Bronte nel 1860: massacro al pistacchio
Domenica 13 Marzo 2011 alle 11:53 | 0 commenti
Roberto Ciambetti, Lega Nord - Una nota catena di gelaterie artigianali, famosa per la qualità del proprio prodotto che valorizza al meglio materie prime italiane con risultati indubbiamente alti, per il mese di marzo, in occasione del centenario dell'Unità d'Italia, ha lanciato come gusto del mese un gelato tricolore: fiordilatte, alla ricotta di pecora sarda, ciliegie candite e infine il verde dato dal pistacchio. Per l'esattezza granella di pistacchio di Bronte.
L'accostamento colpisce, perché, oltre a chiamare in causa i sardi che vantano un lungo impegno autonomista, se c'è una località simbolo delle contraddizioni del processo di unificazione sabauda - e di aspirazioni represse nel sangue - questa è proprio Bronte, centro alle pendici dell'Etna (foto dal film di Florestano Vancini: Bronte, storia di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato).
Qui, nell'agosto del 1860, il popolo s'era sollevato prendendo alla lettera i proclami garibaldini e anticipando la redistribuzione delle terre allora nelle mani di pochi latifondisti, autentici signorotti feudatari di violenza medioevale.
Convinti della giustezza della loro battaglia, sentendosi in sintonia con Garibaldi e spinti da condizioni di straordinaria povertà , i brontesi, che per altro vantavano una storia plurisecolare di rivendicazioni sulle terre, dettero alle fiamme una quarantina di abitazioni, il teatro e l'archivio comunale uccidendo 16 persone tra nobili, ufficiali e civili; dura la risposta di Garibaldi che inviò un distaccamento di soldati comandati da Nino Bixio non tanto per riportare l'ordine pubblico, ch'era stato in verità già ristabilito, quanto per salvaguardare gli interessi inglesi visto che parte del territorio di Bronte rientrava nella cosiddetta Ducea di Nelson, feudo donato nel 1799 da Ferdinando di Borbone all'ammiraglio Horatio Nelson i cui eredi non erano di certo secondi, in fatto di sfruttamento medioevale, ai latifondisti siciliani e non solo nel secolo scorso, ma anche nel Novecento come racconta con pagine straordinarie Carlo Levi in "Le Parole sono pietre". Nell'agosto del 1860 i nipoti inglesi dell'Ammiraglio avevano temuto che la rivoluzione portasse all'annullamento della donazione del feudo i cui terreni sarebbero ritornati al Comune di Bronte e per questo chiesero aiuto a Londra e Londra si mosse con Garibaldi: il console Goodwin non solo premette per salvaguardare il patrimonio dei Nelson ma invitò Garibaldi a punire l'avvocato Nicola Lombardo, sostanzialmente il sindaco di Bronte: "Arrestare l'autore di tale assassinio onde essere giudicato dall'autorità competente e condannato" scrisse Goodwim a Garibaldi con toni che sembrano un ordine irrevocabile. Insomma la condanna era già stata scritta prima ancora d'essere pronunciata. Scritta a Londra. Particolare non da poco.
Cosa accadde a Bronte con i garibaldini fu poi emblematico. Nonostante il paese fosse già stato pacificato e la situazione tornata sotto controllo, Nino Bixio dette esecuzione agli ordini inglesi: cinque innocenti condannati a morte, e tra questi anche un demente, incapace di intende e volere oltre all'odiatissimo, dagli inglesi s'intende, Lombardo. I particolari della repressione furono raccapriccianti anche se l'agiografia garibaldina riuscì a dare une lettura alleggerita, edulcorata o censurata del fatto, come si vede nella novella di Verga, "Libertà ", pubblicata una ventina d'anni dopo l'evento.
Oltre al processo sommario conclusosi con le fucilazioni dei cinque brontesi, per altri 745 imputati s'aprirono le porte del carcere e i processi successivi portarono a 37 condanne con 25 ergastoli: significativamente, beffa sulla beffa, gli insorti di Bronte furono esclusi dall'indulto concesso da Garibaldi in Sicilia. I panni sporchi si lavano in famiglia, ma, com'ebbe a chiosare Sciascia proprio sulla storia di Bronte, non è detto che comunque i panni alla fine si lavino in privato: nel caso dei garibaldini, i panni sarebbero rimasti in chissà quale cesta, finiti nel dimenticatoio, assieme ad altre imprese tutt'altro che gloriose, sulle quali scese l'oblio, un po' per pudore, un po' per vergogna: Bronte non fu l'unica. Da vicentino non posso dimenticare la tragica vicenda di Pontelandolfo, dove un colonnello appunto di Vicenza, assassinò centinaia di persone distruggendo due interi paesi: era il 14 agosto del 1861. Giusto 150 anni fa: non c'è niente da festeggiare. C'è molto da riflettere.
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