Salvataggio BPVi e Veneto Banca, sì o no? Stefano Righi: martedì cda di Intesa e Banca Popolare di Vicenza. L'ipotesi risoluzione
Domenica 11 Giugno 2017 alle 11:05 | 0 commenti
Vi proponiamo l'analisi odierna di Stefano Righi su Il Corriere della Sera delle vie sempre più strette per il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Righi nelle premesse concorda nella sostanza con la nostra valutazione, mentre nelle conclusioni, accennando ai costi di sistema in caso di risoluzione, sembra propendere, pragmaticamente per un salvataggio, per il quale noi, però, da Vicenza, non vediamo prospettive migliori di un intervento diretto e non dispersivo sulle tre figure di possibili danneggiati: i dipendenti, i soci e i clieti affidati. Ecco comunque l'interessante articolo del collega per fare i dovuti ragionamenti.
Il salvataggio di Popolare di Vicenza e Veneto Banca è sempre più nella mani di Intesa Sanpaolo e Unicredit. Sono le big del sistema creditizio nazionale a farsi carico, in queste ore, della ricerca degli 1,25 miliardi di euro da versare - prima del contributo pubblico - per evitare il fallimento delle due ex popolari.
A loro si è rivolto il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e ora, anche se il sabato è passato senza annunci, la partita è giocata dagli «sherpa» di Carlo Messina e Jean Pierre Mustier. Il resto del sistema, infatti, non sembra volere o potere intervenire.
Monte dei Paschi e Carige sono alle prese con le rispettive esigenze di patrimonio (5,5 miliardi per Siena, 700 milioni per Genova), mentre Ubi aprirà domattina un aumento di capitale da 400 milioni resosi necessario per mantenere inalterati i parametri di solidità dopo l'acquisizione di Popolare Etruria, Banca Marche e CariChieti. Resta, tra le grandi, BancoBpm, alle prese con una complessa integrazione. Solo Banca Mediolanum ha, finora, aperto a un possibile contributo.
Allo stesso tempo a Nordest urlano di fare presto, la situazione è ogni giorno più fragile e complessa: il presidente della Vicenza, Gianni Mion, si aspetta «risposte precise e rapide» entro la riunione del consiglio di amministrazione convocata per dopodomani. Ma è difficile che, per allora, si possano avere soluzioni concrete e definitive: anche perché Intesa e Unicredit - che sono già stati i primi contribuenti del Fondo Atlante - chiedono di conoscere i dettagli dell'intervento che la Dg Comp dell'Unione Europea, guidata da Margrethe Vestager, non ha mai messo nero su bianco. Il timore che filtra dalle sedi delle due maggiori banche italiane è che in un secondo momento possa aumentare l'onere a carico dei «soccorritori», o direttamente in forma di contributo cash, o attraverso richieste più tecniche, come il farsi carico di un più elevato livello di coperture o di accantonamenti. Un'ipotesi legittima, che frena l'intervento risolutore. Sono le medesime perplessità manifestate da Alessandro Penati di Quaestio sgr, che controlla il Fondo Atlante, nel momento in cui decise, da primo azionista delle due banche, di non sottoscrivere ulteriori versamenti in conto capitale. Se nulla arrivasse entro martedì, c'è chi prospetta l'intervento dell'Srb, il Comitato di risoluzione unico dell'Unione bancaria europea. Per oggi nessuna riunione ufficiale è convocata. La partita dovrebbe riaprirsi domani, a meno di improvvise accelerazioni. Martedì si riunirà il consiglio di Intesa, ma per una riunione di routine e che non ha all'ordine del giorno l'intervento nelle due ex popolari. Contemporaneamente si riunirà il board della Vicenza, mentre il cda della Veneto è stato convocato mercoledì. Su un punto finora vi è concordanza: al sistema creditizio italiano il salvataggio oggi costa 1,25 miliardi. Farsi carico, come previsto, degli oneri legati al fallimento dei due istituti costerebbe alle banche italiane almeno dieci volte tanto.
di Stefano Righi, da Il Corriere della Sera
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