Procura di Vicenza ipotizza una truffa di Banca Popolare di Vicenza
Sabato 12 Dicembre 2015 alle 16:03 | 0 commenti
Dopo le «cose non dette», le presunte bugie o perfino le minacce, ora anche la truffa: un mastodontico bluff che sarebbe servito a spillare soldi a migliaia di risparmiatori. È l’ultimo fronte investigativo sulla Banca Popolare di Vicenza. A ipotizzarlo è la procura berica, già titolare dell’inchiesta che accusa gli ex vertici (sei gli indagati, compresi l’ex presidente Gianni Zonin e l’ex direttore generale Samuele Sorato) di aggiotaggio - cioè il sostegno artificioso del prezzo delle azioni - e di aver ostacolato l’autorità di vigilanza.
Ora si scopre che al pubblico ministero Luigi Salvadori fanno riferimento anche diversi fascicoli - per ora senza indagati - che puntano a capire se i soci Bpvi siano stati in qualche modo raggirati.
«Quello che ipotizza il reato di truffa, è un mega-filone dell’inchiesta che riguarda l’istituto di credito», è la definizione che ne ha dato ieri il procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri. E la dimensione «mega» la si intuisce anche dal numero delle denunce presentate dalle presunte vittime: un centinaio quelle arrivate finora sulla scrivania del magistrato. «Ma è facile immaginare che il loro numero possa almeno raddoppiare», aggiunge Cappelleri.
Al centro degli esposti la «solita» questione del taglio - deciso dagli ex vertici Bpvi - al prezzo delle azioni, crollate da 62,5 a 48 euro. La tesi, ancora tutta da dimostrare, è che quando i funzionari proposero ai clienti l’acquisto delle quote già diverse persone fossero a conoscenza del fatto che il valore reale era nettamente inferiore. In pratica, avrebbero «consapevolmente» venduto dei prodotti il cui costo era destinato a scendere.
Inoltre, sostengono altri imprenditori, la banca si sarebbe rifiutata (o avrebbe rinviato ogni decisione) di ricomprare le loro quote nonostante in precedenza avessero ottenuto delle precise garanzie.
Fin cui le accuse, mentre la Popolare di Vicenza continua ad assicurare che darà «piena collaborazione alla magistratura».
La magistratura ora dovrà capire se effettivamente i clienti siano stati truffati e, in quel caso, individuare i responsabili e cioè capire se i dipendenti che proposero l’acquisizione delle quote fossero a conoscenza del fatto che il valore era superiore a quello reale, oppure se si siano limitati a eseguire degli ordini che arrivavano dai vertici.
«Le denunce andranno analizzate caso per caso - conclude il procuratore - è un lavoro enorme. E se dovessero emergere pressioni di tipo illecito per spingere i risparmiatori ad acquistare le azioni, non è escluso che si possa procedere anche per il reato di estorsione».
Più o meno la stessa cosa che cerca di stabilire anche la procura di Prato, che sulla Popolare ha aperto un’inchiesta parallela. Giovedì i magistrati toscani hanno ordinato una dozzina di perquisizioni e l’acquisizione di materiale anche nel quartier generale dell’istituto di credito, a Vicenza. Sette gli indagati - proprio per estorsione - e si tratta di dipendenti delle filiali denunciati da una quindicina di imprenditori che sostengono di essersi sentiti ricattare: «O compri le azioni o ti revochiamo il fido». Impossibile rifiutarsi: per chi ha un’azienda da mandare avanti, il sostegno delle banche è fondamentale. Ma ora che si ritrovano con delle quote il cui valore è crollato in pochi mesi, non hanno più nulla da perdere e ora affidano le loro speranze al lavoro della guardia di finanza.
Tra tutte le ipotesi a carico di Bpvi, il reato di estorsione è forse il più com plicato da dimostrare: trattative di questo tipo avvengono negli uffici delle filiali, lontano da occhi indiscreti. Difficile per gli inquirenti trovare le prove di eventuali pressioni illecite. A meno che non ci sia stato un preciso ordine impartito dai vertici dell’istituto: per questo motivo le fiamme gialle toscane hanno acquisito una mole impressionante di dati informatici. I riscontri alle accuse potrebbero nascondersi nelle e-mail che i dipendenti si scambiavano con i propri superiori.
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