Nuovi orizzonti per l'economia italiana dopo l'uscita di Fiat da Confindustria: uscire dal vecchio
Giovedi 6 Ottobre 2011 alle 19:15 | 0 commenti
 
				
		Italo Francesco Baldo, Presidente Associazione Impegno per Vicenza - Di portata storica la decisione assunta dall'Amministratore delegato della Fiat Marchionne. Era dal 1927 che nell'ambito dei fondamento dei rapporti di produzione non si assisteva ad una prospettiva di cambiamento così radicale. L'uscita di una della più grandi aziende italiane dalla Confindustria segnerà la fine di un modello politico economico, che delineato da Bottai come stato corporativa, è stato accolto nella Costituzione della Repubblica Italiana, fin dal primo articolo che fonda lo Stato Italiano sul lavoro.
E' vero che con lo Statuto dei lavoratori la legge precisa in modo  dettagliato i diritti dei lavoratori e non vi è analoga disposizione di  legge per quanto concerne la parte dei datori di lavoro, cosa che invece  intendeva fare la Carta del lavoro, che assumeva appunto il lavoro  sotto tutte le sue forme intellettuali, tecniche e manuali come un  dovere sociale, e istituiva la Magistratura del lavoro come  l'organo  con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia  che vertano sull'osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia  che vertano sulla determinazione di nuove condizioni di lavoro. Ciò che  era però più importante è che le parti sociali, inquadrate nelle  Corporazioni era riconosciute come organi di Stati che rappresentavano  gli interessi unitari della produzione e pertanto ciò poneva in essere  un modello si statalismo, diverso da quello sovietico che allora  impostava definitivamente Stalin, ma era sempre uno statalismo. Lo Stato  era considerato "arbitro" tra le corporazioni, che erano solidamente  "statali". Lo Stato non interveniva nella produzione economica, se non  quando mancava o fosse insufficiente l'iniziativa privata o quando erano  in giuoco interessi politici dello Stato. Il Contratto nazionale e  decentrato erano il mezzo di accordo e nella Carta del lavoro stabiliva  anche l'indennità per licenziamento senza colpa del lavoratore che   doveva ricevere una indennità proporzionata agli anni di servizio e non   stabilendo un minimo,leggi al proposito art.18 dello Statuto dei  lavoratori. Questa  parte è spesso omessa nei siti Internet.
     Chiaro l'intento del governo italiano di allora, stabilire una concordia  politica all'interno dei rapporti di produzione. La finalità era  chiaramente indirizzata, ma segnava nuove prospettive che si esprimevano  innanzitutto con l'uscita dell'Italia dal liberalismo economico, dove  non vigevano regole e lo Stato non era arbitro tra lavoratori e datori  di lavoro.
Parti delle norme della Carta del lavoro sono state  recepite anche dalla Costituzione della repubblica Italiana: artt. 1, 4,  art. 35" La Repubblica tutela il lavoro...." come affermava l'art. 2  della Carta. Sempre l'art. 35 cura la formazione... nella Carta art. 20,  e l'art.39 L'organizzazione sindacale è libera  è quasi uguale all'art2  della Carta:" L'organizzazione sindacale o professionale è libera.   ecc. ecc. Non era previsto, facile a comprendersi, il diritto di  sciopero, dato che la composizione delle controversie sindacali doveva  esserci necessariamente  dato proprio il carattere delle parti sociali  come organi di Stato.  Nella Costituzione della repubblica Italiana,  lo  Stato mantiene un ruolo decisivo nelle questioni del lavoro e delle  relazioni, divenendo con gli anni, la sede fondamentale della tutela e  dell'accordo tra le parti sociali. Ne risulta un modello di Stato  comunque arbitro all'interno della dinamica produttiva. 
 La  prospettiva che assume oggi l'Amministratore delegato della Fiat non è  in sintonia con la storia italiana presente e passata, almeno fino al  1927, ma si presenta come una strada nuova da percorrere. Non è chiaro  al momento se egli intende un ritorno al libero mercato assoluto  l'antico liberismo settecentesco e ottocentesco che di fatto escludeva  lo Stato dall'ingerirsi nel sistema della produzione oppure si intendano  percorrere nuove vie, dove il ruolo delle organizzazioni siano esse la  Confindustria o i Sindacati, non abbiano più il ruolo finora avuto.
     La lettura della crisi  economica attuale da parte  dell'Amministratore delegato del gruppo  torinese porta a sottolineare  che è tempo di cambiare il modello di riferimento, quello che è oggi  prevalente e che non molti sembrano disponibili a cambiare. I pochi  interventi innovativi rispetto al passato, accordi diversificati per i  vari stabilimenti, inducono a ritenere  che la strada sia quella del  diretto rapporto tra lavoratori di una determinata zona e stabilimento e  la proprietà, escludendo di fatto il ruolo "politico" sia dello Stato  sia dei Sindacati. Una strada che non si comprende se potrà avere  successo, ma quello che è importante nell'annuncio dell'Amministratore  delegato è che necessitano nuove e diverse modalità di incontro tra  lavoratori e industriali. E' la scommessa sul futuro per  arrivare non a  superare l'attuale crisi, ma a proporre un nuovo modello economico, il  quale inevitabilmente condizionerà l'assetto politico. il quale da quasi  quarant'annoi ritiene che tutto debba essere politico, ovvero gestito  dai partiti  siano essi di governo o di opposizione.  Le indicazioni  iniziali del primo governo Berlusconi andavano in questa direzione,  svecchiare e alleggerire lo Stato dal suo ruolo condizionante tutto, lo  statalismo  un po'soft del fascismo diventato uno statalismo  occhieggiante il modello sovietico  a partire dal 1968. Il governo non è  riuscito in questa dinamica, al suo interno prevale la visione che  tutto sono i partiti e quindi le attuali difficoltà. Forse la nuova  prospettiva dell'Amministratore delegato della Fiat può riuscire almeno a  far ripensare al modello politico-industriale italiano e magari a  proporre qualche autentico cambiamento, non riforma, giacché di riforme  ne abbiamo piene le tasche
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