Referendum per l'autonomia del Veneto, Langella: "il Pd tra sì e sì ma anche no... a Zaia, il PCI per il no a consultazione inutile"
Domenica 30 Luglio 2017 alle 08:46 | 0 commenti
Come si sa il PD lombardo ha deciso di votare SI (e quindi di appoggiare) il refendum promosso da Maroni sull'autonomia. In Veneto la situazione non è dissimile. Infatti anche il PD veneto sta discutendo di ciò dopo che sono emersi dubbi dei democratici sulla questione. "La linea del Pd - si legegva sul CorVeneto - è simile a quella tenuta dai sindaci lombardi capitanati dal bergamasco Giorgio Gori che saranno alle prese con un medesimo referendum proposto da Roberto Maroni: il referendum è inutile e i 14 milioni di spesa previsti si potevano usare in altro modo. Tuttavia i dem vogliono evitare che la Lega e il centrodestra ne facciano un'operazione di pura propaganda". E sul Gazzettino si può leggere "«Va bene, Roberto Maroni. Siamo tutti per sì. E adesso che fai? Vuoi dirci quali competenze vuoi che lo Stato ti trasferisca?».
Debora Serracchiani, alla Festa dell'Unità di Milano, sintetizzava così la sofferta linea del Pd sui due referendum per l'autonomia che in ottobre chiameranno alle urne gli elettori di Veneto e Lombardia. Beh, su quel «Siamo tutti per il sì» il povero Alessandro Bisato, segretario veneto del Pd, dopo aver riunito a Padova l'assemblea del partito, potrebbe raccontarne delle belle, alla Serracchiani. Perché alla fine anche il Pd voterà sì, naturalmente, al referendum per l'autonomia: un partito che non voglia sprangar bottega, in Veneto e pure in Lombardia, non può certo dire ai propri elettori di stare a casa o peggio di votare no all'autonomia regionale, dopo che Renzi ha tentato di farla fuori con la riforma costituzionale trionfalmente seppellita dagli elettori il 4 Dicembre. Ma all'assemblea di Padova, sia pure a porte chiuse, sono risuonate parole grosse contro il «referendum farsa», da parte di esponenti di primissimo piano del partito, come Pier Paolo Baretta. L'imbarazzo del Pd è evidente: da una parte le tesi di Alessandro Naccarato, di Graziano Azzalin, che denunciano «l'uso strumentale» del referendum, e sono pronti a comprendere se non a sostenere chi aderisse ai comitati per l'astensione o per il no, le cui ragioni Giovanni Tonella definisce «fondatissime», chiarendo però che questo non significa certo essere contro «il potenziamento responsabile delle istituzioni regionali». Dall'altra l'adesione piena di esponenti come Simonetta Rubinato, federalisti da sempre senza se e senza ma...".
La cosa imbarazzante è che questo referendum non produrrà nulla di concreto. È solo un grande spot pubblicitario per la Lega. Ed è, anche, uno spreco di denaro pubblico (di noi tutti) che servirà a dire che il presidente della giunta regionale vada a trattare con il governo centrale argomenti che dovrebbe avere già discusso durante iquesti anni e che, in tutta evidenza non ha fatto. Non si vota per l'autonomia ma per consolidare il (presunto) potere politico dei personaggi, leghisti, che hanno promosso il referendum.
Per questo, nel referendum consultivo, non c'è nulla di "democratico". Si vuole sostanzialmente un "plebiscito" a favore del capo.
È bene ribadirlo. Quello del 22 ottobre è un referendum inutile e costoso che nulla dovrebbe avere a che fare con la vera politica. Ma il PD ormai è questo: si adegua alla (presunta) maggioranza, alimenta il qualunquismo leghista, si schiera con l'avversario (anzi appoggia la sua manovra sfacciatamente propagandistica) dicendo che lo fa per non restare ai margini ed essere emarginato. Non ha idee, non propone nulla. Segue l'onda per mantenere qualche fetta di potere e una qualche visibilità di facciata. Si schiera dall'altra parte della barricata (quella dove ci si dividono i soldi e le poltrone che il vero potere lascia ai politicanti loro vassalli).
La nostra posizione sul referendum deve essere chiara. I comunisti non partecipano alla farsa. Non vogliono che si spendano soldi pubblici (e sono tanti soldi) per la gloria di qualche policante impomatato o con i baffetti.
Che i presidenti delle regioni facciano il loro mestiere (quello per il quale sono pagati da tutti noi) e vadano a confrontarsi con il governo centrale. Che discutano di spese e ricavi regionali. Di quali siano le priorità per le quali è necessario investire (lavoro, sanità , istruzione, trasporti, casa ...).
Che facciano Politica, insomma. Questo lo dovremo spiegare agli elettori e sarà difficile, molto difficile. Ma vale, forse, la pena adeguarsi alla (presunta) maggioranza, indistintamente, così, tanto per apparire uguali agli altri restando in attesa delle mosse degli avversari? Credo proprio di no.
Giorgio Langella, segretario PCI del Veneto
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