Affaire Marghera, Gomorra: silenzi trasversali tra magistratura, politica e imprenditorìa
Sabato 29 Gennaio 2011 alle 12:01 | 0 commenti
Da VicenzaPiù e Ovest-Altto Vicentino n. 206 in distribuzione da ieri (sotto la copertina).Â
Il 17 dicembre 2010 ed il 14 gennaio 2011 VicenzaPiù è andato in edicola con due approfondimenti relativi al caso Aim. Dopo le prime due puntate dense di dati e cifre (nonché un errore che chi scrive ha già provveduto a rettificare) è giunto il momento di tirare le prime somme ed i primi commenti.
Il primo elemento che emerge soprattutto in relazione all'affaire Marghera è che l'operazione, almeno dal punto di vista politico, porta la firma di quel gruppo che allora faceva riferimento alla corrente dell'europarlamentare prima azzurra poi del Pdl Lia Sartori. È però emerso un altro fattore. L'operazione aziendale e immobiliare che ha mandato in tilt i conti dell'azienda potrebbe aver avuto una sponda politica anche nell'entourage dell'allora consigliere regionale Achille Variati, attuale primo cittadino berico in quota Pd. Dalle rivelazioni dell'ex assessore di questa stessa maggioranza Gianni Giglioli (anche egli indagato) si intuisce, infatti, che l'operazione piattaforma ebbe il consenso dell'allora direttore generale di Aim Dario Vianello (nella foto VicenzaPiù) e dell'avvocato Alessandra Capuano interpellata dalla ex municipalizzata come consulente. Quest'ultima all'epoca dei fatti era considerata in quota centrosinistra, almeno secondo Giglioli. E un ragionamento analogo lo si può fare anche su Vianello visto che da anni a palazzo Trissino e sui media locali si sottolinea che sarebbe stato proprio l'attuale primo cittadino ad intervenire alla metà degli anni Duemila su Beppe Rossi affinché lo stesso ingegner Vianello fosse nominato general manager di San Biagio. Questa circostanza il centrosinistra, che è oggi maggioranza in municipio, se la scorda sempre, quando, giustamente, infilza il centrodestra sulle sue vecchie responsabilità . Come mai?
C'è però un secondo elemento che va considerato. E questo riguarda il trasferimento prima dell'affitto d'azienda, poi del terreno, che è avvenuto tra Servizi Costieri, Ecoveneta e poi Gruppo Aim. L'impressione che se ne ricava è che Ecoveneta abbia tolto le castagne dal fuoco a Servizi Costieri con buona soddisfazione per quest'ultima. Anche San Biagio poco dopo ha tolto le castagne dal fuoco ad Ecoveneta, stavolta però la spa controllata dall'ente municipale ci ha rimesso tra i dieci e i 15 milioni di euro, almeno stando all'azione civile promossa dal gruppo di San Biagio verso il gruppo Maltauro Ecoveneta.
Tant'è che la domanda da cento milioni di dollari riguarda proprio la Servizi Costieri. Chi c'era dietro? Chi erano i veri proprietari e quali aziende ha servito in modo difforme dalla legge? La stessa cosa vale per Ecoveneta, la quale secondo la magistratura ha pure accumulato illecitamente a Marghera una cosa come 5.000 tonnellate di rifiuti pericolosi. La questione non è da poco. Rispondere pienamente a queste domande significa accendere i riflettori sulla gestione dei rifiuti di una grandissima parte delle imprese venete e vicentine. E significa probabilmente accendere i riflettori su quegli imprenditori senza scrupoli che col metodo "Gomorra" hanno spedito in Campania di tutto e di più. Non a caso Carlo Valle, un tempo dominus di Servizi Costieri, è tra i principali imputati nel maxi processo che a Santa Maria Capua Vetere nel Casertano vede alla sbarra una serie di nomi eccellenti coinvolti in uno dei più colossali traffici di rifiuti illegali, traffici poi raccontati appunto da Roberto Saviano. Non va dimenticato infatti che per alcune categorie di inquinanti l'impianto veneziano era l'unico autorizzato in regione: una sorta di monopolio quindi.
Ma c'è di più. Il 28 ottobre 2003 Bruno Lombardi allora amministratore delegato di Ecoveneta-Maltauro viene ascoltato dalla commissione parlamentare antimafia (vedi allegato); e in particolare dal presidente Paolo Russo al quale spiega: «Abbiamo acquisito la Servizi Costieri perché nella filiera delle nostre attività è molto coerente avere un impianto per il trattamento dei rifiuti pericolosi che a noi mancava; l'abbiamo presa in locazione per 30 mesi, il tempo necessario per eventuali revocatorie perché ritenevamo che la società fosse oberata dal punto di vista finanziario». In barba alla coerenza però, pochi mesi dopo, prima la gestione poi l'intera società verranno «sbolognati» al comune di Vicenza via Aim. C'era quindi un piano a monte con madrine e padrini politici o la cessione a terzi è stata figlia degli eventi? Come mai a San Biagio si sono imbarcati in una impresa così rischiosa in un mondo come quello dei rifiuti pericolosi dove le mafie spesso spadroneggiano?
Sullo sfondo però rimane il comportamento incomprensibile della procura. Quando Giglioli spiega agli investigatori che Lombardi nella duplice veste di amministratore di Ecoveneta e di Aimeco «scarica a quest'ultima il bidone Marghera» descrive un comportamento che potrebbe configurare il reato di truffa a danno di una società a prevalente capitale pubblico. A palazzo Negri hanno agito di conseguenza aprendo d'ufficio un fascicolo? La cosa non è mai stata chiarita. In questa maniera però si alimentano strani dubbi. Dubbi snocciolati a più riprese in aula dall'ex consigliere Franca Equizi la quale ha paventato che la maxi inchiesta su Aim (sulla quale incombe ormai l'alito della prescrizione) sia in qualche modo stata la reazione al no di un gruppo trasversale nei confronti di un progetto che vedeva il ricco ramo gas di Aim finire nelle mani della famiglia Amenduni e dei suoi alleati, politici e imprenditoriali.
Da questo punto di vista la vicenda può essere letta grazie alla cartina di tornasole della stampa. Quanti articoli sui principali quotidiani locali, GdV in primis, sono stati dedicati all'indagato Rossi? Quanto spazio, foto, editoriali, reprimende hanno dedicato gli autori di cronache giudiziarie e non al calvario di "Bepi Matonela & friends"? Quest'ultimo sino alla conclusione del procedimento va considerato infatti innocente. Ma qualcuno che invece ha ammesso le sue colpe a Vicenza c'è. Davanti al tribunale di Venezia Lombardi infatti per la gestione dei rifiuti Ecoveneta ha patteggiato diversi mesi di galera: sui giornali poche menzioni, neanche una foto e il caso è finito in cavalleria. Come mai tanto «riguardo?». Da settimane ormai chiedo spiegazioni ai protagonisti: imprenditori, magistrati, amministratori, politici. Tutti nicchiano però. Il motivo, verrebbe da dire, è facile da immaginare.
A questo punto è ipotizzabile pensare che Marghera sia ben più di un disgraziato sito per lo stoccaggio di reflui nocivi. Marghera ha l'odore di un vero e proprio santuario tossico le cui cripte non possono essere aperte. Se la cosa accadesse potrebbe venir fuori la stessa melmosa realtà che è già emersa in altre realtà industriali del nord in cui lo smaltimento illegale dei rifiuti non è una eccezione. È la norma in un mondo industriale infetto da un virus letale. Un virus per il quale le imprese, la maggior parte, non possono fare gli utili che programmano, se non smaltiscono irregolarmente, se non evadono il fisco, se non lesinano sulla sicurezza, se non trovano scorciatoie di comodo col favore della politica e delle istituzioni. Insomma aprire questo vaso di Pandora veneziano significherebbe mettere alle corde un intero sistema culturale prima che produttivo. E di fronte ad un blocco sociale così compatto e diffuso non c'è magistratura che tenga. Arzignano docet.
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