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Praga 20 agosto 1968: hanno compreso i compagni?

Di Italo Francesco Baldo Lunedi 20 Agosto 2018 alle 16:11 | 0 commenti

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Le truppe del totalitarismo comunista dell’Unione Sovietica hanno messo fine al tentativo di dare alla Cecoslovacchia un regime meno duro e meno asservito ai diktat della nomenklatura del Partito comunista Sovietico. Il principale protagonista lo slovacco Alexander Dubček aveva cercato di dare al regime comunista del suo paese una serie di riforme che avrebbero attenuato il rigido governo. Il partito comunista cecoslovacco che aveva preso il controllo totale dello Stato nel 1948, nonostante avesse vinto solo nella parte ceca e non in quella slovacca, si era adeguato alle modalità del regime sovietico.

Furono eliminati, more solito, tutti i dissidenti, soprattutto quelli del mondo cattolico con in testa il cardinale di Praga Josef Beran, che era già stato perseguitato dal regìme nazionalsocialista cecoslovacco e fu tenuto prigioniero per 14 anni. Il regime si rafforzò soprattutto con la nazionalizzazione delle industri e di ogni altra attività., tanto che nel 1960  il Partito  dichiarò la vittoria del socialismo e proclamò la Repubblica Socialista Cecoslovacca.

Dubček cercò di portare avanti delle riforme che attenuassero il regime e aprissero il Paese a nuovi orizzonti, dopo la caduta di Antonin Novotný formato alla scuola staliniana, si eliminò la censura sui mezzi di comunicazione e questi iniziarono una campagna a favore delle riforme stesse. Questa nuova situazione, pur sempre all’interno della dinamica comunista, aprì comunque il paese a nuovi orizzonti, che furono detti Primavera di Praga. Comparve anche una tendenza antisovietica e il tentativo di formare nuovi partiti che aprissero ad una prospettiva democratica. Il Partito intervenne chiedendo al Segretario la repressione, che non fu attuata. Ma la dirigenza del partito si rivolse a Mosca perché intervenisse contro Dubček che minava non solo il partito, ma anche destabilizzava il patto di Varsavia. Non si tenne conto del "Manifesto delle duemila parole", lanciato dallo scrittore Ludvik Vaculik e sottoscritto a fine giugno da decine di intellettuali praghesi per sollecitare Dubcek a continuare la strada delle riforme e a non cedere alle crescenti pressioni del Cremlino. Il manifesto chiedeva di sostenere il nuovo corso anche con l'arma dello sciopero e invitava il partito a sbarazzarsi dei quadri troppo vicini al destituito segretario Novotny e a Mosca. Pubblicato il 27 giugno 1968 da tutti i giornali cecoslovacchi, e poi da dalla stampa occidentale, su "l'Unità" il manifesto non vedrà mai la luce, accomunato in un destino di irreperibilità con il rapporto di Kruscev al XX congresso del Pcus.

Il Patto di Varsavia, tranne la Romania, inviò le sue truppe a “calmare le acque”, nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968. in realtà a reprimere. La popolazione non accolse le truppe anche perché Dubček, che era stato arrestato nella notte dell'invasione, e portato a Mosca per negoziare. la Dottrina Brežnev della sovranità limitata, che continuava lo stile staliniano, impose il ripristino dell’antico regime. La popolazione manifestò costantemente la propria apposizione, ma di fronte ai carri armati e alla normalizzazione imposta dalla polizia e dagli agenti sovietici, nulla poté fare. Culmine di questa opposizione si ebbe il 19 gennaio 1969, quando  lo studente Jan Palach si diede fuoco in piazza San Venceslao a Praga per protestare contro l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Unione Sovietica nel 1968.

Terminava così l’unico esperimento di dare al comunismo almeno un volto umano, lontano dalla visione e organizzazione sovietica.  Solo con il crollo del Muro di Berlino la Cecoslovacchia abbandonò il comunismo e si aprì alla visione democratica che era s tanto aspirata, ma repressa da un regime che per 40 anni aveva negato perfino la possibilità di pensare in modo diverso, praticando quel razzismo ideologico che ancora oggi è in moti epigoni di quella visione ideologica.

Il Partito Comunista italiano con a Capo Luigi Longo, l’erede dello stalinista P, Togliatti, ben memore di come si era comportato con l’invasione dell’Ungheria, dove aveva definito “teppisti” (G. Napolitano) gli insorti.  Il 27 agosto 1968 al Comitato Centrale il Segretario iniziò il suo discorso con le seguenti parole: “Compagne e compagni, ci riuniamo – dopo giorni di allarme e di ansia – è ormai ufficiale la notizia di una soluzione di compromesso – sulla quale saranno chiamati a pronunciarsi i paesi e i partiti direttamente interessati (Patto di Varsavia) – è stata raggiunta nei negoziati di mosca tra i compagni cecoslovacchi e i dirigenti sovietici. Il senso di responsabilità, al quale ancora stamane facevamo fermamente richiamo sulla nostra stampa, ha finito per prevalere.”  Dopo molte parole il segretario riprova e dissente dall’intervento militare, ma non lo condanna. Anzi, il prestigio del Partito Comunista Italiano si era speso per uno sbocco politico, appunto i negoziati che elimineranno di fatto Dubček. Non mancò il segretario di dare ragione a Ferruccio Parri che stigmatizzava la “sgradevole impostura” del patto atlantico” e la denuncia della Democrazia cristiana che rilancia appunto il Patto Nato,

Ribadì Luigi Longo la netta discriminante tra capitalismo e socialismo e la legittimità della ricerca di vie diverse al socialismo, considerato sempre superiore a tutto. Di fatto l’allineamento a Mosca era ancora completo e appariva irreversibile, come pure la lotta all’imperialismo presente in Europa con gli USA.

In una successiva intervista al settimanale “L’Astrolabio” L. Longo, affermò, ma era bugiardo, l’autonomia, l’indipendenza e la sovranità nazionale di ogni Stato e l’autonomia e la sovranità di ogni partito comunista”. Ma tutti i partiti comunisti sono interessati anche alle questioni interne di ogni Stato comunista. Certo qui Longo nega il diritto all’intervento militare, ma solo per ribadire poi che il XX Congresso del partito comunista sovietico ha indicato sul piano internazionale un nuovo corso. (cfr. L. Longo, Sui fatti di Cecoslovacchia, Roma, Editori Riuniti, 1968).

In effetti si ebbe solo qualche conseguenza in coloro che saranno l’anno dopo gli eretici de “il manifesto”, ma nel mondo comunista italiano non vi fu certo manifestazione chiara e precisa contro l’Unione Sovietica e il patto di Varsavia, che erano ancora ideali per gli iscritti del Partito Comunista. Ben presto però si avvertì che era iniziata la fine del comunismo, così dissero gli studenti polacchi, ma si sarebbe dovuto attendere ancora e dopo la fine ufficiale, restano i residui seduti magari anche nel parlamento Italiano a dissertare su eguaglianza e libertà, quasi a spregio di coloro che hanno combattuto il totalitarismo comunista.

In Italia, caso unico, i fatti di Praga suscitarono lo sdegno, ma la stagione politica della penisola portava non a destra, ma a sinistra, quasi a riaffermare che il comunismo poteva essere altro da quello sovietico. Nacquero i tantissimi gruppi, gruppetti, partiti e partitini della sinistra che proposero alla società italiana oltre ai consueti contenuti del Partito Ufficiale anche nuove indicazioni, presa anche dalla stagione degli studenti americani, come la liberazione sessuale ecc. Il Partito comunista comunque cavalcò la situazione, di fatto indifferente alla sorta dei cecoslovacchi.  I vari movimenti del 1968 non dietro altro che all’inizio con E. Berlinguer e A. Moro della strada di un compromesso, i cui esiti ancora dobbiamo. Solo nel 1981 Il Segretario dichiarò che 1981, cioè ben tredici anni dopo, e ormai fuori tempo massimo, Enrico Berlinguer oserà annunciare al suo elettorato che «la spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre si è esaurita», ma ancora alcuni ci credono.  

Le ricorrenze sono sempre un momento di riflettere sugli avvenimenti che si ricordano e soprattutto a comprendere quali siano stati gli errori di valutazione compiuti e la critica serve a far comprendere che quella strada, i suoi presupposti teorici, ideologici e pragmatici, non possono che essere condannato, perché frutto di una visione totalitaria, quella che ha insanguinato il secolo scorso e che nessuno dovrebbe nemmeno come nome o con qualche acconcio pseudonimo riproporre.

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Commenti degli utenti

Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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