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Usb: ennesima vergogna dei confederali, il contratto dei metalmeccanici. Intanto alla Stefani di Thiene passa il no

Di Redazione VicenzaPiù Mercoledi 21 Dicembre 2016 alle 16:03 | 0 commenti

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Luc Thibault, Usb Privato

Sabato 26 novembre è stato firmato il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici, storicamente uno dei contratti collettivi più ostici per il capitalismo italiano. Un accordo che sembra aver soddisfatto tutti i contraenti: il governo, Confindustria, i sindacati confederali e anche la Fiom, che dopo diversi anni torna a firmare un accordo nazionale nel settore metalmeccanico dichiarandosi, per bocca di Landini, molto soddisfatta. Esultano Cisl e Uil, ed esulta Maurizio Sacconi, il proponente principale dell’accordo. “Questo accordo è un miracolo”, dichiara Marco Bentivogli della Fim-Cisl, a cui fa eco la Fiom: “un contratto pulito e senza scambi”, secondo Landini.

Confindustria dichiara estasiata: “l’accordo conferma l’idea che il contratto nazionale diventa un contratto che ha una dimensione regolatrice che spinge sui contratti aziendali, legandoli molto alla produttività e spinge verso un modello che è di collaborazione per la competitività interna alle fabbriche” (qui una panoramica di dichiarazioni). Col referendum alle porte era inevitabile che il governo cedesse piccoli oboli elettorali e non mettesse in piedi bracci di ferro con il mondo sindacale, soprattutto con la Fiom. Il problema è che il nuovo contratto spiana la strada alla contrattazione aziendale, alla “cogestione” sindacale dei profitti aziendali e allo scambio tra il welfare pubblico in drastica riduzione e il welfare aziendale che invece vede un’implementazione decisiva. Cosa c’è di sbagliato in tutto questo? A chiarirlo sono le stesse testate padronali appagate dell’accordo raggiunto. Sul Corriere Dario Di Vico si incarica di analizzare i risultati strutturali dell’accordo, chiarendo sin dalle premesse lo scenario entro cui verrà incardinata la contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro:

“Al tavolo dei grandi contratti di lavoro dei paesi avanza, accanto alle folte delegazioni di imprenditori e sindacalisti siede ormai fisso un solitario convitato di pietra: la globalizzazione. Se il risultato di quel tavolo alla fine è troppo sbilanciato a favore del lavoro c’è il rischio concreto che le imprese non riescano a sostenere più il ritmo della concorrenza internazionale e vadano fuori mercato. Viceversa se l’impresa stravince il round del negoziato e magari umilia il sindacato è facile che psicologicamente gli operai sconfitti si iscrivano nel novero dei perdenti della globalizzazione e finiscano per diventare l’esercito elettorale di riserva dei partiti populisti”.

L’editorialista del Corriere certifica il ricatto padronale e tenta di dargli patente di legittimità: con la “globalizzazione” di mezzo, o la contrattazione tiene conto delle esigenze padronali di produrre a orari, ritmi, salari e standard “cinesi”, o quegli stessi padroni prendono armi e bagagli e trasferiscono la produzione in Cina. E in effetti, secondo stringente logica liberista, il ragionamento non farebbe una piega. Nella truffaldina descrizione degli interessi in causa manca però la politica, che dovrebbe avere il ruolo di garante contro ricatti di questo tipo. Infatti il problema non è tanto la “globalizzazione”, quanto la scomparsa della politica nella contrattazione sociale, che dovrebbe impedire tali “ricatti delocalizzanti”. E non perché, come teme Di Vico, poi quegli operai scontenti inizino a votare il Trump di turno, ma per una ragione di civiltà talmente palese da risultare retorica: le condizioni di vita del lavoratore non possono essere una variabile totalmente dipendente dalle possibilità di profitto dei datori di lavoro.

L’entusiasmo sindacale è però decisamente sospetto. Secondo Di Vico, l’accordo è “un’intesa equilibrata che fa sue le ragioni di aziende che ormai vivono nell’epoca del 4.0”. Non sappiamo cosa sia quest’epoca 4.0 dove vivrebbero “le aziende”, ma nel mondo 1.0 dove ancora vivono i lavoratori, un accordo che “fa sue le ragioni delle aziende” è un pessimo accordo, per nulla equilibrato, e che certifica semmai un rapporto di forze sociali completamente sbilanciato a favore del capitale. Non si tratta tanto di pesare i singoli “pro” e  “contro” del nuovo contratto, quanto di valutarne la logica generale che lo sottintende e la direzione che imprime nelle relazioni produttive del paese. E in questo senso, l’accordo è una débâcle operaia: “Si comincia con lo spostare il baricentro della futura contrattazione sul livello aziendale che rappresenta comunque il punto di contatto più genuino tra mercato e lavoro”. E’ questa la razionalità posta alla base dell’accordo: a livello nazionale si pongono unicamente generici paletti regolativi, mentre la contrattazione salariale avverrà a livello aziendale, svuotando di senso la contrattazione collettiva. Inoltre, il salario viene legato alla produttività, rafforzando il ricatto padronale per cui il lavoro è una variabile dipendente della produttività. “Nell’epoca del Grande Convitato di pietra ciò che unisce la comunità della fabbrica è molto più di ciò che la divide”, conclude l’editorialista del Corriere. Ma cosa intende il giornalista con “comunità della fabbrica”? Il nuovo contratto istruisce il percorso della condivisione degli interessi aziendali tra datori e sindacati firmatari, facendo proprio il modello tedesco della “cogestione” del sindacato agi utili dell’impresa. Il sindacato si trasforma così in datore di secondo livello, che ha come obiettivo quello della massimizzazione dei profitti anche a scapito delle garanzie dei lavoratori, e questo scambio determina un mercato del lavoro a due livelli. Nel primo, una sempre più ristretta cerchia di vera e propria aristocrazia operaia ben remunerata e coperta dal welfare aziendale; nel secondo livello, la sempre più preponderante composizione operaia non sindacalizzata, senza diritti e sotto pagata, che non ha accesso alle garanzie contrattuali perché non legata direttamente all’azienda madre ma subappaltata alle aziende dell’indotto precarizzato. Il nuovo equilibrio raggiunto si rivela allora un clamoroso passo indietro per le condizioni generale dei lavoratori del paese, che polarizza i rapporti tra gli stessi lavoratori e regala alle aziende la possibilità della contrattazione locale invece di adeguarsi ai vincoli nazionali della contrattazione collettiva. Una débâcle, spacciata per “accordo pulito e senza scambi”.

È sufficiente scorrere gli elogi sperticati che giungono da imprese, governo e da Sacconi per comprendere quale segno abbia l’innovazione introdotta.

Non siamo davanti semplicemente ad un pessimo accordo che consegna ai lavoratori un incremento salariale ridicolo e indefinito e che aderisce pienamente al welfare contrattuale dei premi in natura e ticket. Il contratto firmato costruisce nei fatti un nuovo modello ridisegnando complessivamente le funzioni due due livelli contrattuali, nazionale e aziendale, con il risultato di consentire un solo livello di fatto e esclusivamente a perdere.

Il contratto nazionale prevede infatti , per la prima volta in assoluto, la non sovrapponibilita’ dei due livelli salariali. A partire dal primo gennaio 2017 gli incrementi salariali del contratto nazionale andranno ad assorbire salario individuale e collettivo strutturale conquistato dai lavoratori in azienda. Il combinato disposto della cancellazione della parola “anche variabile” dal capitolo sui premi di risultato e del meccanismo di assorbimento è costruito esplicitamente per ridurre e contenere le spinte salariali e le rivendicazioni dei lavoratori. Federmeccanica regala il contentino a fim fiom uilm del mantenimento dei due livelli contrattuali formali ma incassa la sostanza, la garanzia cioè che esiste un solo livello salariale; centralizzato, misero e autoritario. Non c’è alcuno spostamento del peso della contrattazione dal nazionale al livello aziendale.

Il sistema metalmeccanico è costruito per impedire l’esercizio della libera contrattazione e per ridurre i salari. Ed anche qualora i lavoratori riuscissero a ottenere salario fisso e strutturale con le lotte in azienda, contravvenendo alle prescrizioni del contratto nazionale, le aziende potranno assorbirlo. Fim fiom uilm cancellano così l’autonomia della contrattazione svuotando di fatto il contratto nazionale. Gli incrementi salariali verranno misurati sull’indicatore IPCA, depurato dai costi importati, e riconosciuti solo ex post al giugno di ogni anno. Fim fiom e uilm hanno regalato un anno in più di vigenza contrattuale, quattro anziché tre, ma avrebbero potuto tranquillamente sottoscrivere “sine die” la parte economica in quanto viene preclusa la possibilità stessa di costruire una rivendicazione salariale autonoma.

Da oggi in poi, il contratto nazionale è relegato alla sola funzione di scala mobile a perdere. Lo stesso welfare contrattuale che viene massicciamente introdotto nel contratto nazionale è anch’esso uno degli elementi di mortificazione salariale. Non solo perché per i padroni il costo è tutto a carico delle retribuzioni ma per la ragione che, considerato il divieto di ottenere salario fisso e la incentivante detassazione concessa dal governo, è destinato a divenire da subito il “cuore” della contrattazione a livello aziendale.

Si ritorna al pagamento in natura, vero e proprio capolavoro dell’ipocrisia di fim fiom uilm. L’una tantum a copertura della vacanza contrattuale di ben 17 mesi è di 80 euro.. ma è semplicemente uno spostamento di risorse ricavato dal posticipo della avvio della sanità integrativa... Qualcuno deve avere consigliato di non sottoscrivere contestualmente la limitazione al diritto di sciopero con le clausole di raffreddamento e l’integrale recepimento del testo unico del 10 gennaio, evidentemente già concordate tra le parti, e di non portarla neanche al voto dei lavoratori. Tutto è demandato ai lavori oscuri di una commissione. Tuttavia restano le deroghe al contratto nazionale, la possibilità cioè di non applicare o peggiorare parti normative del contratto nazionale a livello aziendale. Il fattore più rilevante di cancellazione del ruolo del contratto nazionale. La normativa resta sostanzialmente quella degli accordi separati del 2009 e del 2012 che la fiom non sottoscrisse per i peggioramenti introdotti su flessibilità, deroghe, orari e ruolo delle rsu.

In realtà è stato firmato un contratto aperto, altri peggioramenti sono destinati a arrivare con i lavori delle commissioni costituite ad hoc su lavoro agile, “politiche attive del lavoro” cioè meccanismi di accorpamento ore per la gestione degli esuberi e riforma dell’inquadramento. Mentre si recepisce da subito la legislazione del governo Renzi sulla cessione “solidale” di ferie e permessi da lavoratori ad altri lavoratori, a costo zero per le imprese. Il nostro giudizio è per tutte queste ragioni di assoluta contrarietà. Questa firma sancisce la fine di una velleità tutta interna alle segreterie di fim fiom uilm sul ruolo della contrattazione.

La fiom di Landini è stata protagonista di un’innovazione che sancisce la fine del contratto nazionale nato nel 1969 con una straordinaria stagione di lotte. La contrattazione diventa strumento formale in mano alle imprese per aumentare ritmi,carichi e impedire la crescita dei salari. Un modello neocorporativo che, anche nei metalmeccanici, sussume sindacati firmatari e imprese in un solo fronte, uniti nella sfida per la competitività delle merci, e scarica per intero i costi della crisi del capitale sulle lavoratrici e sui lavoratori.

Il contratto nazionale si difende e si riconquista ridando senso e valore alla sua esistenza, solo se effettivamente risponde ai bisogni di chi lavora. Lo stesso concetto di democrazia di cui tanto si ammanta questo rinnovo, si risolverà con una consultazione farsa, strumento per scaricare la responsabilità di questa debacle sindacale ai lavoratori ed alle lavoratrici. Federmeccanica esce trionfante dall’accordo. Saggiata la resa e la complicità di fim fiom uilm ha preteso e ottenuto la fine del contratto nazionale.

La sua esistenza formale serve esclusivamente alle segreterie sindacali ed alle associazioni che incasseranno risorse considerevoli e benefici vari da enti bilaterali e quote contratto. Non serve ai lavoratori, ridotti a merce su cui sperimentare modelli sempre più sofisticati di spoliazione e sfruttamento. In questo quadro appare persino irrispettosa la richiesta di fim fiom uilm di 35 euro di quota contratto per i lavoratori non iscritti.

Oggi l’unica possibilità di difendersi e ricostruire un agire collettivo per la riconquista di diritti e salario è quella della rottura con fim fiom uilm. La ritrovata unità sul contratto dei metalmeccanici chiude il cerchio della complicità sindacale di Cgil Cisl Uil.

È solo fuori da questa complicità che si ricostruisce .

Da oggi inizia la battaglia per respingere questo ignobile accordo.

Intanto alla Stefani di Thiene passa il no (nella foto).

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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