pur di aggiudicarsela. La fusione - caldeggiata dal governatore Mario Draghi - assegnava un valore di 10 milioni per ogni sportello di Capitalia, la più alta di quegli anni dopo Bnp/Bnl. Sembra incredibile, ma un’operazione da 20 miliardi di capitalizzazione fu fatta senza due diligence, l’analisi dei conti. Scelta disastrosa. Già nel 2002 la neonata Capitalia - Banca di Roma, Banco di Sicilia e Bipop-Carire - aveva a bilancio un ammontare di crediti deteriorati superiore al patrimonio netto, il 10% degli impieghi. Nel 2007, fatto l’acquisto, Profumo dovette iscrivere a bilancio 28 miliardi di sofferenze, la metà di quelle detenute dall’intero settore bancario e 10 in più del 2006 (+35%): un rialzo record. Varando il maxi aumento da 13 miliardi, a dicembre scorso nelle slide illustrate dall’ad Philippe Mustier si legge che oltre l’80% delle sofferenze di Unicredit si sono generate prima del 2010. Due mesi dopo Profumo riprese l’impetuosa campagna acquisti nell’Est prendendo l’ucraina Ukrsotsbank per 1,5 miliardi (gli costerà il doppio tra svalutazioni e perdite). La lista è lunga e il copione simile. A novembre 2007, gli spagnoli del Santander, tramite Orcel, propongono al presidente del Monte dei Paschi, Giuseppe Mussari Banca Antonveneta (valutata 3 miliardi) a 9,5 miliardi, dopo averla presa a 6 nello spezzatino di Abn Amro, gestito sempre da Orcel. L’investimento totale è di 17 miliardi. Stavolta il pericolo straniero è rappresentato da Bnp Paribas: Mussari compra così tutto a scatola chiusa, senza due diligence e a un prezzo folle. Bankitalia non si muove. La scelta scassa il Monte, che solo 7 anni prima aveva strapagato (4,5 volte il valore) la banca 121. Mussari fu acclamato presidente dell’Associazione bancaria italiana. Nel primo bilancio post operazione, i crediti deteriorati crebbero del 41%: sarà una corsa inarrestabile. Otto miliardi di aumenti di capitale bruciati dopo, Mps attende ora il soccorso pubblico. E ancora, a luglio 2007 il Banco Popolare di Verona e Novara - guidato dal rampante banchiere Fabio Innocenzi - ingloba la malconcia popolare di Lodi che fu di Giampiero Fiorani dando vita al Banco Popolare. Già la fusione di Novara e Verona aveva portato in dote il 30% di banca Italease, poco dopo travolta dallo scandalo derivati (che costerà il posto a Innocenzi, oggi in Ubs). Nel 2009, il Banco lancia un’Opa su Italease: a fine anno le sofferenze dell’istituto cresceranno del 138%. Oggi lo scenario è cambiato. Barclays paga Mediobanca per vendergli i suoi sportelli italiani. Piazzetta Cuccia, da grande regista delle operazioni di sistema, ha seguito un accurato sviluppo per vie interne tenendosi fuori dalle fusioni folli: è una banca retail e per questo più solida. Il dossier sulla conferma dell’ad Alberto Nagel è nelle mani di Mustier, che tramite Unicredit è il primo azionista con l’8,5%. Da Ubs, dove è finito a fine 2012, in qualità di advisor Orcel ha tentato Messina nell’ultima grande operazione di sistema senza ragioni finanziarie con la sponda dei grandi vecchi. Il nemico straniero erano i francesi di Axa. Bazoli, Guzzetti, Orcel, sempre loro, ma il copione stavolta ha avuto un altro finale.
Di Carlo Di Foggia, da Il Fatto Quotidiano
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