Tentata estorsione a Renzo Rosso, patron di Diesel: a processo Giacobbo, Borsato e Ambrosini
Giovedi 10 Marzo 2016 alle 09:13 | 0 commenti
La tentata estorsione e la diffamazione a mezzo stampa al patron della Diesel Renzo Rosso costano il processo a tre persone. Il giudice delle indagini preliminari di Vicenza Massimo Gerace ieri ha rinviato a giudizio, al prossimo settembre, i bassanesi Massimo Giacobbo e Sergio Borsato (già coinvolti nella querelle tra il sindaco di Verona Flavio Tosi e la trasmissione Report di Rai 3), per aver cercato di estorcere soldi al magnate dei jeans. E pure il giornalista vicentino (romano di nascita) Alessandro Ambrosini per aver pubblicato sul webmagazine «Notte Criminale» degli articoli considerati diffamatori sul conto dell’imprenditore dei trasporti Francesco Baggio («iscritto alla Loggia P2») e di Renzo Rosso.
Il quale attraverso il suo legale, l’avvocato Fabio Pinelli, si è già costituito parte civile, chiedendo un risarcimento per «gli ingenti danni patrimoniali e morali» non ancora però quantificati.
I fatti contestati sono del 2014. A far scattare l’inchiesta della procura berica furono le indagini del commissariato di polizia di Bassano del Grappa - a cui si era rivolto Rosso - e del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Vicenza. La vicenda ha origine da Giacobbo, 50enne di Marostica, che avrebbe avvicinato il braccio destro di mister Diesel per ottenere denari: avrebbe offerto il suo «silenzio» su improbabili «segreti» in cambio della costituzione di una società in Svizzera, in cui lui avrebbe dovuto figurare come socio. Giacobbo, per chi non lo ricordasse, è il faccendiere che assieme all’amico e cantautore leghista, autore di hit come «Padania guarda avanti», Sergio Borsato (l’altro a processo), registrò di nascosto il giornalista di Report Sigfrido Ranucci, facendogli credere di essere disposto a vendergli un video compromettente, a sfondo sessuale, con il sindaco di Verona Flavio Tosi. Un autentico trappolone.
Due anni fa, sempre in «società », i due bassanesi Giacobbo e Borsato se ne sarebbero inventata un’altra. Giacobbo tra marzo e aprile 2014 avrebbe ottenuto due incontri con uno stretto collaboratore del fondatore dell’impero dei jeans, Livio Zanin, braccio destro di Renzo Rosso. Sarebbe arrivato a minacciarlo, anche per via telefonica, gli avrebbe fatto credere che poteva rivelare notizie su alcuni affari e rapporti loschi che avrebbe realizzato e intrecciato Mr Diesel: in particolare operazioni finanziarie «illecite» - di cui avrebbe avuto anche dei documenti - e rapporti con personaggi poco raccomandabili, tra i quali esponenti della Mala del Brenta, come l’ex boss Felice Maniero. Circostanze, queste, che avrebbero potuto creare un danno all’immagine dell’azienda vicentina di Breganze e innescato un inevitabile processo mediatico.
In cambio del silenzio, il disoccupato bassanese, stando sempre all’accusa, avrebbe chiesto che fosse versata una somma di denaro finalizzata a costituire una società in Svizzera, di cui lui stesso sarebbe stato socio. Al contempo avrebbe messo in guardia il collaboratore: «Non provarci nemmeno a rivolgerti alla polizia - gli avrebbe intimato - ho conoscenze ai livelli alti delle forze dell’ordine locali». Ma le denunce sono scattate ugualmente e di lì a poco Giacobbo ha aperto la porta di casa alle Fiamme gialle e alla procura per una perquisizione. Stessa sorte, allora, per il suo amico, che stando alla ricostruzione pur non avendo mai avuto contatti con Zanin avrebbe comunque avuto un ruolo attivo nella vicenda. È Sergio Borsato, 54enne di Cartigliano, storico militante leghista e cantautore leghista. E pensare che all’epoca, dopo la visita degli uomini in divisa, Borsato ci aveva anche scherzato sopra: «I finanzieri mi hanno trovato in mutande, ironia della sorte firmate Diesel. Ma cosa pensavano di trovare?».
Ora dovrà affrontare il processo con l’amico. Entrambi sono assistiti dagli avvocati Antonio Mezzomo e Massimo Rizzato, intenzionati a far cadere il castello accusatorio. In aula, a settembre, ci sarà anche il giornalista Alessandro Ambrosini, che risponde di diffamazione aggravata, per gli articoli di giugno e settembre 2014 sugli imprenditori Rosso e Baggio. «È giornalismo d’inchiesta basato su dati oggettivi», sbotta il suo legale, Mezzomo. Ambrosini, di suo, commenta: «Con questo rinvio a giudizio si sconfessano gli ultimi 20 anni di giornalismo d’inchiesta. Poco male, vorrà dire che avrò un motivo in più per continuare le mie ricerche».
Di Benedetta Centin, dal Corriere del Veneto
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