Testamento laico
Mercoledi 30 Settembre 2009 alle 18:41 | 0 commenti
L'altro giorno il consiglio comunale di Vicenza ha votato una mozione per la creazione di un registro sul quale i cittadini possano lasciare le proprie disposizioni in materia di testamento biologico: una sorta di sportello in cui conservare, a futura memoria, le dichiarazioni su quali trattamenti si è disposti ad accettare in caso di malattia grave e quali, invece, si intende rifiutare.
A parte il fatto che la fattibilità dell'iniziativa è tutta da verificare, visto che la materia non è di competenza comunale e che una legge specifica ancora non c'è, quello che colpisce è un altro punto. Più di qualcuno, tra i consiglieri, si è detto contrario alla mozione in quanto cattolico. A cominciare dal sindaco Variati, che non era presente al dibattito in consiglio ma ha voluto comunque precisare la propria posizione. "Non esiste un diritto a morire perché la vita nessuno se l'è data e dunque nessuno ne è padrone", ha spiegato. "Il dono della vita è inviolabile e indisponibile", ha aggiunto subito dopo, esplicitando che lui avrebbe votato no alla mozione.
La posizione della Chiesa sull'argomento la conosciamo tutti. E dunque la posizione del cattolico Variati (e di altri, come il pidiellino Meridio), non è certo una sorpresa. Ma, da cattolico, io mi domando se si possa passare con tanta facilità dal piano delle convinzioni personali a quello delle iniziative politiche. Mi spiego: posso concordare con Variati sul fatto che la vita sia un dono inviolabile, ma non credo che questo possa essere imposto a qualcuno per legge. E non vedo contraddizione tra l'essere cattolici e il votare a favore di un provvedimento che lascia a ciascuno libertà di scelta su una delle materie più private e personali che ci possano essere. Così come non vedo contraddizione, tanto per fare un esempio, tra l'essere cattolici - e quindi essere "privatamente" contrari al divorzio - ed essere favorevoli all'esistenza di una legge che consenta il divorzio.
Non si tratta di slegare la politica dall'etica o dalla morale: anzi, ogni legge, anche la più banale, parte da un principio in qualche modo etico, cioè da una visione di cosa è giusto e cosa è sbagliato. Così come non si tratta di istituire una doppia morale, con delle regole che valgono in pubblico e delle altre che valgono in privato. Ma, nel momento in cui ci si ragiona su come amministrare la collettività , a tutti i livelli, bisognerebbe riconoscere che c'è un punto oltre il quale lo Stato non dovrebbe spingersi, una sfera che riguarda solo le convinzioni personali dell'individuo e in cui non ci dovrebbero essere intrusioni. Del resto, come ha ricordato Lorella Baccarin in consiglio comunale, non è stato proprio Papa Giovanni Paolo II a rifiutare l'accanimento terapeutico?
Luca Matteazzi
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