Opportunità per i giovani, non scorciatoie
Mercoledi 21 Marzo 2012 alle 11:56 | 0 commenti
Da VicenzaPiù n. 230
Di Silvio Giovine, Presidente Regionale Giovane Italia
La riforma del mercato del lavoro rappresenta certamente una delle priorità per l'attuale agenda politica. I dati che registriamo quando affrontiamo il tema della disoccupazione in Italia sono obiettivamente mortificanti; nel mese di gennaio il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 9,2%, sfiorando il 30% quando si parla di giovani.
Vi è dunque la consapevolezza che senza un intervento normativo complessivo che renda il mercato stesso più dinamico e funzionale sarà utopistico pensare che il sistema produttivo italiano riesca ad uscire dalla crisi internazionale. Sarebbe opportuno ripartire da alcuni punti cardine: la cultura del lavoro; il rispetto della persona; l'accettazione di una flessibilità con contratti a tempo determinato più remunerativi rispetto a quelli a tempo indeterminato; un adeguato sistema di strumenti assicurativi e assistenziali che consentano ai lavoratori e alle imprese di gestire il cambiamento e il rinnovamento strutturale anziché subirlo; il merito, auspicando che possa diventare leva di sviluppo e vitalità nel pubblico come nel privato, al sud come al nord; la valorizzazione del made in Italy, grazie al quale abbiamo raggiunto livelli di eccellenza mondiale nel campo della manifattura e dell'artigianato attraverso il lavoro di persone che scambiano beni e servizi e non titoli, persone legate ad un'economia reale distante anni luce dal quella finanza virtuale che ha causato la crisi.
L'errore che, affrontando un tema talmente rilevante, non si deve commettere è quello di fossilizzarsi solo sul dibattito riguardante l'articolo 18; un argomento che sta diventando motivo di scontro ideologico quotidiano e sul quale, invece, si dovrebbe riflettere scevri da pregiudizi di sorta.
E' un fatto, a mio avviso, che così com'è scritto ed interpretato, l'articolo 18 costituisce oggi un freno alla propensione all'assunzione ed un ostacolo percepibile alla stipulazione di contratti a tempo indeterminato. Questa considerazione parte dalla consapevolezza della realtà in cui viviamo; quel nord est caratterizzato da aziende artigiane e piccole imprese con meno di 15 dipendenti , un tessuto economico particolare che ha conferito carattere familiare alle imprese facendone delle vere e proprie comunità di interessi dove si tocca con mano quell'interclassismo che rappresenta la vera ancora di salvezza contro il sindacalismo ideologico la cui colpa più grave è quello di contribuire ad uno dei mali della nostra società ossia la delocalizzazione ingiustificata ed ingiustificabile.
La lotta alla delocalizzazione deve dunque rientrare tra le necessità di un'eventuale riforma del lavoro ma questo non può certo diventare lo strumento per demonizzare uomini che per la propria azienda hanno sacrificato tutto.
L'ipotesi di un datore-tiranno che si alza il mattino con la bava alla bocca animato dalla spasmodica esigenza-voglia di licenziare mi pare decisamente surreale. Va chiaramente tutelato il rispetto della persona, ci mancherebbe, ma diventa giorno dopo giorno sempre più difficile accettare che un ragazzo non possa mettersi realmente in discussione al momento dell'assunzione. Vogliamo opportunità non scorciatoie, pretendiamo contratti a tempo indeterminato non perché smaniosi di un posto fisso tutta per la vita (consapevoli che la flessibilità è fondamentale nella società attuale e ci può garantire più gratificazioni che vessazioni) ma per poter continuare a credere che non sia un sogno irrealizzabile quello di poter accendere un mutuo per comprarsi una casa e costruire una famiglia a vent'anni. Quei pochi che ci riescono oggi sono quasi considerati eroi, noi speriamo che diventino presto la maggioranza.
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