Assemblea camere del lavoro a Chianciano, Camusso: Cgil e Fiat, ripartire dalla fabbrica
Martedi 11 Gennaio 2011 alle 17:35 | 0 commenti
Rassegna.it - L'intervento di Susanna Camusso all'Assemblea Cgil. Sono state e sono differenti, le valutazioni di Cgil e Fiom sul che fare dopo il referendum di Mirafiori. Ma sul merito dell'accordo del 23/12 il giudizio è identico.
di Giovanni Rispoli
"Stiamo provando a definire, insieme alle altre parti sociali, un patto per la crescita. La produttività di sistema è decisiva; ma il tema richiede un passo in più, o meglio una premessa: il sistema delle relazioni deve essere basato sul riconoscimento reciproco e sulla libertà dei lavoratori".
Per introdurre il ragionamento intorno al caso Fiat, nella sua relazione all'assemblea di Chianciano delle Camere del lavoro (11-12 gennaio), Susanna Camusso ha voluto ricordare subito la contraddizione che si è aperta fra l'accordo di Mirafiori - accordo ad excludendum prima che accordo separato, ha detto - e lo sforzo in atto per trovare, sindacato e imprenditori, una proposta per andare oltre la crisi.
Una proposta che resterebbe monca, viste le contraddizioni insorte con l'accordo separato del gennaio 2009 e oggi lo strappo di Mirafiori, se non si rafforzasse l'accordo sulle rappresentanze del '93, se non si ridefinissero le regole generali sulla rappresentanza e la democrazia sindacale. Un accordo in materia - un accordo propedeutico a una regolamentazione legislativa - è ormai urgente. Ed è oggi, ha proseguito Camusso, il primo dei due compiti più immediati della Cgil. Il secondo, con l'altro strettamente intrecciato, un impegno forte a fianco della Fiom per la riuscita dello sciopero generale del 28. La battaglia dei metalmeccanici riguarda la libertà dei lavoratori, è una battaglia di tutta la confederazione.
Sono state e sono differenti, è cosa nota, le valutazioni di Cgil e Fiom sul che fare dopo il referendum di Mirafiori, come evitare il rischio che il sindacato tra i metalmeccanici più forte e rappresentativo si ritrovi suo malgrado a interpretare un ruolo di mera testimonianza. Su una cosa però non c'è alcun dubbio: l'identità di vedute, da subito, circa il merito dell'accordo del 23 dicembre. Negli anni 50 i lavoratori che provavano ad alzare la testa finivano nei reparti confino, spiegava la segretaria generale della Cgil a Repubblica subito dopo l'intesa - i più vecchi ricordano l'Osr, l'Officina Sussidiaria Ricambi, appunto alla Fiat, che gli operai avevano ribattezzato Officina Stella Rossa -, oggi c'è l'esclusione della rappresentanza sindacale. "L'idea, tuttavia, è esattamente la stessa. E cioè quella di costruire un sindacato (...) aziendalista", il cui unico scopo è quello di assecondare "le posizioni dell'impresa".
Questo all'interno di una filosofia, nell'accordo chiarissima, del tutto antidemocratica. "Marchionne è antidemocratico e illiberale (...). Aggiungo che non può esserci un modello partecipativo che si fondi sull'impedimento della libertà sindacale". Bonanni e Angeletti - torniamo alla relazione di Chianciano -, "che dicono che non vogliono escludere nessuno", dovrebbero guardare con più attenzione a quel che sta accadendo, interrogarsi su come restituire ai lavoratori la possibilità di eleggere i loro rappresentanti; e chiedersi insieme, in tanto parlare di partecipazione, come si fa a partecipare seriamente se il diritto a contrattare viene negato. "La democrazia e la rappresentanza sono una delle forme dell'autonomia del sindacato. Non stiamo facendo una battaglia di bandiera", ha proseguito Camusso. Perché, quando si lascia decidere ad altri chi rappresenta chi, "si è condannati a una condizione di perenne subalternità ". "Cosa facciamo insieme - domanda rivolta sempre a Cisl e Uil -, allora, per evitare che le fabbriche diventino caserme e i sindacati ridotti a organizzazioni silenti?".
Una ferita profonda nelle relazioni sindacali, dunque, quella che denuncia immediatamente la Cgil, accompagnata dalla preoccupazione per le lacerazioni che, qualora scattasse un meccanismo imitativo, potrebbero prodursi nei rapporti tra sindacato e imprese. Un giudizio netto, cui si aggiungono i dubbi - anche questi condivisi con la Fiom - circa la verità dei piani di Marchionne per la Fiat, "il mistero di Fabbrica Italia". "E se non servisse a nulla? Se lo scambio americano tra diritti e occupazione, accettato da Fim e Uilm per non parlare della Fismic, alla fine fosse inutile?". La domanda che ci ponevamo su Rassegna.it a poche ore dalla firma era quella, non del tutto peregrina, di chi come la Fiom, la Cgil e qualche commentatore più attento, nel coro fastidiosamente provinciale degli adoratori del manager col maglione, aveva preso ad avanzare.
Non è semplice dire che il re è nudo. Anzi, è assai complicato. Se non altro per il fatto che il potere che dovrebbe fare da contrappeso, interpretando il pubblico interesse, ovvero il governo, semplicemente non c'è, fa il tifo anziché pensare alle politiche industriali. Gli impegni assunti da Marchionne con il governo americano sono dettagliatissimi. Da noi si propone e sottoscrive un'intesa che fa della Costituzione un sussidiario vecchio e spaginato, allegando alla stessa, a mo' di piano industriale, come ha ricordato la Fiom, un comunicato stampa dell'azienda. Fabbrica Italia: venti milioni di investimenti, si è detto, mille a Mirafiori, settecento e passa a Pomigliano. E il resto?
Fin qui, dunque, la sintonia di accenti con i metalmeccanici. Diverso invece, rispetto a Corso Trieste, il giudizio della confederazione (e della minoranza Fiom) sul percorso che ha portato agli esiti attuali. Proprio inevitabili Pomigliano prima e Mirafiori poi?, ci si è chiesti. Tutte imprevedibili le mosse di Marchionne? "Quando c'è una sconfitta non possono non essere stati commessi degli errori - ancora Camusso nell'intervista citata -. Nessuna grande sconfitta è solo figlia della controparte. Ce l'ha insegnato Di Vittorio: se anche ci fosse una responsabilità in percentuale minima, su quella ci si deve interrogare".
A Chianciano Camusso non si è soffermata su questo punto. Se ne riparlerà , non c'è dubbio. Ma intanto ha voluto ribadire la posizione della Cgil sul referendum di Mirafiori e sul dopo. Non ci si può sottrarre alla responsabilità di sostenere la battaglia per il no, ha sostenuto. Se poi vincesse il sì, sia i diritti dei lavoratori - i diritti indisponibili dei lavoratori - che la presenza della Fiom in fabbrica verrebbero messi in discussione. Il tema, dunque, è: come si affrontano le conseguenze del referendum. Il timore della Cgil è che, costretti fuori dalla fabbrica, sia difficile ripartire. Le alleanze sono importanti, certo. Ma la partita si gioca nel cuore dei rapporti di produzione. A contare, innanzitutto, "è quel che noi facciamo quotidianamente nei luoghi di lavoro".
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