San Giovanni Valdarno chiama, per Beltrame risponde Valente: chiuso anche Lussemburgo
Mercoledi 1 Febbraio 2012 alle 11:08 | 0 commenti
Il direttore del personale del gruppo spiega: nessun problema con le banche ma la produzione va concentrata in Val di Susa. Sono possibili soluzioni alternative in Toscana. Chiudiamo anche in Lussemburgo
Il futuro della Ferriera di San Giovanni Valdarno, in Toscana, si gioca a Torino. Precisamente in Val di Susa, a San Didero, dove la multinazionale vicentina "Afv Acciaierie Beltrame Spa" è proprietaria di uno stabilimento che occupa cica 380 persone. E' lì che, nei piani dell'azienda, sta trovando posto la produzione interrotta nella Ferriera di San Giovanni, in provincia di Arezzo.
Ed è lì che, lo scorso anno, è iniziata la scia lunga della crisi che ha travolto i dipendenti dello stabilimento toscano, adesso in cassa integrazione straordinaria per evento improvviso e imprevisto. A parlarne è il direttore del personale del gruppo Beltrame, Roberto Valente.
Direttore, avete annunciato la chiusura dello stabilimento di San Giovanni Valdarno. Quali sono i motivi alla base di questa decisione?
"Le cause riguardano il perdurare della crisi che ha prodotto effetti nella contrazione dei volumi di vendita e un peggioramento inatteso nella seconda parte dello scorso anno, che ci ha portato a razionalizzare la struttura per ridurre i debiti e diminuire le quantità di prodotto in magazzino. L'80 percento di quello che viene prodotto a San Giovanni Valdarno può essere realizzato anche nello stabilimento di San Didero, quindi abbiamo preferito puntare su quello stabilimento, per noi strategico, e sacrificare la realtà di San Giovanni Valdarno".
Durante gli incontri con gli enti locali, in Toscana, avete parlato di difficoltà con gli istituti di credito.
"Non è così, non abbiamo difficoltà con le banche. Semplicemente stiamo mettendo in atto una politica di riduzione delle quantità in magazzino per avere poco debito e, quindi, correre meno rischi".
Quando avete annunciato la decisione di chiudere la Ferriera di San Giovanni e quali sono le prospettive adesso?
"Lo scorso 27 ottobre abbiamo annunciato la volontà di chiudere quello stabilimento. In quelle settimane ci sono stati gli interventi di Comune, Provincia e Regione che ci hanno chiesto, all'unisono, di valutare altre soluzioni alla chiusura. Ci è sembrato giusto accogliere quelle richieste e istituire un comitato di crisi che, da qui a un anno, avrà il compito di trovare alternative alla chiusura della Ferriera".
Quali sono le strade percorribili?
"Una soluzione potrebbe essere quella di trovare prodotti che rappresentino nicchie di mercato e che siano producibili proprio nello stabilimento di San Giovanni Valdarno. In questo modo potremmo riaprire le porte dell'azienda, magari anche con un socio, e quindi continuare la produzione".
Altre soluzioni?
"Per il momento non ci sono altre ipotesi. E' chiaro, però, che se questa strada non si rivelasse percorribile e quindi non si trovassero prodotti alternativi, lo stabilimento andrebbe verso la chiusura, perché così abbiamo pattuito con le istituzioni locali".
Il comitato di crisi è già al lavoro? Chi ne fa parte?
"Il tavolo è composto da alcuni rappresentanti dell'azienda, tra cui io stesso. Non ci siamo ancora riuniti, lo faremo entro la fine di febbraio. Ma si tratta di sondare realtà produttive che non fanno parte del core business dell'azienda, e per questo abbiamo accolto la disponibilità della Regione Toscana che ci ha messo a disposizione delle risorse economiche per analisi e indagini di mercato".
Di quanti fondi stiamo parlando?
"Ancora non lo sappiamo".
Nel giugno dello scorso anno, quattro mesi prima di annunciare la chiusura dello stabilimento di San Giovanni, avete presentato un piano industriale che prevedeva investimenti nella formazione del personale della Ferriera. Come mai?
"Quel piano prevedeva la formazione del personale che, però, era fondato sulla prospettiva di un cambiamento nella produzione a San Giovanni. In pratica, la produzione di alcuni materiali si sarebbe trasferita a San Didero, dove pensavamo di aumentare i volumi e, di conseguenza, mantenere o diversificare la produzione di San Giovanni Valdarno. Ma a ottobre, al ripristino dell'attività , c'è stato un calo delle vendite anche per lo stabilimento torinese, e quindi abbiamo dovuto cambiare le prospettive di tutto il piano industriale: abbiamo puntato alla saturazione della produzione a San Didero e annunciato, dunque, la chiusura della Ferriera di San Giovanni".
Ci sono altri stabilimenti a rischio di chiusura?
"Sì, ma non in Italia. Si tratta di due stabilimenti all'estero, in Belgio e Lussemburgo. Anche lì siamo fermi con la produzione, e in Belgio prevediamo la chiusura definitiva. Perché il vero problema è il calo della domanda a livello generale".
Quanti sono gli operai che lavorano a San Giovanni Valdarno e quali le loro prospettive?
"Ci sono in tutto 79 persone assunte, di cui 11 fanno parte di una cooperativa. Per i 68 operai alle nostre dipendenze dirette, sarà difficile fare prepensionamenti, perché sono tutti giovani e hanno pure una buona professionalità . La speranza è di ripartire con la produzione e poterli quindi occupare, ma in caso di chiusura definitiva cercheremo di limitare il disagio sociale e aiuteremo quelle persone a ricollocarsi nel mondo del lavoro".
Da VicenzaPiù n. 227
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