Prostitute on the road? Case chiuse
Giovedi 15 Aprile 2010 alle 20:06 | 0 commenti
Il sesso a pagamento infastidisce gli abitanti delle zone coinvolte. Ma la soluzione non è renderlo reato, come vuole la Carfagna (e qualcuno del Pd). Ha ragione la Lega: riaprire i casini
La stretta di polizia (municipale) in viale Stadio contro le signorine di piacere ha fatto tornare alla ribalta l'annoso tema della prostituzione.
Gli abitanti della zona hanno ottenuto quasi seduta stante una pronta repressione da parte dell'assessore alla sicurezza Antonio Dalla Pozza, e ora, passando in ore notturne lungo il vialone, si notano le superstiti peripatetiche rannicchiate in un angolo, senza più la posa spavalda dei mesi scorsi.
Bisogna sempre avere rispetto della sacrosanta aspirazione di un quartiere a vivere in pace, anche se rimane da capire che fastidio dava una decina (al massimo) di ragazze in fila di notte in una strada di scorrimento priva di case.
Vicentini pro e contro
Detto questo, a sentire i politici vicentini i pareri su come affrontare il problema sono discordi. Dalla Pozza è schierato col ministro Mara Carfagna, la cui proposta di legge, inabissatasi nelle secche parlamentari, prevedrebbe il divieto di prostituirsi sul marciapiede, con contorno di multe salate fino al carcere per le donnine e i loro clienti. L'importante è togliere ai Comuni l'ingombrante incombenza: la latitanza dello Stato deve finire. Il parlamentare leghista (e coordinatore provinciale) Paolo Franco, invece, ha presentato tempo fa un disegno di legge rispolverando una vecchia idea del Carroccio, la riapertura delle case chiuse, a condizione che avvenga in Comuni superiori ai 30 mila abitanti, all'interno di edifici appositamente destinati, con l'iscrizione ad un registro igienico-sanitario e il regolare pagamento delle tasse. Più o meno, una soluzione all'olandese. La deputata Daniela Sbrollini (che è del Pd) vuole invece la linea dura: vietare e punire. Più pragmatico il suo compagno di partito Federico Formisano, capogruppo in consiglio comunale: contrario ai quartieri a luci rosse, ma favorevole alla case chiuse. Più lucido di tutti l'ex vicesindaco di centrodestra, Valerio Sorrentino, secondo il quale la verità è che già adesso il sesso a pagamento avviene in abitazioni private, e il principio a cui ispirarsi dovrebbe essere la massima libertà , purchè non ci si prostituisca in strada.
Merlin e Santanchè
Ora, cerchiamo di chiarire la questione. A quanto ci risulta, nel nostro paese il reato di prostituzione non esiste ancora, dato che la Carfagna non ha cavato un ragno dal buco. Perciò resta valida la legge Merlin del 1958. Le due signore, che più diverse non potrebbero essere (l'attuale ministro è un ex valletta televisiva, nota ai maschi d'Italia soprattutto per un calendario, la Merlin era una pia parlamentare socialista di Padova, alquanto bruttarella), ammettono entrambe il commercio del corpo femminile ma una al rovescio dell'altra. Per la Merlin non va esercitata in luoghi interni, con una vera e propria gestione da piccola azienda (le famose "case chiuse"), mentre per la Carfagna non ci si deve vendere per strada, dove il divieto della Merlin ha costretto a "battere" le signorine di piacere. La differenza giuridica - e l'ipocrisia - sta nel fatto che la prima, quanto meno, non identificava il sesso a pagamento con un reato, al contrario della seconda che ne sancisce la fattispecie penale e la estende per giunta al cliente, punendo sia questo che la prostituta col carcere.
Qualche settimana fa, con quel suo gusto volgare - da donna volgare qual è - per le boutades d'effetto, la sottosegretario Daniela Santanchè l'ha buttata lì: perché non copiare la Spagna e legalizzare la prostituzione in apposite stanze dei nightclub? Ciò implicherebbe l'abolizione del reato, questo sì vigente, di sfruttamento e favoreggiamento. Battutismo elettorale a parte (si era sotto elezioni regionali), può essere un'idea. Prima di tutto, perché sana una diffusa situazione di fatto che vede le spogliarelliste prostituirsi a tutto andare, per conto proprio fuori dal locale o direttamente durante il lavoro, nei lap dance (di cui Vicenza pullula). Della serie: si sa ma non si dice. Secondo, perché è inutile negarlo: fare la puttana è un lavoro vero e proprio. E allora non si capisce perché chi lo svolge non possa farlo alla luce del sole, come un'attività al pari delle altre. E magari, però, anche coi riconoscimenti e gli elementari diritti e doveri (professionali, sanitari, fiscali) che ne conseguono. Si libererebbero dalla schiavitù migliaia di ragazze sfruttate come bestie, e lo Stato potrebbe controllare il mercato e gli eventuali abusi.
Più libertÃ
La smania modernista di regolamentare tutto, vietando ciò che si fa da che mondo è mondo, va a discapito anzitutto delle donne. Perché stringe la catena di quelle prigioniere del racket, e perseguita le altre che popolano un sottobosco impossibile da estirpare a furia di blitz e retate. Bisognerebbe, più semplicemente, lasciare che chi voglia prostituirsi si prostituisca liberamente, nelle forme e nei modi che si sceglie autonomamente. Fatto salvo il rispetto per un minimo di decoro (non si possono vedere esposti tette e culi in pieno giorno per strada) e la fissazione di limiti da parte dell'autorità sugli orari e sulle zone ammesse (meglio delimitare in particolari aree il viavai della clientela, privilegiando comunque il vecchio sistema degli appartamenti, come saggiamente vuole la Lega). Cioè tornando, coi debiti aggiustamenti dovuti alla concentrazione urbana, a com'era un tempo, quando di leggi invadenti non c'era bisogno: bastava il buon senso.
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