Piano Italia 4.0, addio ai campanili fra le Università venete
Martedi 27 Settembre 2016 alle 09:37 | 0 commenti
Il fatto che il ministro Calenda abbia indicato le Università del Veneto come fulcro di uno dei sette Competence Center del Piano Italia 4.0, i poli territoriali con i quali incrociare ricerca e impresa sulla fabbrica digitale per accompagnare la trasformazione del nostro sistema industriale, ha un significato che va oltre le risorse e la progettualità che arriveranno in regione per effetto di questa decisione. Aver usato l'espressione «Università del Veneto» e aver più volte ribadito che «d'ora in poi eviteremo di mettere i nomi: sarà una sana spinta a mettersi insieme», equivale ad aver azionato uno di quei grimaldelli capaci di avviare processi di cambiamento irreversibili, (quasi) senza possibilità di ritorno.
Detto in altri termini, è la definitiva spinta alla creazione di quell'alleanza organica tra le sedi universitarie, più volte evocata e che fino ad ora ha generato solo la Fondazione Univeneto, che però ha un obiettivo evanescente e poco incisivo, visto che dal sito risulta che la sua mission è «la promozione e il coordinamento dell'offerta formativa e delle attività di ricerca del sistema universitario veneto, e lo sviluppo dei suoi rapporti con le istituzioni pubbliche, gli enti economici e il sistema delle imprese del territorio».
Quella che si presenta con il Competence Center del Piano Italia 4.0, è un'occasione unica e da cogliere senza indugio. Gli studi di management suggeriscono che realizzare i processi di integrazione tra organizzazioni indipendenti e con forti identità (legate al brand, alla storia, al successo) è più semplice in situazioni di «risorse crescenti» rispetto a contesti di «risorse calanti».
La ragione è presto detta: solo nel primo caso, ci sono concrete probabilità che la maggiore efficienza attesa dall'unione non sia accompagnata da ristrutturazioni e tagli che portano all'eliminazione di (tante o poche) posizioni di responsabilità e di potere; pertanto, a parità di altre condizioni, vi sarà una maggiore propensione a concretizzare il cambiamento, perché tutti gli attori coinvolti saranno nelle condizioni di dire «ho vinto» e potranno presentarsi a testa alta di fronte ai propri colleghi e collaboratori. È il modo normale con cui funzionano tutte le organizzazioni, indipendentemente dal settore in cui operano e dai loro obiettivi (for profit o nonprofit), e quindi non ci sarà da biasimare i protagonisti che realizzeranno questo progetto. Men che meno bisognerà dare ascolto ai soloni che non perderanno questa occasione per dire: «Ecco, ci voleva un ministro non veneto per imporci di fare una cosa che noi veneti da soli non avremmo mai fatto, a causa degli atavici campanilismi che ci zavorrano». Il cambiamento dei sistemi sociali (e le Università appartengono a questa categoria) ha bisogno di tempo e richiede «pazienza», a meno che non si accettino «strappi dolorosi» a fronte di urgenze estreme. Il lavoro fatto negli anni scorsi (quello che ha portato alla Fondazione Univeneto o tutto il dibattito sul Politecnico del Veneto, per intenderci) non è stato tempo perso, ma ha avuto il merito di creare prima la consapevolezza del bisogno di cambiamento e poi la convergenza verso un obiettivo comune. E allora, oltre a ringraziare tutti quelli che nelle scorse settimane hanno lavorato in squadra per redigere quel progetto unitario che ha convinto il Ministro Calenda, ricordiamoci di includere anche quelli che hanno agito prima e che oggi forse sono nell'ombra o hanno esaurito il loro ciclo. Agli audaci visionari capita spesso.
di Paolo Gubitta, dal Corriere del Veneto
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