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Primo congresso regionale Usb Veneto: il sindacalismo di base e alternativo c'è

Di Redazione VicenzaPiù Domenica 2 Giugno 2013 alle 21:22 | 0 commenti

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Luc Thibault, Delegato Rsu/Usb Greta Alto Vicentino  -  Il nostro primo Congresso Regionale nel Veneto viene praticamente nello stesso momento in cui  Cgil, Cisl e Uil firmavano l'accordo sulla produttività e firmavano l'accordo sulla Rappresentanza (vedi allegati sotto). USB c'è, esiste e si è fortemente rafforzata. Questo risultato, quando è iniziata 3 anni fa la costruzione della nuova confederazione sindacale, non era affatto scontato. 

Molte erano le forze che remavano contro la prospettiva che si affermasse in Italia un soggetto sindacale nuovo, aperto, conflittuale e di classe. Le resistenze alla nostra crescita non erano solo di parte padronale e non provenivano solo dagli apparati sindacali tradizionali.
Anche nel variegato mondo del sindacalismo di base e alternativo, nonostante si sia cercato di coinvolgerlo tutto nel percorso di costruzione di USB, si è in più occasioni, e da più parti, lavorato affinché la spinta, che pure esisteva, a tessere una relazione con la nascente nuova confederalità, non trovasse spazi e aperture. Insomma abbiamo lavorato dentro diffidenze, paure, antagonismi di bandiera, personalismi di organizzazione. Eppure oggi USB è una realtà. Non solo è una realtà, ma è divenuto un punto ineludibile del confronto per tutti quanti oggi vogliono produrre e organizzare conflitto.
Ci siamo collocati al centro dell'antagonismo di classe. Ciò è avvenuto in parte per merito nostro e in parte perché, purtroppo, nel nostro paese non esistono strutture sociali, sindacali e politiche adeguate a proporsi come centro aggregatore sul piano sociale e sindacale. Questa nostra capacità di essere diventati un punto di riferimento per molti soggetti, singoli e strutture, ci ha via via imposto un piano di azione e di relazioni che hanno sedimentato nuovi ambiti di lavoro e spazi di confronto che si sono rivelati estremamente utili per la crescita della nostra funzione. Ovviamente tutto ciò non è sufficiente ad immaginare che si è già costruito e definito il sindacato che serve. Non abbiamo alcuna necessità di incensamenti autoreferenziali, abbiamo invece la necessità di capire se quanto abbiamo costruito finora ha avuto o meno un buon esito, se e come bisogna modificare, per migliorarle, le nostre modalità di lavoro e di intervento, se la struttura organizzativa che ci siamo dati risponde alle esigenze che ci pone la fase. Ciò che ci ha sempre contraddistinto è stata la caparbietà di fare sempre i conti con la realtà concreta in cui siamo immersi, per costruire collettivamente gli strumenti adeguati ad affrontarla. Il nostro I° Congresso Regionale deve servire quindi non solo a darci coscienza compiuta del nostro essere, a tre anni dalla fondazione del nostro sindacato, ma a fornirci gli strumenti politici e organizzativi per far crescere un'ipotesi sindacale di classe, coinvolgente, dentro una condizione politica e sociale particolarmente difficile. Celebriamo questo nostro congresso dentro una delle crisi più difficili e durature che le nostre generazioni possano ricordare. Abbiamo considerato, già dall'inizio, questa crisi sistemica e non congiunturale. Una crisi che viene da molto lontano e che si è via via mostrata attraverso vari volti, economica, finanziaria, speculativa, di nuovo economica e che si concretizza in crisi sociale, profonda e cattiva e di cui nessuno è in grado di prevedere la fine. C'è una intera generazione in balia degli interessi del mercato che gioca con il loro presente e allontana sempre di più la speranza nel futuro. Intanto il sistema bancario interno ed internazionale riprende fiato grazie agli enormi trasferimenti di danaro che i singoli stati e la Banca Centrale Europea hanno fatto loro, in Italia il 10% della popolazione possiede oltre il 50% della ricchezza e il potere di acquisto dei salari è crollato in un solo anno del 4,5%. A ben vedere la crisi ha prodotto un trasferimento di ricchezza dal fattore lavoro al fattore capitale come non si vedeva da decenni. Il punto più alto della crisi ha trovato la classe completamente scompaginata. Vent'anni di concertazione e di dialogo sociale hanno talmente piegato il movimento dei lavoratori italiano da renderlo incapace a dare risposte anche minimamente adeguate all'attacco portato dal capitale.
Le politiche delle confederazioni concertative, di condivisione e accompagnamento delle scelte di riorganizzazione produttiva operate dai governi per conto degli interessi del capitale finanziario, speculativo ed imprenditoriale non solo hanno disarmato la classe dai propri strumenti di resistenza, ma hanno prodotto una vera e propria involuzione della coscienza, che la classe aveva storicamente mantenuto, della propria funzione e forza e che era stata lo strumento attraverso cui aveva condotto le lotte e vinto le battaglie del ‘900.
Portatori di questa devastante cultura tra il mondo del lavoro sono state in particolare CISL e UIL che hanno fatto proprio l'appello dell'ex ministro Sacconi a divenire "complici" delle scelte del mercato. Anche la CGILe la FIOM pur se con atteggiamenti ondivaghi, hanno condiviso comunque lo stesso percorso di subalternità al mercato rendendo esplicita la propria crisi di funzione. Il suo apparato burocratico formato da migliaia e migliaia di quadri e funzionari è ormai da tempo impegnato più a garantire la propria sopravvivenza, e a tornare ad essere considerato un interlocutore affidabile, che a sviluppare politiche di reale tutela degli interessi di classe.
Oggi il sindacato ex concertativo - ex perché la concertazione è ormai ritenuta insufficiente e non perché sia stata sconfitta dal movimento conflittuale - si configura come un vero e proprio ammortizzatore delle contraddizioni che la crisi ingigantisce.
Il nostro giudizio politico sulla Cgil lo abbiamo espresso da tempo e non riteniamo utile tornarci sopra, se non per affermare, senza alcuna remora, che ci troviamo di fronte ad una organizzazione che ha definitivamente mutato il proprio codice genetico e che sta cercando di farlo mutare anche ai suoi rappresentati.
La mancanza pressoché totale di reazione alla crisi, ai provvedimenti del governo, al blocco della contrattazione collettiva sono li a testimoniarlo. Le cronache internazionali ci parlano ogni giorno di forti e duri conflitti generali di contrasto alla crisi e alle scelte dei governi, di milioni di persone in lotta per difendere il proprio presente e procurarsi un futuro. In Italia questo non è successo perché nessuno aveva la sufficiente credibilità per innescare processi analoghi. O il sindacalismo di base si trasforma, assumendosi la responsabilità di indicare, attraverso il conflitto, la strada della riorganizzazione della classe intorno ai suoi interessi o si deciderà tutti di darci una dimensione più ampia, generale, aperta ed inclusiva anche di quel pezzo di società che non incontra più il sindacato nei luoghi di lavoro, anche semplicemente perché quel luogo per lui non esiste, oppure la conclusione di un ciclo pure entusiasmante sarà inevitabile.

Una condizione sindacale simile è senz'altro anche figlia della difficoltà dei lavoratori e delle lavoratrici - e spesso anche dei nostri quadri sindacali - ad avere un punto di vista di classe su quanto gli avviene attorno. Da alcuni mesi è ripreso quel percorso di formazione politico/sindacale che prima della nascita di USB aveva interessato in particolare un pezzo dell'organizzazione e che aveva consentito una crescita apprezzabile della qualità del nostro quadro militante.
Questo dimostra che è possibile e praticabile, a partire dall'USB, provare ad invertire la tendenza in atto alla "de-ideologizzazione" e all'assorbimento acritico delle posizioni dell'avversario. Rafforzare ed estendere i percorsi politico/formativi e renderli permanenti, costruire l'altra gamba della formazione, cioè la strumentazione sindacale indispensabile ad ogni operatore sindacale, sono priorità che devono essere fatte proprie da tutto il quadro dirigente e da tutte le strutture, sia categoriali che territoriali.

La questione della nostra capacità organizzativa è anche strettamente legata al quadro che stiamo vivendo e che sembra destinato a peggiorare. L'avversario di classe non fa sconti e si sta organizzando per non fare prigionieri. La vicenda Fiat/Fiom/sindacati di base ne è una dimostrazione plastica. Secondo Marchionne chi non mantiene un atteggiamento comprensivo delle esigenze del capitale e quindi non si acconcia ad essere complice delle scelte strategiche dei padroni è fuori da ogni possibilità di rappresentare i lavoratori e le lavoratrici nelle istanze di confronto pure previste dalla legge. Se perfino la Fiom, che rivoluzionaria non è mai stata, viene cacciata dalle fabbriche Fiat, i suoi aderenti messi in cassa integrazione o nelle liste di mobilità o vengono licenziati, vuol dire proprio che è cambiata definitivamente l'aria e che, a meno di un forte capovolgimento, chiunque governi, difficilmente si faranno sostanziali passi indietro.
La dottrina Marchionne fa proseliti, l'accordo sulla produttività è esigibile e già in alcuni contratti rinnovati sono state introdotte le norme previste in quell'accordo. Non c'è all'orizzonte solo la cacciata dalle fabbriche e dagli uffici dei sindacati non consenzienti. C'è l'idea di destrutturare complessivamente le relazioni industriali, di rendere inutilizzabile lo strumento sindacale e quindi di lasciare ogni lavoratore da solo alle prese con la propria storia lavorativa. La contrattazione è ormai azzerata nei fatti. Come ben sappiamo il sindacato è forte e contratta quando c'è di che contrattare e conquistare, ed è invece quanto mai debole in fase di crisi produttiva o economica se non si attaccano in profondità le cause strutturali della crisi stessa.
E' evidente che la nostra scommessa riesce se ci mettiamo in gioco davvero e se su questo piano di lavoro oltre a dedicare nostre energie e forze, siamo capaci di avviare relazioni e confronti con quanto sui nostri territori si muove nella stessa direzione.
Il nostro I congresso mette davvero in discussione, in termini di classe, l'architettura del Paese e del lavoro, necessita ovviamente di grande forza, convinzione, condivisione. I nostri iscritti, le lavoratrici e i lavoratori con cui siamo o entriamo in relazione sui più diversi fronti del conflitto, dalle fabbriche agli uffici, al territorio già praticano ed hanno fatto proprio in concreto questo programma di lotta e di crescita di un'opzione avanzata di sindacato di classe.
A noi tocca svilupparlo, praticarlo, renderlo credibile, condividerlo con quanti, sul terreno del lavoro e dell'intervento sociale hanno i nostri stessi obbiettivi generali di programma e li praticano attraverso il conflitto.
Proprio per questo rilanciamo con forza e convinzione l'invito a tutti coloro che hanno condiviso con noi obiettivi e pratiche sindacali a costruire momenti comuni di riflessione e di dibattito al fine di arrivare ad una vera unità di azione. Stesso invito rivolgiamo a tutti coloro che oggi con noi lavorano a livello sociale e sindacale, pur militando in diverse organizzazioni.
L'idea di un sindacato generale, indipendente, conflittuale, democratico, aperto ai soggetti della nuova composizione/scomposizione di classe è l'idea che ci ha indotto a costruire l'USB. Questa deve essere la strada che continuiamo a percorrere, con pazienza e con umiltà ma anche con la consapevolezza del ruolo che possiamo svolgere e che ci compete. Non conosciamo con esattezza gli sviluppi della situazione complessiva, a livello nazionale, europeo ed internazionale in cui ci troveremo ad agire sin dai prossimi mesi.
Ciò che già sappiamo è che ci sarà sempre più bisogno di conflitto organizzato per battere i progetti di riorganizzazione e di sfruttamento messi in campo dal capitale, per ridare fiducia e forza al movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, per riconquistare diritti e pretenderne di nuovi.

Luc Thibault
Delegato RSU/USB
GretaAlto Vicentino

 


ALLEGATI

1) Accordo produttività: un massacro per diritti e lavoratori. Cisl, Uil, Ugl, governo e associazioni padronali hanno stipulato un'intesa che riguarda tutto il mondo del lavoro dipendente, chiamandola "accordo produttività". Un'autentica VERGOGNA, in quanto prevede: regole antisciopero (in aperta violazione dell'art. 40 della Costituzione), con tanto di sanzioni per il sindacato che non le rispetta; utilizzo di tecnologie con cui controllare a distanza i lavoratori in produzione (violando l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, che vieta questo controllo). Questi due punti sono funzionali a rafforzare nei luoghi di lavoro un sistema sbirresco, che faccia sentire i lavoratori spiati e al tempo stesso inermi e impotenti a contrapporsi a un regime lavorativo sempre più oppressivo, perché basato sullo sfruttamento sfrenato del loro corpo e della loro mente, sia come taglio dei tempi e intensificazione dei ritmi, che come aumento dei carichi di lavoro e della fatica, che come organizzazione degli orari e dei turni. AUMENTO DELLA SCHIAVITÙ PERCHÉ IL LAVORO SIA PIÙ PRODUTTIVO. In questo senso, si può ben dire che l' "accordo produttività" ridisegna totalmente i luoghi di lavoro per trasformarli sul modello della fabbrica tanto cara al guappo della Fiat, il Marchionne che sta imponendo ai lavoratori di Pomigliano un regime da galera. Fissato questo principio fondamentale per la barbarie lavorativa del 21° secolo, si passa alle questioni relative alla contrattazione, quella nazionale e quella aziendale, con la prima sempre più in via di svuotamento, per riempire sempre più la seconda, lasciando tra l'altro col culo per terra il 75% dei lavoratori che dipendono da aziende dove di accordi interni non c'è né mai ci sarà neppure l'ombra. Dell'accordo, oltre i due punti visti prima, sono spietatamente significativi quelli relativi: 1) al salario. L'inflazione programmata (che già era una fregatura), come criterio di calcolo del recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni, era stata abbandonata nel 2009 per essere sostituita dal parametro cosiddetto IPCA, con la conseguenza di aumenti di paga di pura miseria. Adesso vogliono fare di peggio: l'aumento salariale pattuito nel rinnovo dei contratti nazionali sarà diviso in due parti, delle quali solo la prima entrerà automaticamente in busta paga, mentre la seconda vi entrerà soltanto in rapporto al raggiungimento dei livelli produttivi programmati dalle direzioni aziendali o di loro quote percentuali; 2) all'orario di lavoro. Non esisterà più nessuna certezza né sui turni, nei sui giorni lavorativi settimana per settimana, né sulla quantità di ore da lavorare settimanalmente. Contratto nazionale e leggi, da questo punto di vista, non avranno più voce in capitolo, perché aziendalmente potrà essere deciso di lavorare 4, o 5, o 6 giorni per settimana; di effettuare una settimana 40 ore, un'altra 48, un'altra ancora 32; una settimana 3 turni giornalieri, un'altra 2, un'altra ancora 1; di obbligare al lavoro straordinario senza limiti e senza trattativa sindacale; 3) alle qualifiche. In caso di crisi o di modificazione dei programmi produttivi la direzione potrà imporre di lavorare con una qualifica e una mansione più bassa di quella ricoperta fino a quel momento. Entreranno in vigore il dimensionamento e la dequalificazione più feroci, in violazione dei contratti nazionali, dell'art. 13 dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 2103 del codice civile. Se poi si è lavoratrici o lavoratori anziani, allora potrà accadere anche di peggio: vedersi dimensionare, dequalificare, togliere il tempo pieno, assegnare il part-time! Una bella prospettiva, non c'è che dire, anzi, una dittatura! Contro la quale la Cgil (che durante la trattativa pareva disponibile a sottoscrivere l'accordo e all'ultimo momento deve avere avuto un ripensamento, decidendo di non firmarlo) non pare sia intenzionata a mobilitare i lavoratori. Non sarà il caso che i lavoratori si mobilitino dal basso, insieme ai sindacati di base?
UNIONE SINDACALE DI BASE

 

2) L'ACCORDO DELLA VERGOGNA!
VIA DAI SINDACATI CONFEDERALI!

Il Patto sulla Rappresentanza nei luoghi di lavoro sottoscritto venerdì sera tra Confindustria e CGIL CISL e UIL non si discosta dalle anticipazioni già circolate e che molto allarme avevano già giustamente sollevato nelle settimane scorse. La definizione di "governissimo sindacale", utilizzata da molti per definire questo Patto che va ben oltre la definizione di criteri di verifica della rappresentanza sindacale, è assolutamente adatta a definire la volontà delle parti sottoscrittrici di escludere qualsiasi altro soggetto dalla rappresentanza del mondo del lavoro e di costituire un blocco di potere da proteggere da ogni eventuale incursione del conflitto, mettendo assieme in una innaturale alleanza padroni/lavoratori in un "Patto tra i produttori" utile solo a garantire pace sociale di fronte ai sempre più avanzati processi di riorganizzazione produttiva.
Sul piano pratico si stabilisce che possano partecipare alla contrattazione nazionale di categoria solo quelle organizzazioni, aderenti alle confederazioni firmatarie dell'accordo - che diventa pertanto il primo ostacolo da superare: o sottoscrivi o neanche partecipi - che abbiano almeno il 5% degli iscritti e il 5% dei voti alle RSU.
Sembrerebbe la fotocopia della normativa già esistente nel pubblico impiego ma non è così. Infatti nel settore privato non a tutte le organizzazioni sindacali è consentito ottenere dalle aziende il diritto alle ritenute sindacali in busta paga, essendo questo privilegio riservato, dopo i disastrosi Referendum del 1995, alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di CCNL applicati in azienda. Quindi ad esempio USB è fuori dalla possibilità di far pesare le adesioni alla propria organizzazione sindacale in quanto ai nostri iscritti non vengono operate le ritenute sindacali in busta paga ma siamo costretti ad operare il tesseramento attraverso strumenti non riconosciuti dall'accordo. In tal caso la USB per dimostrare di avere il 5% medio tra iscritti e voti dovrebbe ottenere il 10% dei voti perché impossibilitata a far valere i propri iscritti che non possono essere certificati dalle aziende all'INPS, ente che sembrerebbe deputato alla raccolta dei dati, in quanto non operate dalle stesse e comunque non rientranti nella categorie "ritenute sindacali" che è la dizione precisa utilizzata nell'accordo.
Il tratto centrale dell'accordo riguarda però "l'esigibilità degli accordi". I sottoscrittori hanno individuato una formula che impedisce a chiunque di mettere in discussione gli accordi sottoscritti dal 50% +1 delle organizzazioni ammesse alle trattative e validate dal 50%+1 dei lavoratori interessati. Quale sarà lo strumento attraverso cui si farà la verifica del gradimento dell'accordo è demandato alle categorie (sic!). Le sanzioni e le clausole che riguarderanno questo punto (per semplificare, le punizioni per chi oserà contestare l'accordo) saranno anch'esse stabilite sul piano delle categorie, probabilmente commisurate al tasso di conflitto che ogni categoria esprime, più pesanti ad esempio nei trasporti e meno nei tessili e così via. Ogni organizzazione firmataria del Patto dovrà garantire il pieno rispetto di tutti i suoi contenuti e quindi qualunque organizzazione sindacale abbia intenzione di partecipare alle RSU, e per farlo dovrà sottoscrivere l'accordo, acconsentirà automaticamente all'auto limitazione della propria autonomia di giudizio sull'accordo raggiunto e quindi ad intraprendere eventuali iniziative di lotta per contrastarlo, pena l'applicazione delle sanzioni stabilite dalle categorie (ovviamente di CGIL CISL e UIL).
È altamente probabile che questo continuo rimando alle categorie sia il tributo che la CGIL ha dovuto pagare per avere il placet anche della FIOM che condividendo alla fine questo orrendo accordo, si garantisce il rientro in pompa magna tra gli attori sindacali "graditi" ai padroni e volta pagina rispetto al tanto sbandierato conflitto, molto spesso evocato, quasi sempre affidato alla magistratura.
È evidente che questo accordo cerca di evitare che sia una legge a stabilire regole certe per tutti, non scritte "pro domo sua" da chi ha tutto l'interesse a garantirsi ancora e per sempre il monopolio della rappresentanza sindacale, per definire un quadro che rispetti la Costituzione italiana e le sue previsioni in tema di libertà sindacale.

La cosa più grave è che questo accordo prescinde totalmente dal concetto delle garanzie e delle libertà democratiche per le lavoratrici e i lavoratori nei luoghi di lavoro e ancora una volta affronta il problema delle regole della rappresentanza unicamente dal punto di vista delle organizzazioni. Lo tsunami che ha travolto la politica evidentemente non è stato sufficiente a far capire a Camusso, Angeletti, Bonanni, Landini e Squinzi che non è più tollerabile la privatizzazione della democrazia e della rappresentanza, sia essa politica o sindacale. 
Toccherà alle lavoratrici e ai lavoratori ricordarglielo dando vita anche nella sfera del mondo del lavoro ad una vera e propria rivolta. Oggi o mai più!

Via dai sindacati confederali!
La loro "unità sindacale" è contro i lavoratori!
La loro "democrazia sindacale" è per Confindustria!

I lavoratori devono scegliere chi vogliono, questa è la vera democrazia sindacale!


Unione Sindacale di Base

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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