Questione del lavoro, conclusioni: è tempo di "profitto collettivo" per il diritto al futuro
Lunedi 18 Settembre 2017 alle 14:14 | 0 commenti
Il "martellamento" costante e continuato del pensiero unico, che ognuno di noi subisce, porta a quell'idea dominante che ci convince che, per essere "realizzati" bisogna guadagnare sempre di più a scapito di qualunque altra cosa. La priorità , anzi, l'unica priorità è la ricchezza personale e privata, un egoismo diffuso di fronte alla quale qualsiasi solidarietà sparisce. Ci siamo convinti, noi ma non i 90 dipendenti dela Lovato ad esempio, che la delocalizzazione (specialmente quando colpisce "gli altri") sia qualcosa di inevitabile. Siamo ormai sicuri che, per competere, bisogna abbattere i costi di produzione. Il che significa sostanzialmente contenere le retribuzioni e quei costi "accessori", come quelli relativi alla sicurezza nei luoghi di lavoro, spesso considerati esagerati o inutili.
No, signori, non può e non deve essere così. Possiamo e dobbiamo ribaltare il concetto di "guadagno", dargli una dimensione collettiva. Quello che si deve contenere è il profitto individuale, personale. L'unico profitto degno di priorità è quello collettivo. Quello che fa crescere non una persona ma un popolo. E questo profitto collettivo (che è strettamente legato al concetto considerato oggi "antico" di coscienza di classe, anzi ne è il risultato) si coniuga innanzitutto con la convinzione che la vita e il futuro di ognuno valgano infinitamente di più del profitto di qualche capitalista.
Le Istituzioni, a partire dallo Stato, dovrebbero intervenire direttamente in queste vicende (sicurezza nel lavoro e occupazione) applicando la Costituzione. Invece di elargire denaro pubblico a imprese private in cambio della benevolenza padronale, si vincolino le aree dismesse, si pretenda la restituzione dei finanziamenti dati alle ditte che delocalizzano, si esproprino le aziende che vengono chiuse. Invece di chiudere gli occhi di fronte a condizioni di lavoro disastrose si colpisca con la dovuta severità chi risparmia sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla salute di chi lavora. Si dia priorità massima ai diritti e ai bisogni di chi vive del proprio lavoro e non ai privilegi e alla ricchezza di chi sfrutta il lavoro altrui. Si dirà che questo va contro le leggi del mercato. Certo, ne siamo perfettamente consapevoli. Ma perché si continua a pensare che sia "il mercato" a dover comandare e regolamentare qualsiasi cosa? Uno Stato civile dovrebbe intervenire nell'economia e nello sviluppo industriale del paese con la serietà e la severità necessarie per garantire innanzitutto i diritti di chi lavora. Il progresso e la libertà di un paese non possono misurarsi nell'aumento della ricchezza individuale di qualche privilegiato ma con il benessere diffuso della popolazione, con la diminuzione della povertà (che invece sta drammaticamente crescendo nel nostro paese, così come aumenta la fame a livello planetario), con la garanzia del diritto alla salute e al sapere di ognuno, con la lotta senza quartiere alla corruzione e al privilegio, con lo sviluppo della produzione di beni collettivi, con il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. L'obiettivo deve essere il diritto al futuro, alla serenità e alla felicità per tutti.
A cura di Giorgio Langella (segretario regionale veneto PCI) e Dennis Vincent Klapwijk (responsabile lavoro FGCI nazionale)
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