Baldo: un serio antifascista deve abolire l'art.18 nato durante il fascismo?
Giovedi 22 Dicembre 2011 alle 12:45 | 0 commenti
Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamo.
Caro Direttore, il dibattito sull'art.18 è oggi considerato importante, ma la sua nascita è durante il fascismo, quindi un serio antifascista deve abolirlo? Invio una mia ricerca del 2002, oggi vale la pena, secondo me, di riproporla. Italo Francesco Baldo
Lo Stato italiano ha avuto nel corso della sua ormai centenaria storia due documenti ufficiali, che hanno cercato di impostare con precisione il mondo del lavoro. In realtà i due testi di legge si differenziano notevolmente, come vedremo.
Il primo la Carta del Lavoro fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 30 aprile 1927 n.100 ed è in gran parte il prodotto di Giuseppe Bottai, che intendeva, dopo i primi tentativi in tale direzione di G. Giolitti, dare una visione coerente e organica di tutto il mondo del lavoro, in sintonia, dati i tempi, con la situazione politica di allora. Il secondo documento, lo Statuto dei lavoratori, fu emanato come legge n il 20 maggio 1970, mentore il ministro Giacomo Brodolini, e riguarda solo ed esclusivamente il mondo dei lavoratori, assumendo in ciò una visione parziale e unidirezionale, ma, ricordiamo si era all'indomani del cosiddetto "autunno caldo" e la sinistra aiutata anche da quella extraparlamentare, intendeva abbattere qualsiasi residuo di proprietà privata, come era stata abbattuta la statua di G. Marzotto a Valdagno (VI).
La differenza tra i due testi di legge è forte. La Carta del Lavoro del 1927 ha una visione complessiva del problema e del mondo del lavoro nello Stato Italiano. In essa vengono esaminati infatti in quattro capi lo Stato corporativo e la sua organizzazione; il contratto collettivo di lavoro e le garanzie del salario; gli Uffici di collocamento, secondo le indicazioni della Convenzione Internazionale di Washington del 1919 ed infine d la previdenza, l'assistenza, l'educazione e l'istruzione da realizzare anche da parte delle associazioni dei lavoratori nel campo professionale, affiancando l'Opera Nazionale Dopolavoro, nata nel 1925. Il testo ha una sua precisa organicità che investe i complessi rapporti tra le parti sociali e la funzione direttrice, organizzativa e mediatrice dello Stato. Significativo è il riconoscimento(art.3) che l'organizzazione sindacale o professionale è libera, ma., come oggi, " solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito". Al proposito ricordiamoci quanto dovettero lottare contro i sindacati più noti, quelli di base per poter partecipare alle trattative!
Lo Statuto dei lavoratori del 1970, invece, ha la sola preoccupazione di tutelare la libertà la dignità dei lavoratori, comprendendo la libertà e l'attività sindacale nei luoghi di lavoro e le norme sul collocamento. Manca di una visione complessiva ed individua nei datori di lavoro solo una controparte in senso negativo. Se nell'impresa vi sono attività di tipo culturale o ricreativo(art.11) gli organismi devono essere formati a maggioranza dai rappresentanti di lavoratori. Il sindacato diventa l'arbitro effettivo del mondo del lavoro, ben 18 articoli su 41 lo riguardano. Lo Statuto recepisce la situazione di quegli anni, tra l'altro la figura del lavoratore studente, la negazione di qualsiasi possibilità di "sindacati di comodo", i permessi retribuiti ed in particolare con l'art.28, una forte repressione della condotta antisindacale da parte dei datori di lavoro, è uno degli articoli più lunghi insieme a diciottesimo, di cui diremo.
Il dibattito storico intorno ai due documenti non è mai stato affrontato in modo preciso, la condanna e l'ostracismo di tutto quello che è stato compiuto durante i governi di Mussolini, ha riguardato anche l'analisi storica, lo ha pagato il tentativo di R. De Felice di fare appunto la storia del fascismo. Oggi possiamo invece tentare di dare almeno uno sguardo più neutrale su tale periodo, esaminando anche le leggi per il campo del lavoro, che costituivano la base dello Stato italiano. Non a caso l'art. 2 della Carta del lavoro afferma:" Il lavoro sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive intellettuali, tecniche e manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato." Come non ricordare al proposito che l'art. 1 della Costituzione recita: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Non si tratta d'identità , ma di riconoscimento dell'importanza del lavoro, che avviene indipendentemente dalla diversità politica e che i grandi padri della Consulta, intesero affermare in modo preciso e non s intesero il lavoro solo come sfruttamento, come avviene da quasi trent'anni!
Un'analisi dettagliata certamente occuperebbe molto tempo, ma proprio oggi che si discute dell' articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, uno sguardo a come fu risolta dalla Carta del Lavoro la questione merita qualche cosa di più che la semplice curiosità storica. Nella Carta del lavoro l'art. XVII stabilisce: " Nelle imprese a lavoro continuo, il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore." Che semplicità d'indicazione! Nello Statuto dei lavoratori invece l'art. 18 è il più lungo (45 righe) e più protettivo, ma anche più complesso e rigido e non possiamo riportato integralmente. Richiamandosi all'art. 7 della legge del 15 luglio 1966, n.604 si stabiliscono solo vincoli per i datori di lavoro ai quali è impedito, di fatto e di diritto, qualsiasi possibilità di licenziamento. Solo nel caso in cui il lavoratore acconsenta al licenziamento è dovuta una indennità pari a quindici mensilità e non come nella Carta del lavoro in proporzione agli anni.
L'attuale dibattito politico, dovrebbe rileggersi quanto è stato stabilito in precedenza e non ridursi alla sola discussione su un articolo, ma prendere in esame tutto il problema del lavoro, In questa prospettiva non solo il Parlamento ed il governo, i sindacati, ma anche tutta la società civile, come si usa dire, deve essere coinvolta a discutere il proprio futuro, appunto quello che vede lo Stato Italiano fondato sul lavoro e sull' impegno di tutti verso questo bene civile, senza interessi di bottega.
Italo Francesco Baldo
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