Il Fatto: Banca Popolare di Vicenza, così Bankitalia e Consob non fermarono Zonin
Venerdi 7 Aprile 2017 alle 12:36 | 0 commenti
Dov'era la Banca d'Italia mentre la Banca popolare di Vicenza veniva distrutta? Che cosa faceva la Consob mentre il presidente viticultore Gianni Zonin rovinava i 120 mila soci? Leggendo le 350 pagine dell'azione di responsabilità contro 32 ex amministratori e sindaci depositata al Tribunale di Venezia dall'attuale ad di Bpvi Fabrizio Viola si possono formulare due ipotesi: o dormivano o fingevano di non vedere. A Zonin e soci viene chiesto un risarcimento danni senza precedenti, un miliardo e mezzo di euro, come responsabili di "una delle più eclatanti débacle finanziarie del dopoguerra, esito drammatico di un vero e proprio intreccio, un groviglio di rapporti, mai trasparenti, tra la Banca e i suoi vertici e tra questi e alcuni selezionati clienti".
Il particolare inquietante è che i "capi d'imputazione" snocciolati dall'avvocato Carlo Pavesi coincidono con i rilievi ispettivi con cui per anni Bankitalia, Bce e Consob hanno fotografato la devastazione in corso senza fermarla. La Bpvi ha chiuso il bilancio 2014 con una perdita di 823 milioni di euro. Secondo Pavesi, Zonin e soci sono consapevoli dell'incombente default. Tra 2013 e 2014 chiedono ai soci 1,1 miliardi di nuovo capitale, al prezzo di 62,5 euro per azione. Il 10 giugno 2013 informano la Consob (e il mercato) che "per i sottoscrittori delle azioni potrebbe essere impossibile o difficile poter vendere le azioni" e che il prezzo dei titoli offerti "evidenzia un disallineamento rispetto ai multipli di mercato di un campione di banche quotate".
La Consob ha lasciato che le azioni venissero piazzate prestando ai clienti il denaro per pagarle. Il 26 febbraio 2015 entrano in Bpvi gli ispettori della Bce insieme a quelli di Bankitalia. Scoprono nefandezze. Investimenti "in fondi di cui non si conoscono gli investimenti sottostanti", i lussemburghesi Optimum e Athena, 350 milioni di cui 200 sono persi. Crediti ai clienti per l'acquisto di azioni della banca (380 milioni). Manipolazione dei profili Mifid: hanno venduto azioni a persone che non dovevano comprarle. Valutazione delle azioni (62,5 euro, oggi valgono 10 centesimi) basata su criteri ignoti e che si traduce in "una vera e propria sovrastima". Soprattutto gli ispettori scoprono che circa un miliardo del capitale sociale è sottoscritto con prestiti della banca, il che si traduce in un buco patrimoniale di un miliardo.
A maggio 2015 ce n'era abbastanza per il commissariamento. Si legge nell'atto di citazione che Zonin, presidente per 20 anni, "ha invocato a sua discolpa l'assenza di indici di allarme". Segue il commento: "Registriamo allora che neppure la necessità di due ricapitalizzazioni nel giro di dieci mesi, per una Banca che si dichiarava solida e efficiente, costituiscono un ragionevole richiamo d'attenzione". Commento che a maggior ragione dovrebbe valere per la Vigilanza. La legge dice che Banca d'Italia deve commissariare quando scopre gravi irregolarità nella gestione e quando "siano previste gravi perdite del patrimonio". Banca Marche (2013) e Banca Etruria (2015) sono state commissariate per molto meno. Ma Zonin è il banchiere più amato da palazzo Koch. Nel 2013 e nel 2014 era sollecitato dal governatore Ignazio Visco a "salvare" Banca Etruria e Veneto Banca, operazioni "di sistema" saltate per il rifiuto delle due prede a farsi assoggettare da Zonin. A disastro completato (giugno 2016) il capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo ha rivendicato di aver bloccato "le iniziative di espansione della banca", dimenticando che solo tre mesi prima gli ex amministratori di Etruria erano stati sanzionati dalla stessa Bankitalia per non aver consegnato la banca a Zonin.
Alle pietose bugie del dopo si contrappongono i fatti del prima: nel 2014 la Banca d'Italia ha venduto per 9,3 milioni a Bpvi (sapendola prossima alla decozione) la sua sede di Vicenza, palazzo Repeta. Tre anni dopo è ancora inutilizzato, monumento al conflitto d'interessi tra vigilante e vigilato. Nel 2015 la Bce (a ispezione in corso, tanto erano eclatanti le irregolarità ) ordina a Zonin di far fuori il suo braccio operativo Samuele Sorato e di sostituirlo con l'ad Francesco Iorio. A Iorio la vigilanza chiede di sistemare i conti di Zonin, inamovibile, con un aumento di capitale da 1,5 miliardi a carico dei soliti 120 mila soci. C'è voluto un avviso di garanzia per far saltare Zonin, a settembre 2015. E a fine 2015 - quando la crisi bancaria irrompe nei talk show in seguito al suicidio dell'obbligazionista di Etruria Luigino D'Angelo - il direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi dichiara rassicurante: "Mentre discutiamo di questi eventi tragici, altre situazioni dal Veneto alla Toscana sono state affrontate". Affrontate talmente bene che Iorio ha chiuso il bilancio 2015 di Bpvi con una nuova perdita di 1,4 miliardi. L'aumento di capitale l'ha dovuto sottoscrivere il Fondo Atlante a maggio 2016, e solo a quel punto il vecchio cda degli amici di Zonin è andato a casa. Ma a fine 2016 Atlante ha fatto fuori Iorio e ingaggiato Viola, dopo aver scoperto che 1,8 miliardi immessi nella Bpvi per "rilanciarla" erano stati risucchiati da perdite occultate fino a quel momento. E che per salvare (non rilanciare) la banca servono altri tre miliardi.
Tutte queste cose Bce, Bankitalia e Consob le sapevano da anni, ma hanno agito con flemma. La Consob ha mandato i suoi ispettori in Consob il 22 aprile 2015 (quando ancora le azioni venivano scambiate a prezzo pieno) e "ha avviato sei procedimenti sanzionatori (tuttora in corso) il 29 marzo 2016". La scarsa voglia di fermare Zonin è lampante nei tempi della vigilanza bancaria. L'ispezione si è chiusa il 3 luglio 2015. La Bce ha aspettato sei mesi per chiedere alla Banca d'Italia di "aprire procedimenti sanzionatori". La Banca d'Italia ha impiegato altri sei mesi e ha aperto il procedimento l'8 luglio 2016 per fatti accertati quindici mesi prima. Gravi, ma non abbastanza da intervenire d'urgenza.
di Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano
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