Pfas, alti valori rilevati tra i quattordicenni. Per smaltirli almeno 20 anni
Giovedi 23 Febbraio 2017 alle 08:55 | 0 commenti
C’è una prima certezza su Pfas e Pfoa, le sostanze chimiche che fino al 2013 hanno inquinato la falda acquifera di 21 Comuni tra Vicenza, Padova e Verona (127mila abitanti): non si smaltiscono dal sangue nel giro di 3/5 anni, come si pensava. Ce ne vogliono almeno venti. Emerge dal convegno internazionale a tema di scena ieri e oggi a Venezia e organizzato dalla Regione, che ha presentato i risultati iniziali del monitoraggio sulla popolazione dell’area «rossa», cioè 84.795 veneti dai 14 ai 65 anni.
«Abbiamo cominciato con i nati nel 2002, che abitano tra Lonigo, Sarego e Brendola — spiega la dottoressa Francesca Russo, a capo del Dipartimento di Prevenzione — l’80% dei convocati per il prelievo di sangue si è presentato. E dai primi 50 campioni analizzati dall’Arpav risulta una presenza anomala di 64 nanogrammi per grammo di sangue di Pfoa, contro l’indice di 2-3 riscontrata nei veneti residenti al di fuori dall’area contaminata. Il dato, in linea con i 70 nanogrammi riscontrati nel 2016 in 500 abitanti di Arzignano, ci fa supporre che l’emivita di tali sostanze, responsabili dell’inquinamento dell’acqua potabile, possa essere superiore al previsto. Dal 2013, anno in cui gli acquedotti sono stati messi in sicurezza in seguito all’allarme lanciato da uno studio del Cnr, i ragazzi esaminati bevono infatti acqua pulita». Il Piano di sorveglianza sulla popolazione dei 21 Comuni contaminati è partito con i 14enni perchè meno associati a stili di vita scorretti, che potrebbero influenzare le analisi, e proseguirà per due anni, al termine dei quali gli interessati saranno sottoposti a nuovi controlli. Ad Arpav e Istituto Zooprofilattico il compito di esaminare i campioni, all’Istituto superiore di Sanità quello di validare i dati ottenuti. «Oltre al livello di Pfas nel sangue, misuriamo colesterolo, glicemia e altri valori — spiega Domenico Mantoan, direttore generale della Sanità — per capire se la presenza di tali sostanze possa rappresentare un quinto fattore di rischio di insorgenza di malattie croniche, insieme e fumo, sedentarietà , alcol e sovrappeso». L’esposizione a Pfas può infatti indurre alterazioni metaboliche. Monitoraggio a parte è invece previsto per i lavoratori della Miteni e per le donne in gravidanza. «Per queste ultime è già partito — rivela la professoressa Paola Facchin, direttore del Centro regionale Malattie rare — abbiamo studiato i dati relativi a 560mila gestanti, 16mila delle quali residenti nella zona rossa. In loro è emerso un aumento della frequenza di diabete gravidico, con relativo ricovero, e della gestosi. Nei 21 Comuni contaminati si è inoltre evidenziata una crescita di neonati più piccoli rispetto all’età gestazionale. Fenomeno scomparso dal 2013, anno della messa in sicurezza degli acquedotti». Quanto ai 120 lavoratori della Miteni, Cgil, Cisl e Uil chiedono siano sottoposti, insieme agli ex dipendenti, «a un piano regionale di presa in carico, anche se non residenti nella zona rossa». «In assenza di risposte siamo pronti a manifestare davanti alla Regione insieme a tutti gli interessati — annunciano i sindacati —. La salute dei lavoratori della Miteni non dev’essere dimenticata». «Monitoriamo il livello di Pfas e Pfoa nel personale dal 2000 e da allora i valori sono scesi del 70%-80% — assicura Antonio Nardone, ad dell’azienda di Trissino —. Lo testimonia lo studio del professor Giovanni Costa, responsabile della sorveglianza sanitaria dei nostri lavoratori, che non ha rilevato correlazioni tra Pfas e patologie di alcun genere. Tra monitoraggio, depurazione e relativo acquisto di strumentazione sofisticata, caratterizzazione del territorio con perforazioni fino a 25 metri di profondità e posizionamento di due barriere idrauliche, abbiamo investito 2,5 milioni di euro, su un fatturato di 24. Dal 2011 non produciamo più Pfas nè Pfoa». Ma cosa succede nel resto del mondo? «Ci sono altri tre casi di grave inquinamento della falda acquifera — rivela il professor Tony Fletcher, responsabile della Sanità pubblica in Inghilterra — in Ohio, in Svezia e in Germania. Io ho fatto parte della commissione scientifica autrice dello studio epidemiologico in Ohio, dove sono state esposte 70mila persone: abbiamo rilevato, per la prima volta al mondo, una correlazione tra Pfas e tumore al testicolo, al rene e colite ulcerosa. Sono in corso 3500 cause alla Dupont, azienda responsabile dell’inquinamento della falda, condannata e ripulirla e a risarcire le persone danneggiate, con una spesa di 672 milioni di dollari, destinata a salire oltre il miliardo». Il secondo caso, accaduto vicino all’aeroporto di Ronneby, in Svezia, con le Pfas prodotte dalle schiume antincendio e 11mila persone esposte, è stato risolto in 12 ore, prendendo l’acqua potabile a 5 chilometri di distanza. Stesso accorgimento adottato in Germania, dove è in corso un’indagine epidemiologica. «Ma la rapidità di intervento del Veneto è per noi un esempio di gestione del rischio virtuoso e che vorremmo esportare in Europa — nota Marco Martuzzi dell’Oms —. Stiamo infatti predisponendo ora le linee guida per affrontare il problema, ci sono poche evidenze scientifiche disponibili».
Di Michela Nicolussi Moro, da Corriere del Veneto
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