Scandalo Mose, i conti si fanno in casa: con la "vicentina" Lia Sartori sono in 11 alla sbarra, e il processo resta a Venezia
Sabato 21 Novembre 2015 alle 19:30 | 0 commenti
I panni sporchi si lavano in famiglia ed è proprio quello che ha deciso di fare il giudice veneziano Andrea Comez, respingendo ieri tutte eccezioni della difesa degli imputati che chiedevano di essere giudicati in sede diverse. Un processo iniziato il 22 ottobre e che vede alla sbarra 11 imputati, un processo che, caso raro, vuole arrivare con un fitto calendario di udienze ad una prima soluzione prima di Natale con l'ultimo appuntamento, fissato per il 19 dicembre prossimo.
L'esclusione, nell'udienza dello scorzo 4 novembre, delle associazioni e dei cittadini nel costituirsi quali parti civili è un chiaro segnale della linea seguita dall'accusa. Ammessi al processo sono stati infatti solo gli enti locali, ma distinti a seconda degli imputati, a parte la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ammessa per tutti. Significa che per la magistratura il focus è uno solo: un sistema clientelare che per anni ha corrotto i meccanismi dello Stato e che ha principalmente danneggiato la pubblica amministrazione. Le accuse di corruzione all'ex ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, il contestato atto di aver ricevuto finanziamenti illeciti per la campagna elettorale all'ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e all'ex parlamentare Lia Sartori, l'imputazione di corruzione per Vittorio Giuseppone, ex giudice della Corte dei conti; per l'architetto Danilo Turato, che restaurò - secondo l'accusa come contropartita dalla società Mantovani per gli appalti sul Mose - la villa dell'ex governatore Giancarlo Galan (che ha patteggiato 2 anni e 10 mesi di reclusione) e quelle agli altri imputati sono, secondo il giudice, faccende da regolare all'interno dello Stato, con tutti gli imputati "eccellenti", che avevano cercato di svincolare in qualche modo. Faccende che vanno concluse nel più breve tempo possibile, dato che l'ultima udienza è fissata prima di Natale.
Il giudice veneziano Andrea Comez, nella seduta dello scorso 19 novembre ha deciso che se c'è stata corruzione, questa deve essere verificata solo dove il fatto è successo, senza possibilità di interferenza esterne. Quindi a Venezia. E così il respingimento di tutte le eccezioni della difesa in qualche maniera rende più organico il campo giudiziario e focalizza il "sistema Galan" all'interno di un territorio ben preciso. I difensori del senatore Altero Matteoli - accusato di aver ricevuto tangenti per far ottenere opere di bonifica che avrebbero agevolato la società Socostramo - e dell'imprenditore romano Erasmo Cinque, avevano chiesto il trasferimento del processo a Roma; l'ex sindaco di Venezia, Orsoni, e l'ex europalamentare Amali Sartori, avevano avanzato la richiesta di trasferire le loro posizioni al giudice monocratico anziché collegiale. Per il giudice, invece, tutto è legato e tutto deve restare a Venezia. Nella città lagunare, infine, la Procura ha anche già avviato il procedimento per far rientrare nel processo Giovanna Maria Piva, ex presidente del Magistrato alle Acque, con il ruolo di controllore del consorzio Venezia Nuova, accusata anche lei di corruzione ma esclusa per un errore di notifica. E non è detto che, restando a Venezia, il processo non porti a galla altre sorprese e magari altri nomi.Â
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