"Vicenza Jazz" è ancora materia di tesi. E stavolta arriva la lode
Mercoledi 26 Ottobre 2011 alle 23:12 | non commentabile
 
				
		Comune di Vicenza - Dal festival jazz di Vicenza esce un'altra laurea e stavolta con lode. Non è la prima tesi su "Vicenza Jazz", ma l'originalità e la completezza del lavoro hanno portato stavolta al massimo dei voti e la lode a Marianna Fabrello, da tre stagioni responsabile di produzione proprio del festival vicentino, dopo che Riccardo Brazzale, direttore del festival, l'aveva scovata leggendo casualmente la sua tesi sulla nuova letteratura veneta per la laurea triennale in Scienze della comunicazione.
In realtà, è dal 2009 che la neo-dottoressa Fabrello ha a vario titolo  collaborato con l'assessorato alla cultura del Comune di Vicenza: non  solo per il festival jazz, ma anche per vari progetti, come il festival  letterario "Dire Poesia", in collaborazione con le Gallerie di Palazzo  Leoni Montanari, o lo storico ciclo di spettacoli classici, in  collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto. Tuttavia è con "Vicenza  Jazz" che Marianna Fabrello ha potuto esprimere a fondo le sue  potenzialità, messe poi a frutto nel lavoro che ora le è valsa la  soddisfazione di un meritato riconoscimento.
La sua tesi ha indagato  il festival di Vicenza dal punto di vista sociologico, andando a  verificare quante e quali siano le variabili dovute a una generale  sociologia della musica che influenzano l'evento nel suo complesso, dal  primo momento in cui un'edizione è concepita nella mente del direttore  artistico sino alla compiuta realizzazione. Secondo le teorie dei mondi  dell'arte di Howard Saul Becker, anche un evento composito come il  festival jazz di Vicenza può esser considerato un micro-mondo dell'arte,  soggetto a convenzioni e reti di cooperazione che ne determinano lo  sviluppo sia artistico che socio-economico.
Per avallare questa tesi,  per capire il motivo per cui a Vicenza "le cose non sono andate  diversamente", Marianna Fabrello parte da lontano, addirittura da Hegel,  dal momento che la prima delle tre parti del suo lavoro, secondo il  procedimento deduttivo, si occupa genericamente di sociologia della  musica; quindi, nella seconda parte, l'imbuto restringe il campo alla  sociologia del jazz (passando forzosamente per Adorno e il suo astio nei  confronti di una musica che andava sempre più allargandosi al campo  delle arti colte), che ha i suoi pilastri in Hobsbawn e,  successivamente, in Becker e Davide Sparti. Quindi, nella parte  conclusiva, le diverse teorie confluiscono in una sorta di sociologia  del festival vicentino, per arrivare a concludere come per "Vicenza  Jazz" il suo direttore artistico non possa esserne solo l'ideatore, ma,  più generalmente, una sorta di collante e di interprete di logiche ed  esigenze diverse, da quelle puramente estetiche a quelle sociali (degli  appassionati a vario titolo), economiche (degli sponsor, a partire dal  co-fondatore Trivellato) e di politica culturale (dettata  dall'amministrazione comunale).
Ecco dunque spiegato l'epilogo,  secondo cui "è così che il jazz si trova ad esistere e resistere a  Vicenza non più solo come forma artistica, che interessa un gran numero  di appassionati (senza qui dover indagare sul chi sia, ogni anno a  maggio, il tipo già-adorniano di appassionato di jazz), ma perché è  oramai diventato anche altro da sé: un facilitatore per le congiunture  economiche, un utile bagaglio identitario, una poltrona comoda, una  vetrina tirata a lucido, magari anche un avviato core business, un  fattore di aggregazione sociale, persino un evento molto diplomatico  (tant'è che sopravvive alle diverse bandiere politiche e, tutto sommato,  anche ai cambi generazionali, data la varietà di proposte musicali da  cui da tempo si caratterizza); insomma, una cash cow al quale diventa  difficile rinunciare".
 
  
		
		
	 
				     
				     
				     
				    