Un'esperienza personale di Giorgio Langella. Omaggio al Partito comunista, e alla politica
Giovedi 18 Febbraio 2016 alle 23:01 | 3 commenti
Alla morte di Valerio Zanone, segretario dal 1987 al 1995 del PLI, Partito Liberale Italiano, io, che a fine anni 60 ero liberale, dicevano di sinistra perchè a Roma ero un fan di lui e Bonea, a Zanone volli fare un omaggio ora che mi etichettano come uomo di sinistra, ingestibile, però, perchè... troppo liberale: chiesi che ne scrivesse su VicenzaPiu.com Giorgio Langella, segretario regionale del PCdI (la sinistra di sinistra) e nostro opinionista soprattutto per le problematiche del lavoro. Poche sere fa, ho mangiato insieme a lui una pizza e una birretta che mi sono costate più di un'azione, se l'avessi avuta, della Banca Popolare di Vicenza, tre membri del cui Cda, tra cui Zonin e Zigliotto, sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, un altro, Marino Breganze, per reati della controllata siciliana Banca Nuova, e l'ultimo, per ora, Matteo Marzotto condannato a 10 mesi per reati fiscali connessi con la cessione di Valentino Fashion Group al fondo Permira.
Durante la "pizza e birra" abbiamo parlato a quattr'occhi di tante cose, familiari e pubbliche e, poco prima di dirci arrivederci, Giorgio mi ha letto un suo scritto per l'ultima riunione romana con Diliberto e i "suoi" compagni.
Non mi colpì quella sera la sua ben nota passione per la sua parte e so che non lo offendo nè lo limito definendolo di parte anche perchè così ama definire la defunta "lotta di classe": oggi è un ricco capitalista a sostenere che la lotta di classe essite eccome, solo che il capitalista dice, la stanno vincendo i ricchi...
Non mi colpì neanche il suo amore indomito per la politica, fatto ieri di idee, di argomentazioni per le proprie idee e di discussione sulle e contro le idee altrui (per me negli anni 60 quella era anche la mia politica... liberale), mentre oggi "amore per la poltica" è spesso, se non sempre, solo "amore degli interessi di una parte, non certo di classe, e, sempre di più, del malaffare".
Non mi colpirono quei due "sentimenti", quelli per cui con lui sottoscriverei un'unione civile, ma suscitarono in me grandi emozioni molti passaggi del suo docuemtno, molto personale e molto pubblico.
Da condividere? Non è obbligatorio. Da criticare? Sarebbe lecito e auspicabile.Â
Da leggere? Penso di sì.
Giovanni Coviello
Un'esperienza personale
di Giorgio Langella
Qualcosa che mi sembra utile chiarire quando si parla di ricostruire il Partito Comunista Italiano è come ha vissuto un militante (allora) giovane iscritto nel 1974 in una delle tante sezioni che c'erano a Padova. Parlo della sezione Portello. Una sezione storica, "proletaria", di un quartiere che si era sempre distinto nella lotta al fascismo. Anche negli anni più bui del regime, quando questo era all'apice del potere e del consenso.
Per quel militante il Partito non era quello che si limitava al segretario nazionale o a qualche alto dirigente. Certo Berlinguer era carismatico, Luigi Longo un compagno tutto d'un pezzo, da ammirare senza condizioni. E anche i fratelli Pajetta e Amendola (con la sua scelta di vita), Ingrao e Pio La Torre, Fernando di Giulio e Terracini, Camilla Ravera e Nilde Iotti erano esempi decisivi nella scelta di un giovane comunista. Per non parlare di Gramsci e Togliatti che venivano conosciuti attraverso i loro scritti e i racconti che i compagni più anziani facevano. I compagni citati hanno nomi da pelle d'oca, certamente, ma i riferimenti di quel compagno non ancora ventenne erano soprattutto le compagne e i compagni che vivevano la sezione. Donne e uomini in carne ed ossa che lavoravano tutto il giorno e lottavano per creare un Partito sempre migliore. Forse non avevano studiato in maniera "ufficiale" ma conoscevano la vita, la fabbrica, la fatica.
Erano meravigliosi anche senza avere cognomi importanti o conosciuti. Si chiamavano Reschiglian (artigiano che, nella sua bottega, mentre impagliava qualche sedia raccontava le gesta dei compagni che, durante il fascismo, avevano fatto), i fratelli Stellin (che erano "rocciosi", incutevano rispetto e davano sicurezza con la loro sola presenza e che erano pronti a dare tutto per il Partito), il "Colonnello" (instancabile nel portare avanti iniziative e politica), il segretario Armando Vecchiato (che dopo aver lavorato era sempre in sezione o per le strade a volantinare, ad attaccare manifesti, e che portava i giovani a conoscere i compagni delle fabbriche perché anche chi era studente apprendesse il significato della fatica e dello sfruttamento da chi ne era protagonista) e tante altre compagne e compagni che avevano l'entusiasmo di costruire elementi di socialismo in un territorio difficile come quello padovano. Erano compagni schietti, che non le mandavano a dire, che discutevano anche duramente, che ti sbattevano in faccia con severità la verità che loro vedevano, che ti facevano capire la storia che si stava costruendo assieme. Erano compagni generosi che erano comunque e sempre pronti a dare solidarietà e aiutare concretamente chi era in difficoltà .
Quel compagno giovane stava aprendo gli occhi su una realtà che, forse, aveva solo immaginato. Rapportarsi, chiedere di capire "che fare" a chi la politica la faceva nelle strade del quartiere, nelle discussioni per convincere anche un solo cittadino della necessità di cambiare la società dalle radici per avere la speranza di un futuro migliore. La mente di quel compagno si stava sviluppando grazie alle parole semplici dei compagni più anziani, alla logica stringente di ragionamenti che partivano dalla realtà di ogni giorno.
Quell'insieme di compagne e compagni generosi era "il Partito", quello vero, quello che era diventato una grande organizzazione di massa e che avrebbe dovuto diventare l'intelligenza collettiva che poteva cambiare lo stato di cose presente.
Quel Partito oggi non c'è più, si è dissolto, tradito e distrutto da mediocri dirigenti che avevano più a cuore il proprio interesse personale rispetto a quello collettivo di chi quel Partito lo viveva ogni giorno.
Di quell'esperienza dobbiamo tenere conto oggi, nel bene e nel male. Non si può pensare di ricostruire un Partito Comunista degno di questo nome (anzi, il Partito Comunista Italiano) in maniera elitaria e "dirigenziale". Il Partito deve essere ricostruito con e dai militanti, con e dagli iscritti, con chi e da chi non ha potuto (né voluto) abiurare le proprie idee perché ha sempre pensato e crede ancora che si debba avere la prospettiva di una società di liberi e uguali dove qualsiasi forma di sfruttamento sia abolita. Il "nuovo" Partito Comunista Italiano deve essere l'insieme di chi lotta senza chiedere nulla in cambio. Non potrà mai essere il "partito dei dirigenti" spesso sedicenti tali e forse abituati ad essere seguiti da una esigua schiera di accoliti servizievoli. Questa sarebbe la maniera di costruire un partito di élite, di "capi" che non risponderebbero mai ai militanti ma pretenderebbero di essere da loro serviti. Sarebbe un partito nato agonizzante che non avrebbe neppure l'aspirazione di fare una politica nazionale di massa. Un partito di opinione e non un Partito di classe.
Allora decidiamo subito quale partito vogliamo costruire e diamo ancora speranza a quel giovane compagno che tanto tempo fa ha aperto gli occhi e che ancora oggi li vuole tenere ben aperti e guardare in faccia il proprio futuro.
Far leggere e far criticare (la critica nel senso della parola è "commento") è la missione democratica che VicenzaPiù vuole assolvere. Da sempre.
Grazie per aver letto e... criticato
Il direttore
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