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Banca Popolare di Vicenza, relazione di 103 pagine della Bce: i profili di 58mila azionisti non in linea con normative Mifid
Venerdi 17 Giugno 2016 alle 12:28 | 0 commenti
Di seguito gli articoli nell'inchiesta apparsa oggi 17 giugno sul quotidiano la Repubblica
Trasformare casalinghe, pensionati, operai o qualsiasi altro genere di risparmiatori completamente privi di conoscenza finanziaria in accaniti traders di Borsa, o in smaliziati gestori di hedge fund, è stato l’ultimo passatempo dei consigli di amministrazione delle banche alle prese con difficoltà patrimoniali. Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche sono stati tra i casi più clamorosi, ma a Vicenza hanno voluto strafare. Ad alzare il velo sul “così fan tutti†vicentino è stata l’ispezione della Banca centrale europea, condotta tra il 26 febbraio e il 3 luglio 2015 e conclusasi con una relazione di 103 pagine che non lascia scampo agli ex vertici della Banca.
I profili di ben 58mila azionisti, tra vecchi e nuovi, non risultano in linea con le normative Mifid, la direttiva europea (Market in Financial Instruments directive) che, tra le altre cose, impone di classificare i clienti in modo adeguato per fornire loro servizi finanziari appropriati.
L’ex presidente Gianni Zonin e l’ex amministratore delegato Samuele Sorato, oggi indagati per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza, hanno portato con due aumenti di capitale i soci a 108mila con una crescita del 57% in soli due anni. Una seconda città nella città , cresciuta sull’inganno e con l’unico scopo di rafforzare lo zoppicante patrimonio della banca. «Gli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 – si legge nel documento - sono stati portati a termine adottando un approccio non in linea con le normative Mifid, poiché la Bpvi non ha stilato il profilo di rischio completo dei clienti attraverso i test prescritti oppure li ha alterati a suo vantaggio ». Gli ispettori hanno calcolato che sono stati almeno 29mila i nuovi sottoscrittori di titoli coinvolti. Altri 29mila azionisti, invece, a cui è stato offerto il diritto di prelazione, non sarebbero stati assistiti correttamente dalla banca, ma semplicemente informati con una lettera che avrebbero dovuto rispedire firmata in filiale. Nove su dieci dei destinatari contattati non hanno mai risposto.
Serviva in effetti qualche magheggio per far comprare un titolo che nel giro di un paio di anni è passato da un valore di 62,5 a 0,1 euro. La Vicenza è una banca non quotata e dal 2011, il consiglio di amministrazione ha pagato professionisti definiti indipendenti per assegnare un valore alle azioni. Se ne è quasi sempre occupato Mauro Bini, professore della Bocconi esperto in valutazioni d’impresa, che ad aprile 2014 ha ribadito quel valore astronomico. L’ispezione della Bce, invece, non lascia scampo: «I titoli sono sempre stati sovrastimati come dimostra la costante e significativa differenza tra il valore dei titoli della Bpvi e delle altre popolari quotate, utilizzando medesimi modelli di valutazione». Prendendo solo uno dei molti parametri utilizzati dagli ispettori, il “price to book valueâ€, ovvero, il rapporto tra il valore di mercato del titolo (nel caso della Bpvi, il prezzo fissato dai consulenti) e il valore di libro è risultato che il coefficiente della Vicenza (1,2) è quasi il doppio della media di quello delle popolari italiane quotate in Borsa (0,73).
Oltre alla fabbrica dei falsi profili, Zonin e i suoi manager hanno finanziato gli acquisti delle azioni e illuso i clienti con la possibilità di rivendere quei titoli alla banca. Ma tra gennaio 2013 e dicembre 2014, le richieste di riacquisto sono diventate insostenibili, tanto che la Vicenza si è trovata di fronte 15mila ordini dal valore complessivo di un miliardo di euro: a gennaio 2013 le richieste valevano solo 52,5 milioni di euro e ci volevano 28 giorni per evaderle. Alla fine del 2013 è stato calcolato che servivano 311 giorni. La banca non aveva mai segnalato nei prospetti informativi la possibilità di non essere in grado di garantire la liquidità sul titolo, comunicata solo a marzo del 2015 con una lettera.
E al danno si aggiunge la beffa, perché l’ispezione ha appurato che la banca, anche quando ha riacquistato, non ha rispettato l’ordine della priorità temporale: ovvero ha ricomprato i titoli non secondo un criterio oggettivo, ma come piaceva a lei. Tra gennaio 2014 e febbraio 2015, «almeno 200 ordini sono stati evasi con una priorità che non ha seguito la normale procedura per un controvalore di 21,8 milioni di euro». Sono state scoperte anche alcune lettere in cui la banca garantisce ai più “fortunati†o il riacquisto di titoli pari al capitale investito o assicura un rendimento minimo o ancora un generico riacquisto. Le assicurazioni più impegnative riguardano 10 clienti per un controvalore di 38 milioni, mentre le altre si riferiscono a 52 clienti per un controvalore di 182,2 milioni.
di Walter Galbiati
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La Popolare di Vicenza ha avuto un padre-padrone chiaro, Gianni Zonin, e un ex direttore generale-amministratore delegato, Samuele Sorato, ultra potente. Ma, come in tutte le storie di malafinanza, altri soggetti hanno contribuito a quel falò che alla fine ha portato a bruciare 6 miliardi di capitalizzazione (in gran parte virtuale) diventati, con l’ultimo aumento di capitale sottoscritto da Atlante, una manciata di milioni (oltre al miliardo messo dal fondo).
Tutta l’alta struttura dirigenziale e di controllo non ha funzionato come avrebbe dovuto, tutti i passaggi chiave nei processi decisionali erano deboli, confusi e non vigilati a dovere. Lo scrive nero su bianco l’ispezione della Bce, guidata da Emanuele Gatti e con un team formato dall’ispettorato della Banca d’Italia.
L’atto d’accusa è semplice: «Il consiglio di amministrazione, l’ex amministratore delegato Sorato, il Comitato rischi e il Collegio sindacale - ognuno per le proprie responsabilità - non sono stati attivi nel mettere in atto un sistema di gestione dei rischi efficace e globale», scrivono gli ispettori nella loro relazione. Le mancanze, che si sono tradotte in dolorose perdite per tanti sottoscrittori- clienti, spesso diventati loro malgrado azionisti della banca per ottenere dei prestiti, sono state più gravi ovviamente nei passaggi degli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 e nella fissazione del prezzo. «Non hanno chiaramente identificato tutti i rischi legati ai processi e alle procedure, come il prezzo delle azioni, la sottoscrizione di nuove azioni, le negoziazioni delle azioni medesime sul mercato secondario», scrive ancora il rapporto della Banca centrale europea, secondo cui la banca non ha fatto i necessari passi per rafforzare il sistema dei controlli nonostante si stessero intensificando i segnali che avvertivano dei pericoli.
Ovviamente, le responsabilità non sono uguali per tutti. «Sebbene non ci siano prove definitive sul coinvolgimento attivo dell’amministratore delegato» secondo gli ispettori alcune operazioni - a partire dal finanziamento delle azioni e dalle lettere di impegni delle banca - «possono essere comprese solo alla luce della direzione e del coordinamento dello stesso Ceo». Insieme al vice direttore generale e capo della Finanza, Andrea Piazzetta (uscito dalla banca nel giugno 2015, ma nel 2014 presente anche nel board della lussemburghese Bpv finance) Sorato fece la scelta di investire nei tre fondi lussemburghesi Athena e Optimum Evolution multi Strategy I e II. «La decisione di investire nei tre fondi è essenzialmente attribuibile a Sorato e Piazzetta », scrivono gli ispettori. Che aggiungono: fu fatta «senza essere supportata da una documentata e strutturata analisi».
Ma se il cda non ha vigilato a sufficienza, non sempre veniva informato puntualmente: ad esempio l’informazione periodica sulla redditività della banca «è limitata a pochi dati ».
Infine il ruolo dell’Internal audit (Controllo interno). In occasione degli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 questa funzione «esercitò un controllo molto limitato e formale » si legge nel rapporto ispettivo, «la funzione non prestò attenzione nell’identificare il rischio-chiave» dell’ampio ricorso al finanziamento dell’acquisto di nuove azioni. Dal canto suo la funzione Compliance della banca omise di far rapporto sugli stessi rischi e non fece «adeguati controlli» interni di rispetto della Mifid.
di Vittorio Puledda Commenti
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