Tangenti Eni, botta e risposta tra accusatore e accusato: Armanna vs vicentino Paolo Scaroni
Mercoledi 8 Ottobre 2014 alle 13:59 | 0 commenti
Di Carlo Bonini e Emilio Randacio*
L'affare nigeriano resta inchiodato a un numero. Macroscopico. 200 milioni di dollari di mediazione su un contratto dal valore complessivo di poco più di un miliardo e 300 milioni. Riconosciuta dal gruppo Eni tra 2010 e 2011, a un "signor nessuno" di nome Emeka Obi. Mediazione priva di un logico motivo. Perché di nessuna economicità . E sprovvista di una spiegazione persuasiva, quantomeno di mercato. Almeno per quello sin qui accertato in poco più di due mesi di indagine dalla Procura di Milano.
Si irrobustisce così l'ipotesi che il prezzo della licenza ottenuta per acquisire il giacimento petrolifero Opl245 , sia stato caricato da una maxi tangente. Come accredita Vincenzo Armanna, l'ex dirigente Eni indagato dalla Procura di Milano, di cui Repubblica ha pubblicato ieri il racconto. Un j'accuse che si fa ancora più affilato nel verbale di interrogatorio del 30 luglio, non fosse altro perché coinvolge altri uomini di Eni. «Della sorte del denaro pagato da Eni - spiega l'ex responsabile per il Medio Oriente ai pm - , ho parlato con Casula (Roberto, oggi capo dello sviluppo e delle operazioni del «cane a sei zampe», ndr) e con il direttore finanziario di Naoc (Nigerian Agip Oil Company ). Eravamo consapevoli che una buona parte sarebbe andata a beneficio degli sponsor politici dell'operazione».
«Sponsor politici», dunque. Quando Armanna pronuncia quelle parole, davanti all'ex manager dell'Eni, in quel giorno afoso di fine luglio, sono seduti tre magistrati della procura milanese: De Pasquale, Fusco e Spadaro. Non chiedono nulla di più all'indagato. E le domande restano in attesa di risposte. Su quali basi si fonda questa convinzione? Quali prove possono comprovare l'accusa?
Armanna è stato allontanato dal gruppo petrolifero nel maggio 2013 e, ora, sono indagati con lui per corruzione internazionale l'ex numero uno di Eni, Scaroni (Paolo Scaroni noto manager pubblico vicentino, ndr) e il suo successore De Scalzi. In un ennesimo scandalo che ha come proscenio la Nigeria. I magistrati milanesi, annotano a verbale quell'indicazione. «Sponsor politici». Apparentemente, senza fare una piega. Non ci sono nomi, riferimenti a partiti, o altre indicazioni. Eppure, sull' affaire nigeriano, l'ombra di una nuova tangentopoli sia fa sempre più spessa. Con un'indagine che marcia a fari spenti, e che, per quel che si intuisce, sta prendendo rapidamente forma, grazie soprattutto a una pignola ricostruzione dei flussi di denaro, al contributo di rogatorie internazionali.
L'Eni e i suoi vertici sono alla finestra. Provano a ragionare su quale direzione stia prendendo l'indagine. E affidano la loro reazione a un comunicato di poche righe: «Eni ribadisce l'estraneità dell'azienda da qualsiasi condotta illecita in relazione all'acquisizione del blocco Opl 2-45 in Nigeria. Prende atto delle dichiarazioni di Armanna a Repubblica che hanno evidenti profili diffamatori e che daranno seguito a tutte le azioni legali a tutela dell'immagine di Eni e dei suoi manager».
Scelta cui si associa anche l'ex numero uno Paolo Scaroni, che, affidandosi a un portavoce, bolla come «false» le dichiarazioni di Armanna e «ribadisce la sua totale estraneità a qualsiasi comportamento illecito a lui riferito». Salvo concedersi un affondo - anche questo condiviso con Eni: «Si sottolinea che Armanna fu licenziato per interessi personali e gravi violazioni del codice etico».
E proprio su quest'ultimo punto, Armanna, attraverso il suo legale, decide di non lasciar cadere un'accusa che, evidentemente, ne dovrebbe minare la complessiva credibilità , accreditando la sua ricostruzione della vicenda nigeriana con Repubblica e la Procura di Milano come una vendetta. «Le affermazioni dell'Eni e del portavoce di Paolo Scaroni sul licenziamento di Armanna e sulle ragioni che lo avrebbero motivato - dice Siggia, avvocato di Armanna - sono semplicemente destituite di qualsiasi fondamento. Armanna ha lasciato Eni con un accordo di uscita remunerata che si pone in contrasto con le gravi accuse che ora gli vengono mosse di violazione del codice etico aziendale. È il mio assistito che si riserva ogni azione legale a tutela della sua persona e della sua immagine professionale».
*La Repubblica
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